Odiare l'odio
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Odiare l'odio

Dalle grandi persecuzioni del Novecento alla violenza sui social: le conseguenze tragiche di una malattia del nostro tempo

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
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Odiare l'odio

Dalle grandi persecuzioni del Novecento alla violenza sui social: le conseguenze tragiche di una malattia del nostro tempo

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L'odio è la malattia sociale del nostro tempo, stravolge coscienze e rapporti umani, si impadronisce delle nostre parole, è il grande incubatore della violenza. Il nuovo libro di Walter Veltroni è un viaggio nell'universo dell'odio che parte da un passato a cui dobbiamo impedire di ritornare (il ventennio fascista, gli anni di piombo) per approdare a un difficile presente segnato da una decrescita tutt'altro che felice, dalla mancanza di prospettive per i giovani in un Paese di vecchi, dalla paura di un futuro in cui a lavorare saranno le macchine e ad accumulare profitti i giganti tecnologico-finanziari. È questo il terreno di coltura di un odio alimentato e amplificato dai social, in cui le parole diventano pietre per colpire, non solo metaforicamente, chi è diverso per etnia, per religione, per inclinazioni sessuali, per opinioni politiche, chi è debole, chi appare come una minaccia o come un capro espiatorio. L'odio sembra una valvola di sfogo, ma in verità ci rende schiavi, ci impedisce di comprendere la realtà, ci fa sentire più soli e infelici. E fa vacillare la democrazia. A chi semina odio e paura bisogna rispondere con il linguaggio della ragione e della speranza. "Se noi che odiamo l'odio troveremo le parole giuste, allora la libertà avrà un futuro. E nel futuro ci sarà libertà."

