Nel monastero di Crest (Nero Rizzoli)
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Nel monastero di Crest (Nero Rizzoli)

  1. 320 pagine
  2. Italian
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Nel monastero di Crest (Nero Rizzoli)

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NERO RIZZOLI È LA NUOVA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI «Signora, scenda dall'auto.» Sono due ore che il tenente Perceval Benoit della gendarmeria di Crest, villaggio storico nel cuore della Drôme, aspetta seminascosto nella boscaglia che qualcuno superi i limiti di velocità. Adesso la Peugeot 205 è ferma davanti a lui, finalmente, e questa scena esatta, unita agli istanti immediatamente successivi, rimarrà per sempre impressa nella mente di Benoit.
La conducente, infatti, invece di ubbidire all'ordine, ingrana la marcia e si dà alla fuga, ma al primo tornante sfonda il guardrail e precipita in un fossato. Per lei, la morte è istantanea, ma l'altra passeggera, una bambina di otto anni di nome Léa, è ferita gravemente e portata all'ospedale. Di lì a poco, nello stesso bosco, a poche centinaia di metri, il corpo di un uomo viene rinvenuto sulla sponda del fiume Drôme.
Una vittima sconosciuta, una bambina in coma, un cadavere privato degli occhi: è questo il macabro elenco del rapporto che Benoit consegna alla squadra di esperti della gendarmeria nazionale, arrivati nella cittadina per fare luce sul caso - anzi, su quei casi apparentemente scollegati tra loro, che in comune sembrano avere soltanto un luogo: il monastero di Crest, sorta di eremo staccato dal mondo, dove da anni la sessantenne Joséphine Ballard offre riparo e conforto alle sue ospiti, tutte donne spezzate, gravate da un passato doloroso, vegliando su di loro al pari di un'agguerrita mamma aquila.
La scrittrice lanciata nell'universo del nero francese da Michel Bussi conferma le sue abilità narrative dando forma a un'indagine dall'architettura complessa in cui l'assolata campagna francese si tinge ancora una volta di sangue.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2020
ISBN
9788858699898

