Territorio dell’Arizona, 1893
«Ecco i ragazzi, finalmente» disse Nora.
La tarda sera aveva portato pipistrelli e aria secca, e ora un uomo a cavallo che se ne veniva per la strada. Seguiva il fianco del crinale con il sole rosso alle spalle, e avanzava tra i mesquite in direzione della casa. Quando raggiunse gli alberi, non era apparso un secondo cavaliere.
È Harlan, disse Evelyn.
Josie, schermandosi gli occhi, lo disse quasi nello stesso momento. «È lo sceriffo.»
Era lui. Inquietante, che si potesse riconoscere una persona tanto facilmente da lontano, non dai lineamenti o dai colori, ma dall’insieme dei gesti che le erano peculiari. Harlan Bell era asciutto come un levriero. Cavalcava col petto incavato, tenendo le redini lente, in una mano, a un’inclinazione strana. Se ne stava un po’ sbilanciato a destra per via dei dolori residui dovuti agli spari che si era beccato perlustrando le terre di confine per Crook.
«Può essere che abbia notizie sul signor Lark» disse Josie.
«Ti conviene andare a scaldare quell’impiastro per Toby.»
Con la nonna sistemata in un angolo più discreto della cucina, Nora si rassettò. Aveva i capelli che erano un disastro, ma ormai non c’era tempo per far granché, se non lisciarli alla bell’e meglio. Nello specchio, gli occhi della nonna guizzavano avanti e indietro, seguendo i movimenti rapidi delle mani di Nora.
Quando uscì sul retro, Harlan stava fermando il cavallo. Non era un bell’uomo ma, come diceva Desma, «mica morivi, a vederlo». Aveva i capelli radi e una fronte alta e spaziosa, e ancora più spaziosa era la sua dentatura. Il pomeriggio in cui Nora lo aveva incontrato per la prima volta, aveva appena vinto una scazzottata che gli era costata due molari. Un pugno gli aveva ricacciato i denti davanti dentro le gengive. Lui, con solo un paio di calzoni infangati addosso e il sangue che gli ricopriva il muso, aveva chiesto che gli portassero un cucchiaio. Moss Riley lo aveva accontentato. Harlan, davanti a tutti, se l’era infilato dietro ai denti e spingendo li aveva rimessi al loro posto, con un crac che ricordava un albero abbattuto e che per un attimo aveva fatto perdere i sensi almeno a uno degli astanti. Chissà come, contro ogni probabilità, i denti erano guariti, riacquistando lo splendore originario. Harlan aveva occhi piccoli, neri e rapidi, infossati nel viso smunto, e tutto ciò gli dava sempre un’aria un po’ feroce. Questa novità della barba, che si era fatto spuntare di colpo a settembre, smussava un po’ gli spigoli. Ma non gli donava.
«Sceriffo» disse Nora. «Ben ritrovato.»
«L’altro giorno mi hai fatto tanto vergognare per essermi presentato a mani vuote che ho pensato fosse meglio rimediare al torto il prima possibile.» Attaccò la lunghina all’inferriata dell’uscio.
Nora sperava che lui fosse pronto a vergognarsi di nuovo. «Stanotte hanno sfondato la vetrina dell’ufficio del “Sentinel” con un mattone. E intanto eccoti qua a legare il cavallo, senza farne parola né offrire una soluzione.»
Lui si rabbuiò. «Lo scopro ora da te.»
«Immagino che da stamattina non sei ancora passato dal tuo ufficio.»
Avrebbe voluto dirlo in tono meno calcolato. Lui restò lì a guardarla. «Ero fuori perché ho iniziato presto stamattina» disse. «Non perché abbia fatto tardi stanotte.»
«Non sono certo affari miei, dove hai passato la notte.»
Lui si ficcò le mani nelle tasche. «Rob e Dolan dove sono?»
«Andati via poco fa.»
«Tornano presto?»
«Dipende per cosa li cerchi.»
Ormai era chiarissimo che Nora non aveva intenzione di invitarlo a entrare. Lui non si era aspettato di incontrare resistenza sulla sua porta. Ciò la rincuorava. Se fossero girate brutte notizie, lui sarebbe giunto meno impreparato.
«Potrebbe servirmi quel carro che avevano in mente di vendere» disse Harlan, alla fine.
