I fitoterapici vanno assunti sotto controllo medico; diversamente, possono risultare dannosi. Prima di iniziare una terapia fitoterapica è necessario consultare il proprio medico. Per la posologia delle piante medicinali, che varia da soggetto a soggetto, è utile consultare il proprio medico curante, il quale stabilirà la posologia dopo attento colloquio e accurata visita.
Prima dell’arrivo della penicillina la medicina era basata essenzialmente sull’uso delle spezie (da cui il termine «speziale» che spesso accompagna la dizione di farmacista) e di piante medicali. Chi crede che le erbe siano «terapie della nonna» non sa che i più potenti farmaci derivano proprio da esse. Basti pensare ai derivati del tasso (i tassoli) per trattare il tumore al seno, al Ganoderma lucidum come antinfiammatorio e alla digitale, farmaco principale per i problemi cardiaci fino a qualche tempo fa. Certamente nessun fitoterapeuta curerà mai un infarto o una cistite emorragica con le piante, ma senz’altro con metodiche naturali potremo evitare recidive di queste gravi patologie.
Nello stesso periodo in cui si diffuse la peste nel 1348 e le successive ondate epidemiche, nacquero e si svilupparono le corporazioni dell’Arte dei Medici e degli Speziali. Le città vennero suddivise in quartieri affidati a commissari, medici, chirurghi e speziali. Ma chi erano queste figure? Semplicemente gli erboristi, i farmacisti di una volta. Il loro compito era di preparare composti officinali, unguenti, cosmetici e profumi. Già i medici di un tempo tenevano in grande considerazione le arti erboriste, adottando a loro volta i rimedi delle piante officinali. Poiché speziali e medici non coincidevano e non avevano le stesse mansioni, si affiliavano e comunque cooperavano per il raggiungimento dello stato di buona salute del paziente; tant’è che molti medici dell’epoca avevano nella propria bottega uno speziale per preparare le elaborazioni richieste.
A Venezia, si assistette alla più iconica manifestazione dell’arte dello speziale negli anni in cui la peste colpì l’Italia. Sempre qui e in quegli anni nacque anche la più tradizionale rappresentazione del medico: tunica lunga nera, maschera a becco ricurvo a coprire tutto il volto, che presentava due soli fori all’altezza del naso sufficienti per la respirazione. Al suo interno era contenuto quello che veniva definito il pomum ambrae, una spugna o garza imbevuta di una miscela di sostanze ritenute protettive, che veniva preparata dagli speziali e fungeva da filtro dell’aria esterna contaminata dall’agente patogeno. Infine guanti e cappello, e non poteva mancare il bastone alla mano, per tenere lontano il paziente al momento della visita.
Tuttavia le pestilenze non rappresentarono un vero affare per medici e speziali. Guy de Chauliac scrisse che la peste nera fu «poco vantaggiosa per i medici e tale da farli vergognare, poiché essi non osavano visitare i malati per paura di essere contagiati e quando li visitavano poco o nulla facevano e [...] quasi tutti i malati morivano». Anche Boccaccio ci riporta un netto fallimento di queste figure nella sua descrizione della peste all’interno del Decameron scomodando persino Galeno, Ippocrate ed Esculapio e rendendoli quasi ridicoli se comparati a tale evento.
Tra i rimedi preventivi contro la peste riportati nell’Hortus sanitatis redatto nel 1517 compare il «mangiar la mattina uscito dal letto una noce e un fico uniti», e addirittura in alcuni erbari per la prevenzione del morbo si consigliava di lavare i pavimenti con aceto e di strofinarli con aglio e acqua rosata.
Dando un’occhiata alle terapie vere e proprie utilizzate all’epoca riscopriamo: l’immancabile teriaca, vernaccia o malvasia. L’erba ersicaria, «essiccanti gli umori e riducente le febbri», lo zafferano, per il pallore della cute; l’olio di scorpioni spalmato sui bubboni. Sempre ai malati, inoltre, venivano somministrati oralmente composti a base di rabarbaro, erba cassia, coralli rossi, perle macinate, cannella e fiori di camomilla. Tra i rimedi contro la peste riportati nell’Hortus sanitatis, poi, figura anche la prassi di ungere polsi e narici con olio di canna, a scopo preventivo.
