Lo Stato necessario
Lavoro e pubblico impiego nell'Italia postindustriale
- 608 pagine
- Italian
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Informazioni sul libro
Dall'unità d'Italia a oggi, l'inefficienza della nostra pubblica amministrazione è passata indenne attraverso un'infinità di scrupolose rilevazioni, coraggiose denunzie, volenterose riforme. Al fallimento di tali riforme può aver contribuito il fatto che i giuristi hanno proceduto da soli al disegno della macchina burocratica, laddove sarebbe stato necessario un approccio multidisciplinare. Eppure, lo sviluppo della società postindustriale impone servizi pubblici sempre più sofisticati, e per assicurare tali servizi si deve saper progettare con dovuto anticipo una pubblica amministrazione capace di erogarli. E per progettare occorre prevedere. Nasce da queste constatazioni la ricerca condotta da Domenico De Masi, focalizzata sul lavoro dei dipendenti pubblici: oltre tre milioni di persone tra operai, impiegati, funzionari e dirigenti cui spesso si imputa l'inadeguatezza della macchina statale, un apparato indispensabile che rappresenta anche il principale datore di lavoro del nostro Paese. Lo Stato necessario unisce una lettura storica del fenomeno burocratico e l'analisi sociologica di tale fenomeno inteso come «iperogetto» alla previsione dello scenario evolutivo più probabile, proiettato nel prossimo decennio. Coadiuvato da undici tra i massimi esperti in materia, De Masi indaga le variabili centrali che determinano l'evoluzione organizzativa della pubblica amministrazione: il rapporto tra domanda e offerta, la reazione ai trend demografici, l'impatto del progresso tecnologico, la gestione delle risorse umane, la conflittualità, il ruolo dei corpi intermedi come i sindacati, il bilanciamento tra lavoro e vita privata. Una ricerca preziosa che va a colmare una lacuna profonda nel panorama sociologico non solo italiano, offrendo ai tecnici, agli studiosi, ai cittadini comuni e soprattutto ai dipendenti pubblici un ritratto dell'amministrazione statale severo ma non privo di speranza.
Domande frequenti
Informazioni
Lo scenario 2030
La società postindustriale
butera. Domenico De Masi fin dagli anni Settanta ha rappresentato l’avvento di una società postindustriale: imprese, amministrazioni, tipologia di consumi, lavori, culture, valori e molto altro che si allontanavano dal modello industriale. Tutto questo è avvenuto in una misura e con una penetrazione superiore forse a quanto era stato previsto da lui e da Daniel Bell.I massicci mutamenti della società, delle organizzazioni, dei lavori e soprattutto delle persone in atto sono stati approfonditi dal lavoro di Domenico De Masi e ben sintetizzati anche nella premessa di questa domanda che condivido pienamente.Il volume delle attività e dell’occupazione nei servizi (terziario) in Italia ha raggiunto il 75%. Includiamo in questi valori i servizi distributivi, (trasporti, comunicazioni, commercio); i servizi alla produzione (credito, finanze, assicurazioni; gestione immobiliare; contabilità e ragioneria; servizi legali; servizi «bassi» alle aziende, come pulizie, sicurezza, mense); i servizi sociali, (pubblica amministrazione e suoi apparati, sanità, istruzione, servizi ambientali); i servizi alla persona (ristorazione, alberghi; riparazioni, lavanderie e tintorie, servizi ricreativi e sportivi, servizi di bellezza).Tutto ciò non implica una deindustrializzazione ma un diverso modello di industrializzazione. Il 20% del settore del manufacturing rimane primario per l’economia e la società italiana, anche perché è quella in cui l’Italia mantiene il proprio vantaggio competitivo verso altri Paesi. Di quel 75% di servizi ben il 40% sono business services. In più, le imprese industriali contengono una intensità di servizi alla produzione (terziario interno) senza precedenti e che sta aumentando: mi riferisco a tutte le attività di governo, amministrazione pianificazione controllo, progettazione e gestione delle tecnologie, gestione del personale e molto altro. L’alto contenuto di lavoro della conoscenza, l’associazione fra beni fisici prodotti e servizi (servitization) caratterizza ormai le imprese industriali e agricole avanzate, come dice l’istat.Le innovazioni tecnologiche che si succederanno sono già rivoluzionarie e stanno cambiando il modo di lavorare, di vivere e l’antropologia delle popolazioni; le città cambieranno; l’immigrazione trasformerà l’Italia in un Paese multietnico; valori e culture dei diversi segmenti della popolazione muteranno profondamente; e molto altro. La società italiana sarà quella che progetteremo: Italy by design. Il futuro delle organizzazioni e del lavoro sarà in ogni caso dominato da alcune questioni chiave: a) il modello o i modelli di società e di modi di produzione; b) il modello o i modelli di organizzazione e di lavoro.