«Se hai tanto bisogno di un carro, perché non usi quello di mio marito? Ho sentito che l’hanno trovato vicino a casa dei Sanchez.»
La stessa esitazione di prima. «Da chi l’hai sentito?»
«In giro.»
«Dicerie, e nient’altro. Non ho più sentito novità da quando ci sono andato io a cercare.» Se solo si fosse guardato gli stivali, o avesse tentennato, o fatto qualche altra smorfia, pensò Nora. Almeno così avrebbe avuto la certezza della sua falsità. Invece aveva quel modo schietto, Harlan, di guardarla dritto in faccia, come stava facendo adesso. «Se dubiti di me, ci ritorno domattina, Nora. Lo faccio.»
Lei, involontariamente, aveva aspettato troppo a rispondere e quindi si decise a cambiare argomento. «Che ci devi fare con un carro?»
«Pensavo di farci dipingere sopra il mio nome dal mio vice, e farlo trainare per la città dal cavallo a beneficio degli elettori ancora indecisi, fino alla votazione.» Approfittò della risata di lei per frugarsi nelle tasche del soprabito. «E ho pensato che questa ti potesse fare comodo. Per Toby.» Tese la mano, porgendole una benda per l’occhio, piccola e raggrinzita. «Mio nipote che era nato strabico l’ha portata per un po’ e gli si è raddrizzato l’occhio. Lo so che hai detto che l’occhio del tuo bambino è rovinato, e che è diverso. Ma ho pensato che male non poteva fare.»
Lacrime inattese sfocarono i contorni di Harlan. Nora spinse la lingua contro un groppo di muscoli che all’improvviso le serravano la bocca. «Sei molto caro.»
«Non devi usarla se pensi che possa fargli più danno che altro.»
Lei la prese, la tenne nella tasca del grembiule e passò le dita sulle crepe che segnavano il cuoio. «Intanto adesso ti fermi a mangiare qualcosa.»
Harlan la seguì nella cucina e rimase sulla porta, borbottando i suoi saluti nel caos strepitante dell’intera casa: Toby che faceva il diavolo a quattro per l’impiastro sull’occhio, che era troppo sciolto e colava ed era troppo caldo e troppo freddo; Josie che approntava la cena della nonna, tagliando via i bordi di un prosciutto e gridandogli appena lo vide entrare: «Riecco lo sceriffo Harlan! Ma continua a passare da qui come se ancora ci dovessimo convincere a votarla!».
«Rob ha detto che lo sceriffo Harlan lo votava col cavolo!» fece Toby tutto giulivo.
Zittito da ogni lato, si fece piccolo piccolo sulla sedia e trovò subito qualcosa che valeva la pena studiare nei solchi del piano del tavolo. Nora fece sedere Harlan davanti a lui, e lo sceriffo consumò in silenzio il pan dulce di Amada de Almenara, un angolino per volta. Se aveva un’idea della crepa che un suo possibile terzo mandato aveva aperto nella famiglia Lark, non lo diede a vedere. Toby, il cui umore era notevolmente migliorato con l’arrivo della sua porzione di dolce, si fece pensoso.
«Non sarà strano chiamarla di nuovo signor Bell? Dopo che è stato per tanto tempo lo sceriffo Bell?»
«Per ora continua a chiamarlo sceriffo Bell» disse Nora. Gli mise davanti un piatto di prosciutto e focaccia di granturco. «Porta la cena alla nonna, su.»
Lui si alzò di malavoglia e se ne andò pestando i piedi, con le guance gonfie per l’ultimo boccone frettoloso.
«Secondo me sarà di nuovo sceriffo» disse Josie. «Però con quella barba no.»
Harlan fece il gesto di chi è ferito al ventre. Si contorse finché non fu soddisfatto della risata di lei. Poi disse: «Io trovo che mi doni alquanto».
«Una volta ho letto che la gente preferisce gli sceriffi ben rasati» disse Josie. «Hanno l’aria più onesta.»
«E invece l’aria solenne?»
«Per quella ha la barba un po’ troppo rada, sceriffo.»
«Si infoltirà.»
«Tagliamola, coraggio.»