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2020
ISBN
9788858699973

L’odio sui social

Washington, autunno 2016, una settimana prima delle presidenziali americane: una tranquilla pizzeria frequentata da famiglie con bambini, il Comet Ping Pong, riceve decine di recensioni negative sulle sue pagine online, e il suo proprietario, James Alefantis, diventa oggetto di insulti sempre più violenti su Instagram. Gli insulti si trasformano in minacce («Ti ucciderò con le mie mani») e Alefantis si rende conto che su Facebook, su Reddit, sul sito 4chan – frequentato da suprematisti bianchi e da gruppi apertamente neonazisti – e nell’account Twitter di Breitbart News, l’agenzia di stampa da cui proviene lo stratega della campagna elettorale di Trump, Steve Bannon, viene accusato di ospitare nel suo locale una cerchia di pedofili e satanisti che, guidati da Hillary Clinton, gestiscono una rete di rapimenti e molestie.
Ovviamente è una «notizia» fondata sul nulla. Tutto è cominciato con una pretestuosa interpretazione di un messaggio innocuo trovato nelle email trafugate a John Podesta, capo del comitato elettorale della Clinton (e cliente del Comet), e pubblicate da WikiLeaks. Poi sono arrivati detective improvvisati che si sono messi a fotografare di nascosto le porte di bagni «sospetti», quindi l’ondata di odio online. Dopo circa un mese, però, si è presentato un tizio armato di fucile che ha sparato un colpo nel locale, per fortuna senza ferire nessuno. Il quotidiano online «il Post», che ha raccontato la vicenda, riporta le parole di James Alefantis: «Quello che è successo oggi dimostra che promuovere teorie cospirazioniste false e sconsiderate ha delle conseguenze. Spero che coloro che sono stati coinvolti nella loro diffusione si prendano un momento per riflettere su quello che è successo oggi, e la smettano subito di promuovere queste falsità».
Ciò che colpisce, in questa storia, è la pretestuosità. Il Comet Ping Pong potrebbe essere un qualunque locale di una qualunque città, anche italiana. Come è possibile che, senza alcun motivo, un locale o una persona diventino un vero e proprio oggetto di persecuzione? È successo anche nel nostro Paese. Il bar di una ragazza di origine marocchina – è una ragioniera, nata in Italia – ha avuto la vetrina sfondata e scritte razziste accompagnate dall’immancabile croce uncinata.
Alle radici c’è sempre un clima di odio: un’ondata di odio – prodotta da una miscela esplosiva di crisi economica (reale o percepita), incertezza del futuro, false notizie, teorie cospirazioniste, caccia al «nemico» (dapprima solo virtuale) – che attende solo un bersaglio su cui concentrarsi, e a questo punto interviene una consapevole propaganda senza scrupoli. E se nel caso del Comet Ping Pong la violenza generata dall’odio ha prodotto solo un grosso spavento e qualche danno, in altre circostanze le cose sono andate molto, molto peggio.
Il 3 agosto 2019, a El Paso, in Texas, un suprematista bianco, Patrick Crusius, si è messo a sparare in un Walmart uccidendo ventidue persone e ferendone altre ventiquattro. Pochi minuti prima della strage, Crusius aveva caricato su 8chan, altro ricettacolo di gruppi violenti e razzisti, un «manifesto» di una decina di cartelle in cui sosteneva di voler «difendere semplicemente il mio Paese dalla sostituzione culturale ed etnica portata avanti per mezzo di un’invasione» (le vittime dell’attentato erano ispaniche).
Molti esponenti del Partito democratico, giornalisti e studiosi non hanno avuto difficoltà a mostrare i legami tra il proclama del killer e quanto scritto e detto da Trump in comizi, tweet e pubblicità elettorali. Pochi giorni dopo la strage di El Paso, un lungo articolo del «New York Times» ha messo in fila dati, esempi e pareri autorevoli. Nel 2015, sempre in Texas, Trump aveva detto: «Tutto ciò che arriva dall’altra parte della frontiera – gli immigrati illegali, le auto, tutto – è una gran schifezza, puah. È come il vomito». La parola «invasione», usata da Crusius a proposito degli immigrati, regolari o irregolari, che inondano gli Stati Uniti, è una specie di mantra, ripetuto da Trump per sostenere la costruzione del muro lungo la frontiera con il Messico. In un tweet del luglio 2015 si era rivolto così, in tutto maiuscolo, ai suoi critici: «DOVRESTE PRENDERVELA CON L’INVASIONE DI MILIONI DI ILLEGALI CHE STANNO OCCUPANDO L’AMERICA! NON CON DonaldTrump». «Invasione» è stato il ritornello della sua campagna per le elezioni di metà mandato e lo è già anche in vista delle presidenziali 2020. Nel febbraio 2019 una sua pubblicità su Facebook diceva: «È FONDAMENTALE FERMARE L’INVASIONE». Il mese seguente, davanti a un pubblico di attivisti conservatori, aveva difeso l’uso del termine: «Ai miei avversari non piace che io lo dica, ma è vero che siamo invasi. Siamo invasi dalla droga, dalla gente, dai criminali. E dobbiamo fermare quest’invasione».
Anche se (ammoniscono gli studiosi) è sempre difficile stabilire un legame di causa-effetto tra la propaganda politica e l’azione di squilibrati, è evidente però che mentre i presidenti prima di Trump (anche quelli repubblicani) si erano sempre tenuti alla larga dal mondo razzista e paranazista dei suprematisti bianchi, Trump al contrario l’ha corteggiato. Sostiene Nathan P. Kalmoe, un professore della Louisiana State University esperto di hate speech: «Le persone che compiono questi attentati sono già violente e piene di odio. Ma i leader politici e gli opinionisti schierati incoraggiano l’estremismo ogni volta che mostrano di condividere le idee del suprematismo bianco e usano un linguaggio violento. Vedere che la persona più potente della terra fa eco alle loro posizioni così cariche d’odio può persino dare agli estremisti la sensazione dell’impunità». Intervistato nello stesso articolo dal «New York Times», David Livingstone Smith, autore di Less Than Human, un libro sulla «disumanizzazione» di intere categorie di persone, afferma che Trump ha imbaldanzito quegli americani che professano opinioni che solo pochi anni fa erano ritenute socialmente inaccettabili. «Certe posizioni hanno sempre fatto parte della vita americana. Ma Trump ha dato a quelle persone il permesso di dire ciò che pensano. È come il crack. È qualcosa di molto potente. Il permesso di essere “autentici” è qualcosa di molto, molto potente. Certa gente è emersa dalle ombre.»