- Il modello rappresentato dalla società industriale conteneva un paradigma intellegibile, governabile su cui le persone interagivano e confliggevano. Dire società postindustriale oggi non basta. Il taylor-fordismo (la punta più avanzata della società industriale) è stato ben più che un sistema di produzione. Fu un modello di regolazione dell’economia, del lavoro e della società condiviso fra imprenditori, poteri pubblici, istituzioni educative, sindacati: tutti sapevano «a che gioco si stava giocando». Il post fordismo non si sa cosa sarà e rischia di essere un «fordismo aumentato» se non verranno sviluppati e progettati nuovi paradigmi di società, di modi di produzione, di organizzazione, di lavoro. I paradigmi non sono ideologie ma linee guida di faticosi processi di progettazione, e si affermano solo se sono stati realizzati in progetti concreti.
- Le organizzazioni e il lavoro cambieranno profondamente: le nuove combinazioni di processi, strutture organizzative, tecnologie, ruoli e professioni, culture, comportamenti non saranno la mera derivata dei profondi cambiamenti di contesto citati ma il risultato di progetti rispondenti a una pluralità di criteri economici e sociali. I progetti riguarderanno le piattaforme produttive, le reti d’imprese e istituzioni, l’organizzazione delle singole imprese e amministrazioni, il funzionamento dei gruppi di lavoro, i mestieri e le professioni. La rigenerazione e l’innovazione delle organizzazioni e dei lavori e lo sviluppo di nuovi paradigmi diventerà una questione nazionale. Questa trasformazione non potrà avvenire senza una qualche regolazione e non potrà essere affrontata per editto di un unico soggetto (legislatore, governo, imprenditore che sia).
Il problema del deficit d’innovazione e produttività in Italia è la microeconomia, ossia l’organizzazione. Non sono cioè richieste solo manovre economiche ma politiche pubbliche sul sostegno organizzativo e formativo e sulla rimozione di vincoli sociali e normativi alle imprese, alle pubbliche amministrazioni, al no profit, al lavoro autonomo.I prossimi dieci anni saranno anni di progettazione delle organizzazioni e dei lavori, non contemplazione di effetti: la loro configurazione, per la loro complessità, richiederà l’interazione fra più soggetti portatori di culture diverse. L’esito sarà profondamente diverso qualora tale interazione sarà basata solamente sulla negoziazione degli interessi («tavoli» in cui prevarranno gli interessi più forti) o piuttosto su metodologie ed etiche di progetto («reti organizzative» orientate a raggiungere risultati). Questa è una faccenda politica che riguarda il modo di cambiare.Emergerà in Italia una rete di soggetti pubblici e privati che lanceranno e supporteranno un percorso collaborativo, un programma di potenziamento del patrimonio microeconomico, come è avvenuto in Giappone e in Germania dopo la guerra, come hanno fatto gli Stati Uniti dalla Tenesse Valley Authority dopo il 1929 al «Reinventing Government» di Clinton e Gore.Questo dovrebbe essere il ruolo dello Stato: pianificare, promuovere, attivare, regolare, per portare a unità le molte iniziative disperse e far emergere l’incalcolabile patrimonio di esperienze, best cases, progetti in corso nei sistemi di organizzazioni private e pubbliche e diffondere modelli, soluzioni, metodi e soprattutto valorizzare e far circolare le persone che hanno fatto queste esperienze.costa. Da qui al 2030, come si manifesterà in Italia la transizione dalla società industriale alla società postindustriale? La transizione non sarà uniforme. Aree avanzate convivranno con aree arretrate.Quali valori emergeranno e quali declineranno?Ecologia, qualità della vita, edonismo in aumento. Solidarietà, equità in declino.Come evolveranno i concetti di Stato e di cittadino?Lo Stato, fornitore di servizi collettivi, perderà la valenza identitaria. Il Cittadino sarà come destinatario di servizi.E come evolveranno i rapporti tra loro?Rapporti di scambio, principio di utilità.La ricchezza prodotta dal nostro Paese crescerà? Di quanto? Se la rivoluzione digitale si consolida, accanto alla consapevolezza di arrestare e risanare il degrado del pianeta ci sarà un ciclo lungo di crescita a livello mondiale di cui beneficerà (in