1

Venerdì 2 maggio

Erano ormai due ore che il tenente Benoit se ne stava a brontolare tra sé nella boscaglia mentre il collega pazientava nella Renault Mégane parcheggiata un po’ indietro rispetto alla strada. Quando era entrato a far parte della gendarmeria di Crest, Benoit aveva ambizioni diverse dal rintanarsi dietro un cespuglio, con un telelaser al posto del binocolo. Era la terza volta in una settimana che lo assegnavano ai controlli stradali. La D538 non aveva più segreti per lui, ma non era certamente un’impresa di cui aveva voglia di vantarsi.
Di eccessi di velocità, il tenente ne aveva già riscontrati quattro in quel rettilineo in discesa. C’era da dire che i nuovi limiti non avevano riscosso un consenso unanime tra gli abitanti della regione. A titolo personale, Benoit era quasi disposto a condividere il parere di chi protestava, ma in quanto membro delle forze dell’ordine il suo parere non era richiesto.
Una Peugeot 205 comparve all’orizzonte e un lieve sorriso gli si disegnò sulle labbra. Il padre gli parlava spesso di quell’anticaglia che aveva avuto in regalo per i suoi diciotto anni e di come se ne fosse servito per rimorchiare la madre. Benoit senior si era preso cura della sua 205 con la stessa tenerezza che avrebbe avuto con un animale da compagnia, e alla fine la Peugeot era diventata a tutti gli effetti un membro della famiglia. E quando un bel mattino li aveva piantati in asso, in una stradina di campagna, i Benoit avevano rispettato una settimana di lutto prima di ammettere che dovevano sostituirla.
Anche la Peugeot 205 che imboccava la discesa della D538 non avrebbe tardato a rendere l’ultimo respiro, il tenente ne era convinto, perciò non lo stupiva vederla viaggiare a una velocità così ridotta. Stava per abbassare il telelaser e concedersi una pausa quando si accorse che l’auto faceva una sbandata. Il conducente raddrizzò alla svelta la traiettoria prima di perdere di nuovo il controllo. La macchina procedeva a zigzag da una parte all’altra della strada come in una coreografia su quattro ruote.
Benoit si affrettò ad avvertire il collega perché spostasse la Renault blu, per renderla visibile dalla strada, poi prese posizione sull’asfalto. Una mano tesa in avanti, l’altra che impugnava un fischietto, muto da parecchio tempo.
L’alt ebbe l’effetto desiderato. La 205 interruppe il balletto, ritrovò stabilità e accostò a lato carreggiata.
La conducente era una donna sulla quarantina che lo subissò di giustificazioni prima ancora che il gendarme avesse il tempo di aprire bocca.
«Mi dispiace, agente, ho fatto cadere il telefono mentre attivavo il vivavoce.»
Il tenente Benoit aveva sentito scuse ben più strampalate di quella, ma il nervosismo dell’interlocutrice lo invogliò ad aumentare la pressione su di lei. Si concesse quel piccolo piacere. Non ne andava orgoglioso, ma fare uso della sua autorità lo aiutava a sopportare le mansioni che gli venivano assegnate.
«Quanti anni ha sua figlia?» domandò in tono freddo indicando con il mento la bambina sul sedile del passeggero.
«Otto anni, perché?»
«Il suo posto è dietro, signora. Lei contravviene al codice della strada facendola sedere al suo fianco, il che è passibile di multa.»
«È piuttosto alta per la sua età» si difese lei, «e dietro le viene la nausea.»
Il panico della donna cresceva sensibilmente. Non la smetteva di lanciare occhiate alla sua destra, poi verso il gendarme, con le sopracciglia sollevate ad accento circonflesso, accelerando il flusso di parole.
«Non andiamo lontano, agente…»
«Tenente!»
«Sì, scusi, tenente. Devo fare un salto in città. Siamo quasi arrivate. Per favore, sia gentile.»
«Non si tratta di essere gentili, signora» ribatté Benoit, anche se la donna cominciava a fargli pena. «Lei guidava in modo imprudente pur essendo responsabile della sicurezza di questa bambina. Gli incidenti non capitano solo durante i lunghi tragitti. Dovrebbe saperlo.»
La donna emise un lungo respiro prima di provare a negoziare un’ultima volta.
«Mia figlia non si sente bene. Volevo farla stare meglio.»
La voce era carica di tristezza e il tenente Benoit giudicò di aver tormentato a sufficienza quella madre di famiglia. Si chinò fino ad appoggiare i gomiti sul finestrino abbassato e, allungando il collo, si rivolse alla bambina: «Stavolta lascio perdere, ma finché non compirai dieci anni dovrai stare dietro, d’accordo? Altrimenti tua madre rischia di passare dei guai, e sono sicuro che tu questo non lo vuoi».
La piccola, che fino a quel momento non aveva detto una parola, gli rivolse uno sguardo duro e disse, glaciale: «Lei non è mia madre».
La donna si morse il labbro inferiore, cosa che non sfuggì a Benoit. La interrogò con lo sguardo ma lei non gli badò e si rivolse dolcemente alla bambina: «Non confondere il signore, Léa. Tu sei come mia figlia, è ciò che conta, lo sai».
«Finiscila!» sbottò la bambina. «Continuate a dirmelo ma non è vero. Non sei mia madre, nessuna di voi è mia madre! Ridatemi la mia mamma!»
Allora la donna si girò lentamente verso il gendarme e gli disse sottovoce: «La madre è morta il mese scorso. Infarto. Tentiamo di fare del nostro meglio, ma non è sempre facile».
«Non è morta!» urlò la piccola a squarciagola. «Se n’è andata, ed è solo colpa vostra!»
«Non dire stupidaggini, Léa» la interruppe la donna posando una mano salda sul braccio della bambina. «Lo capisci che non è il momento?»
Il tono era diventato più aspro, abbastanza da spingere il tenente a intervenire.
«Che vuoi dire con “colpa vostra”, Léa?»
«Non la stia a sentire, tenente» reagì con vivacità la conducente. «Ce l’ha col mondo e parla a vanvera!»
«La faccia rispondere» disse Benoit, stavolta con un piglio più brutale.
La donna tacque, ma i suoi gesti tradivano l’agitazione crescente. Benoit la sbirciava con la coda dell’occhio, aspettando la risposta della bambina.
La piccola finalmente ubbidì, con aria imbronciata, come se fosse convinta che in ogni caso le sue parole non sarebbero state ascoltate.
«Mamma mi ha detto che dovevamo scappare. Che avevamo trovato il 6-6-B e che perciò ci toccava andare via da lì. Mi ha detto di preparare le mie cose mentre andava a prendere la macchina. Ho aspettato per un bel po’, ma non è mai tornata. È stata Hélène a dire che era morta. Ha detto che il suo cuore aveva smesso di battere. Capita, a volte. Ma io lo so che non è vero. Lo so che se n’è andata per colpa loro. Perché mamma ha trovato il 6-6-B
La donna aveva il respiro pesante, si intuiva che si tratteneva dall’urlare contro la bambina. Le parole della piccola non avevano alcun senso per Benoit, ma l’atteggiamento della sua accompagnatrice era decisamente sospetto.
«Signora, scenda dall’auto, per favore.»
Avrebbe potuto dire un’altra frase, agire in modo diverso? Quella domanda, il tenente Benoit se la sarebbe posta a lungo, molto a lungo. Avrebbe rivissuto quella scena nei minimi particolari, cercando di capire se gli sarebbe stato possibile evitare i fatti che ne derivarono. A partire da quel giorno, da quell’istante, la vita del gendarme non fu mai più la stessa e nessuno lo avrebbe mai più assegnato ai controlli stradali.