Sono molti i casi americani in cui il circolo vizioso fake news-reazione emotiva-odio-violenza ha poi generato sangue e morte. Spesso chi ha compiuto stragi in scuole, università, sinagoghe ha filmato la sua azione. Proprio per sentirsi pienamente parte – in quel momento persino leader, riscattando disagi profondi – di un movimento di hater che alimenta il circuito ufficiale della rete e quella specie di blob dell’illegalità che è racchiuso nel dark web. Bisognerebbe studiare i bellissimi documentari di Netflix The Great Hack, dedicato a Cambridge Analytica, e Giù le mani dai gatti per capire come quel circuito perverso possa alimentarsi fino a condizionare le esistenze dei singoli e della collettività, fino a segnare persino il destino della storia politica e civile di tanti Paesi. In Francia il ristorante frequentato da Macron è stato dato alle fiamme. Una sera, a teatro, uno spettatore aveva segnalato sui social la presenza del presidente francese, e subito all’esterno si erano radunate centinaia di persone per urlare insulti.
In Italia la situazione non è differente. La Mappa dell’intolleranza è un progetto ideato da Vox – Osservatorio italiano sui diritti, ed è fondata sull’analisi dei tweet. Ecco il quadro emerso dall’indagine svolta nel 2019.
«Il trend di medio periodo consente di individuare un andamento dell’odio online che colpisce soprattutto alcune categorie. Svetta nella classifica dell’intolleranza la combinazione migranti/musulmani/ebrei. L’odio contro i migranti registra un più 15,1 per cento rispetto allo scorso anno e sul totale dei tweet che hanno ad oggetto i migranti, quelli di odio sono ben il 66,7 per cento. Sul totale dei tweet negativi, inoltre, quelli contro i migranti sono circa il 32 per cento: vale a dire che un hater su tre si scatena contro “lo straniero”. L’intolleranza contro gli ebrei, di fatto quasi inesistente fino al 2018, quest’anno registra un più 6,4 per cento (76,1 per cento sul totale dei tweet sugli ebrei). Mentre l’intolleranza contro i musulmani registra un netto aumento (+6,9 per cento) e resta alta (74,1 per cento sul totale dei tweet sui musulmani) e si lega soprattutto alla percezione di eventi internazionali.»
Quasi il 60 per cento (57,59 per cento) dei tweet ha dunque al centro migranti, ebrei e musulmani, e tra questi il totale dei tweet di odio è altissimo, l’assoluta maggioranza, prefigurando atteggiamenti e disposizioni di forte intolleranza contro persone considerate «aliene». Nel 2018 tale percentuale si attestava sul 36,92 per cento.
In pole position, nella classifica drammatica dell’odio online, si posizionano anche le donne, stabili nel mirino degli hater (+1,7 per cento di tweet negativi rispetto al 2018), ma più colpite in tandem con le persone omosessuali, in occasione di attacchi concentrici, attizzati da eventi locali o internazionali forieri di polemiche, quali il Congresso delle famiglie di Verona o le diatribe sulle famiglie arcobaleno. I gay però sono l’unica categoria per la quale, rispetto all’anno precedente, sono diminuiti (del 4,2 per cento) i tweet negativi. Segno, anche, del cambiamento culturale prodotto dall’approvazione della legge sulle unioni civili e dalle tante campagne di sensibilizzazione.
Secondo i dati dell’Oscad, l’Osservatorio interforze per la sicurezza contro gli atti discriminatori, nel 2019 si sono registrati 969 reati che hanno a che fare con razzismo, identità di genere e disabilità. Dati in crescita rispetto al 2016, quando si registrarono 736 crimini. Significa che nel 2019, ogni giorno, sono stati compiuti 2,6 reati di questo genere, uno ogni nove ore. E la differenza è ancora più marcata se si guardano i soli dati relativi alle violenze, fisiche e verbali, che hanno a che fare con razza, etnia, nazionalità o religione: nel 2019 ne sono state segnalate 726, molte di più delle 494 del 2016. Sempre sul fronte razzismo, si registra un aumento delle aggressioni fisiche (93, erano 28 nel 2016), degli incitamenti alla violenza (da 220 a 234), degli atti di vandalismo (da 5 a 10) e delle turbative della quiete pubblica (da 49 a 91).
Amnesty International Italia ha condotto un monitoraggio sull’hate speech online analizzando i contenuti pubblicati su pagine Facebook e account Twitter dei candidati ai seggi italiani e dei leader di partito in occasione della campagna elettorale per l’elezione del Parlamento europeo. Il risultato è Il barometro dell’odio – Elezioni europee 2019.
Il rapporto di Amnesty giunge a conclusioni molto simili a quelle dell’indagine Vox, e chiude con un’esortazione a combattere l’odio online, fornendo anche consigli pratici: «Nella battaglia per il contrasto all’hate speech tutti possono scendere in campo: dove la moderazione dei social network e dei portali d’i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Vivere nell’odio
  4. La nostra età dell’odio
  5. Le cause della paura
  6. L’odio sui social
  7. L’inutile nostalgia del passato
  8. Tempo e democrazia
  9. Anche questo è vero
  10. La paura nascosta
  11. Contro l’odio, la speranza
  12. Copyright