parte) anche l’Italia.La ricchezza, il potere, il sapere si accentreranno o si distribuiranno più equamente?Si accentreranno ma l’accentramento non sarà superiore al limite che lo renderebbe disfunzionale alla crescita.Se, a suo avviso, si accentreranno, quali conseguenze ne deriveranno sull’equilibrio economico, sociale e politico?Ci saranno reazioni di tipo correttivo, non rivoluzionarie.franzini. Da qui al 2030, come si manifesterà in Italia la transizione dalla società industriale alla società postindustriale? Quali valori emergeranno e quali declineranno? Come evolveranno i concetti di Stato e di cittadino? E come evolveranno i rapporti tra loro?Il settore dei servizi si espanderà come quota dell’occupazione più che come quota del valore aggiunto. Al suo interno vi sarà eterogeneità nelle dinamiche, con ritmi più sostenuti di espansione per produzione di software e consulenza aziendale, da un lato, e servizi alla persona, dall’altro. Questo processo porterà con sé anche un nuovo disegno dei confini tra pubblico e privato con relativo ampliamento di quest’ultimo, così come del no profit. In ambiti specifici le piattaforme potranno favorire il formarsi di cooperative di servizi in grado di limitare il fenomeno dei gig workers. La crescita dei servizi favorirà in generale l’estendersi del lavoro a distanza in un contesto di tendenziale polarizzazione tra piccole imprese e self-employment da un lato e grandi imprese, con ampio ricorso al telelavoro, dall’altro.Per effetto di queste tendenze si rafforzerà, presso ampi segmenti della popolazione, l’idea del lavoro come esperienza di «individualismo connesso» in un contesto di bassa fiducia, anche per effetto della difficoltà a contenere comportamenti digitali di tipo opportunistico. Una conseguenza sarà anche la perdita d’importanza del valore della reputazione personale favorita dalla minore importanza delle comunità.L’attitudine alla cooperazione persisterà in alcune nicchie produttive e si esprimerà soprattutto in attività non lavoristiche, in buona parte collegate a varie forme di cittadinanza attiva. Ciò avverrà con più difficoltà all’interno delle grandi aree urbane.Lo Stato apparirà più lontano per diversi motivi: per l’apparente maggiore incidenza sulla vita quotidiana di norme formatesi al di fuori dei meccanismi governati dallo stato e largamente derivanti da processi di mercato; per la sfiducia nella politica che si trasmette allo Stato; per la minore frequenza «fisica» dei luoghi pubblici in virtù della digitalizzazione della pubblica amministrazione.La ricchezza prodotta dal nostro Paese crescerà? Di quanto? La ricchezza, il potere, il sapere si accentreranno o si distribuiranno più equamente? Se, a suo avviso, si accentreranno, quali conseguenze ne deriveranno sull’equilibrio economico, sociale e politico?Il pil complessivo crescerà nel decennio a tassi medi annui inferiori all’1% e nel 2030 sarà di circa l’8% superiore a quello attuale. Crescerà il contributo dei servizi alla creazione di ricchezza in rapporto alla manifattura anche grazie alle maggiori esportazioni di servizi.Il reddito pro capite medio crescerà relativamente poco per effetto di andamenti molto più sostenuti nella parte alta della distribuzione dei redditi rispetto alla parte bassa.Non s’invertirà la tendenza a una distribuzione dei redditi e della ricchezza molto diseguali e solo in minima parte collegata al merito. Anche le disparità territoriali resteranno largamente invariate, soprattutto quelle che riguardano le attività produttive.Tutto ciò avrà riflessi sul funzionamento della democrazia che sarà condizionato dall’accentramento di potere economico e dalla diseguale distribuzione della conoscenza che, peraltro, non sarà garanzia di mobilità sociale ascendente per chi proviene da background svantaggiati.Forme di cooperazione e di cittadinanza attiva stempereranno gli effetti potenzialmente assai destabilizzanti di una situazione ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Lo stato necessario
- Prefazione
- Introduzione
- Prima Parte: Sociologia del fenomeno burocratico
- Seconda Parte: La ricerca
- Terza Parte: Lo scenario 2030
- Appendici
- Biografie degli esperti consultati
- Cronologia
- Bibliografia
- Indice dei nomi
- Copyright