Iniziamo quindi questa presentazione delle erbe più comuni e usate, sia in fitoterapia sia quotidianamente a casa, partendo dalle possibili rappresentazioni e preparazioni che troviamo al supermercato o in farmacia o che possiamo realizzare direttamente noi, per poi passare alla trattazione delle erbe.
COLLUTORIO
Medicamento destinato alla cavità orale da svolgere mediante «gargarismo». È possibile applicarlo su gengive, denti e gola. Anche Ippocrate ne consigliava l’uso citando una soluzione a base di sale, allume e aceto.
DECOTTO
È una forma di tisana, si ottiene aggiungendo all’acqua fredda (possibilmente distillata) la parte della pianta contenente il principio attivo (droga). Il tutto viene poi portato a ebollizione a fuoco lento e mantenuto tale per un periodo variabile, in caso di fiori o foglie fino a 20 minuti, e fino a 30 minuti in caso di corteccia o radice. Spento il fuoco si lascia riposare per circa 10 minuti e successivamente il decotto è pronto per essere consumato. È un termine che venne coniato fra il 1350 e il 1400, poiché anche allora erano conosciute le proprietà terapeutiche delle erbe.
DISTILLATO
Rientra nelle metodiche di estrazione usate soprattutto per produrre alcolici, ma anche nella fitoterapia per la produzione di oli essenziali. Si basa su una tecnica di separazione (distillazione), in una miscela liquida, che sfrutta i diversi punti di ebollizione delle sostanze scelte. Utilizzato anche per produrre le «acque aromatiche».
ELISIR
Si ottiene lasciando macerare in alcol e zucchero le piante medicinali.
ESTRATTO
Si possono ottenere estratti fluidi, molli oppure secchi. La preparazione liquida prevede di sciogliere in alcol o acqua i principi attivi delle piante, o in alternativa gli estratti secchi o molli. Si somministra in gocce ed è molto usato per la facilità di controllo del dosaggio. L’estratto molle si ottiene per evaporazione parziale dei liquidi estrattivi; si può addizionare con appropriati conservanti antimicrobici. L’estratto secco si presenta come preparazione polverulenta e si ottiene per evaporazione totale del solvente a temperature inferiori a 50 °C, in modo da non alterare i principi attivi.
INFUSO
Si prepara versando acqua bollente sulla porzione di erbe prestabilite e lasciando riposare successivamente per un certo periodo di tempo, circa 10 minuti. È un metodo utilizzato per estrarre i principi attivi o gli aromi da piante officinali. Tè e camomilla sono degli esempi di infusi.
MACERATO
La macerazione è il processo più lungo, richiede anche 12 ore e più, e avviene in un liquido a temperatura ambiente. Si devono porre le erbe o le piante in ammollo in un fluido, generalmente acqua, ma è possibile usare anche altri liquidi, come l’alcol o il vino, per ricavarne il vino medicato. Con corteccia o radici si può arrivare a una temperatura di lavorazione massima pari a 35 °C, se superiore si parla non di macerazione ma di digestione.
OLIO ESSENZIALE
Gli oli essenziali sono miscugli oleosi di sostanze organiche che possono essere ottenuti per distillazione o per spremitura da un’unica tipologia di pianta officinale. Una volta estratti si presentano come sostanze oleose, liquide, volatili e con odore aromatico. Sono in genere incolori o di colore giallo pallido o tendenti all’arancione; se contengono composti azulenici possono risultare blu o verde-blu. Nella maggior parte dei casi si tratta di miscugli liquidi a temperatura ambiente, anche se non mancano i casi in cui il costituente principale è solido, come accade per l’olio essenziale di menta o di timo. La loro densità è spesso minore di quella dell’acqua, sulla quale galleggiano. Se esposti alla luce tendono a resinificare a causa della formazione di perossidi.
TINTURA
Si prepara generalmente lasciando a contatto con un solvente una certa quantità di erbe. La tintura madre (la più efficace) si ottiene lasciando in infusione fino anche a 21 giorni piante fresche, poiché contengono una maggiore quantità di principi attivi rispetto alla stessa varietà essiccata. Il rapporto tra la droga usata e il solvente è, se titolata, di 1:10.
TISANA
La tisana fa parte degli infusi, è destinata a essere bevuta ed è una preparazione realizzata versando acqua bollente su miscugli d’erbe essiccate o fresche. Le erbe hanno un’azione integrata poiché il loro potere viene migliorato.