2

Tutto accadde molto in fretta. Il tenente si scostò per fare uscire la conducente, quest’ultima mise in moto, balzò come una furia sulla carreggiata e per un pelo non schiacciò il piede del gendarme.
Benoit sentiva le marce tirate al massimo mentre correva a raggiungere il collega nella Renault Mégane. Il lampeggiante e la sirena erano già operativi e i due uomini si lanciarono all’inseguimento della 205. Sapevano che l’avrebbero raggiunta senza difficoltà, visto che i rispettivi piloti non lottavano ad armi pari, ma ritrovarsi paraurti contro paraurti non era una soluzione.
La sottigliezza della manovra consisteva nel far decelerare il fuggitivo finché non si fosse fermato a bordo strada. Erano in molti a desistere spontaneamente non appena vedevano nel retrovisore il lampeggiante che si avvicinava di gran carriera. Una volta passato lo scatto d’impeto, più di un colpevole tornava in sé e implorava l’indulgenza dei gendarmi.
Restavano, tuttavia, quelli che bisognava tallonare per parecchi chilometri senza provocare un incidente. In quei casi si chiamavano i rinforzi, i gendarmi si armavano di santa pazienza e aspettavano il momento giusto, la buona occasione o il posto di blocco dei colleghi per porre fine all’inseguimento.
Avevano raggiunto la 205 in meno di un minuto ma la donna alla guida non dava l’impressione di voler facilitare il loro compito. Anziché alzare il piede dall’acceleratore, fece urlare la quinta e si piegò di più sul volante, forse nella vana speranza d’influire sulla velocità dell’auto, che percorreva una strada in discesa.
Il tenente Benoit prese la ricetrasmittente e riferì la situazione. La targa era infangata e dovette accontentarsi di una descrizione del veicolo. Gli confermarono subito i rinforzi e un posto di blocco un chilometro a monte dell’incrocio tra la D104 e la D164.
«Se non arrivano in tempo, un bel carosello in città non ce lo toglie nessuno» mormorò l’altro gendarme.
«Ci saranno» ribatté Benoit, che non sopportava più il pessimismo del collega. «È il ponte del Primo maggio. Il centro di Crest è zeppo di turisti a quest’ora e i colleghi lo sanno benissimo!»
«Se lo dici tu.»
Un silenzio pesante s’interpose tra i due uomini. Concentrati sulla strada, tentavano di dimenticare l’ululato della sirena che aumentava la tensione già palpabile nell’abitacolo. Quando la Renault blu era partita all’inseguimento della 205, Benoit aveva dato una sola informazione al collega: c’era una bambina a bordo, ed era seduta davanti. La posta in gioco per loro, adesso, era far sì che non pagasse con la vita gli errori di un’adulta troppo nervosa.
Quando i rinforzi annunciarono alla radio che il posto di blocco era pronto, i due uomini tirarono un sospiro di sollievo. Ma la tregua durò pochi secondi. Era bastata una curva, una sola, per far perdere alla conducente il controllo del veicolo. Una curva ben segnalata nel tratto precedente, protetta da un guardrail. Una curva un po’ prima della deviazione per Lambres, nota a chiunque nella zona. O quella donna non era del posto o lo stress l’aveva fatta sragionare, perché nessuno avrebbe affrontato quel tornante senza frenare metri prima.
Il guard rail cedette sotto l’impatto e il veicolo finì la sua corsa tre metri più giù, con il tettuccio incastrato in un albero, il cofano aperto. Le due passeggere si ritrovarono intrappolate tra l’automobile e il tronco della quercia.
Non c’era tempo da perdere. Il tenente Benoit avvisò i rinforzi e scese lungo la scarpata mentre il collega stabiliva un perimetro di sicurezza.
Benoit dovette stendersi a pancia in giù per scorgere le vittime. Il busto della donna aveva attraversato il parabrezza e pendeva fiaccamente tra il cofano e l’albero che aveva fermato la corsa della macchina. Gli occhi spalancati non esprimevano più nulla. Un filo di sangue colava dall’angolo della bocca e risaliva verso la fronte, disegnandole sul viso una maschera da guerriera.
Da dove si trovava, Benoit non riusciva a vedere il posto del passeggero. Tentò di fare il giro dell’automobile, ma la sterpaglia era tanto fitta da non permettergli di aprirsi un varco. Tuttavia, l’immagine della piccola Léa, disperata nella sua collera infantile, lo spinse a non demordere. Strappò un ramo morto e iniziò a colpire i rovi con una foga tale da piegarli fino a terra.
Arrivato al...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Nel monastero di Crest
  4. 1
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  66. 63
  67. Copyright