Fa parte della famiglia delle Leguminose. È originaria del Nord America, ma si trova anche in tutta Europa e in Africa e Australia. Presenta delle foglie di un verde molto chiaro e i rami più giovani manifestano delle spine, abbastanza lunghe e appuntite. La corteccia ha un colore ligneo chiaro, quasi opaco. Trova il suo optimum nei suoli sciolti e ben drenati, anche poveri di nutrienti con una componente subacida, mentre mal si adatta ai terreni molto argillosi. Può diventare una specie invasiva, talvolta infestante se non tenuta sotto controllo.
Componenti
Il miele che se ne ricava possiede un basso contenuto di sali minerali ma grandi quantità di crisina, un potente flavonoide.
Caratteristiche
Sempre per quanto riguarda il prodotto mellifero di questa pianta, il sapore delicato e la sua bassissima acidità, il fatto che rimane liquido a qualsiasi temperatura e il suo odore leggero lo rendono l’unico miele monofloreale con tali caratteristiche. Inoltre esso ha un alto contenuto in fruttosio, motivo per il quale non cristallizza. La pianta presenta numerosi vantaggi: la resistenza a condizioni avverse, l’abbondante e profumata fioritura e la velocità di crescita. La rapida diffusione di questo vegetale è stata inizialmente favorita grazie, e non solo, alla bontà del suo legno, ma ha anche la funzione di pianta nettarifera e specie ornamentale.
Modalità d’uso
Molto utile come decotto per fare pediluvi contro il mal di testa, un vero toccasana.
Tossicità / Effetti collaterali
Nessuno da segnalare.
Curiosità
«Hitler, tosse e miele di acacia»
Adolf Hitler era sempre stato convinto che gli ariani appartenessero a una razza superiore, grande, forte e invincibile; il problema era convincere di tutto questo anche i suoi nemici, Churchill e Stalin in primis. L’unico ad aver validato queste teorie era stato Tacito, scrittore latino che, nel suo trattato Germania, aveva espresso la sua ammirazione per questo popolo eroico, fiero e impavido. Per l’operazione propagandistica del Führer, però, era necessario il manoscritto autentico, e Hitler incaricò il capo delle SS, Heinrich Himmler, di recuperarlo. Il testo originale si trovava a Jesi nella libreria del conte Balleani, un nobile marchigiano. Le SS cercarono invano di acquistare il manoscritto, e infine la Gestapo, forte dei suoi metodi convincenti, irruppe nella casa del conte per prendere il libro con la forza. Il Balleani però aveva intuito il tutto e l’aveva nascosto in una cassa di legno rinforzato nelle cucine. In seguito il conte inviò il testo a Firenze, depositandolo in una cassetta di sicurezza del Banco di Sicilia. La guerra finì, il conte morì, nessuno ebbe più notizie del prezioso libello, finché il 4 novembre del 1966 l’esondazione dell’Arno allagò Firenze devastando pinacoteche e antiche librerie; fortuna volle che un volontario notasse galleggiare in piazza Signoria una strana cassetta di legno di acacia, dentro c’era il capolavoro di Tacito che fu poi restaurato dai monaci amanuensi dell’abbazia di Grottaferrata.
Il legno d’acacia è infatti pressoché immarcescibile e ha altre mille virtù: pochi sanno che nel secolo scorso nelle gallerie di molte miniere furono sostituiti i travicelli di castagno con quelli di acacia perché, a differenza di altri legni, prima di rompersi «cantavano» con scricchiolii e cioè avvisavano i minatori che la galleria stava per cedere, salvando così migliaia di vite umane. Ma l’acacia è preziosa anche in fitoterapia: i suoi decotti hanno forte potere antinfiammatorio e decongestionante delle vie respiratorie e il modo migliore per sfruttare queste virtù è attraverso il miele di acacia.
Fa parte della famiglia delle Liliacee. Può essere bianco oppure tendente al rosso. In entrambi i casi comunque, una volta tolti i filamenti esterni, gli spicchi risultano bianchi. Le origini sono da ricercarsi in Asia, ma la sua rapida diffusione lo ha visto subito «trapiantato» anche nelle aree mediterranee, ed era già conosciuto e apprezzato nell’antico Egitto. L’odore pungente dell’aglio è causato dai suoi numerosi composti organici solfurei, tra cui l’allicina e i...