Lui le gettò una lunga occhiata, come un genitore già convinto che sta soltanto trattenendo la risposta. Quando disse: «E va bene, fai pure», lei si precipitò su per le scale. Tornata con tutti gli attrezzi da barbiere, si allungò su Harlan per legargli il telo dietro al collo, e poi si mise a ravviare, pettinare, lisciare, passandogli le mani sulle spalle e le braccia. La barba, ispida, grigia e irregolare, era ulteriormente rovinata dai segni dei numerosi tentativi di Harlan di darle forma, che Josie riuscì a elencare con dovizia di particolari sbalorditiva: vede qui, sceriffo, come l’ha lasciata lunga e non sta ricrescendo pari? vede come è cambiata tutta la direzione del pelo? santo cielo, sceriffo, non avrà mica provato davvero a fare tutto da solo, eh? Ma naturalmente sì, certo. Ora Josie gli stava dietro, concentrata, con la lingua di fuori, aggrottando la fronte, come se la serietà del compito avesse in effetti giustificato tutta quell’indagine tattile, e ci fossero ottime ragioni per stargli così addosso e mettergli non una, ma entrambe le mani nei capelli.
«Non hai niente di più utile da fare?» disse Nora.
«No, signora. Le galline hanno mangiato e la cisterna è spazzata.»
Nora guardò quelle dita esili e rosee vagare lente sul cranio di Harlan.
«Non dovevi andare a raccogliere quelle accidenti di bacche dal bagolaro?»
Josie fece un versetto. «Me ne sono proprio scordata, signora! Ci andrò subito domattina.»
«Puoi ben andarci adesso.»
La ragazza alzò gli occhi cauta. Nora si rese conto che con quella pausa, sempre più lunga, Josie intendeva sottolineare la gravità di ciò che le veniva chiesto.
«Dunque?» disse Nora.
«Ma signora… sta venendo buio.»
«Be’, allora converrà che ti spicci, no?»
Josie mise giù le forbici. Ora tutti i suoi movimenti erano quelli di chi va alla forca, lenti e deliberati, con la speranza che qualcuno interceda all’ultimo momento. Ma così non fu. Toby, ignaro della condanna di Josie, parlottava senza sosta in un’altra parte della casa. Stavolta non sarebbe venuto a salvarla frignando.
Il cestino per raccogliere i frutti era sotto al lavello. Josie lo prese e scosse i pochi rametti rimasti attaccati sul fondo sopra i gradini sul retro. Si domandò ad alta voce se ormai la sera facesse già abbastanza freddo da doversi cambiare i vestiti.
«Ti conviene prendere uno scialle» disse Nora. «Di questo passo, ora che arrivi laggiù sarà inverno, e al posto delle bacche troveremo la tua carcassa ghiacciata.»
Con lentezza, Josie si mise il cappello. Il nastro, che di solito lasciava ricadere dietro le spalle, fu meticolosamente allacciato in un nodo singolo, e poi doppio, sotto al mento. Sembrava quasi pronta per un picnic mattutino, ma non sorrise quando Nora glielo fece notare. Con un’ultima occhiata offesa in direzione della cucina, uscì.
Harlan rimase seduto con le ginocchia che sbucavano dalla coperta e si esaminava le punte degli stivali. L’uscita di Josie aveva lasciato nella stanza un residuo di tristezza, che guastava tutto. Neppure lo splendore di quelle nuvole appena tinte di viola riuscì a scacciarlo.
«È una brava ragazza» disse Harlan.
«Ringraziando Iddio. Se non lo fosse, si faticherebbe a trovare in lei un segno del volere dell’Onnipotente.»
Lui sorrise paziente. «È innocua, tutto sommato.»
«Immagino che non dovrei essere tanto brusca con lei.»
Emmett aveva usato in più di un’occasione il termine «crudele». Invece Harlan si limitò a scrollare le spalle sotto la coperta. «Non se la prenderebbe tanto a male se non ci tenesse a farti contenta. Ma non è così che impariamo a diventare noi stessi? Quando non riusciamo a fare una buona impressione su quelli a cui più teniamo?»
Fuori la rugiada della sera aveva schiuso il profumo delle erbe. I contorni scuri della sagoma di Josie avevano appena superato lo steccato, muovendosi svelti fra tutte le altre ombre dell’altopiano. Nora avvertì un peso improvviso e inspiegabile sul petto, che per un attimo scacciò la consapevolezza di essere rimasta sola con Harlan. Da qualche parte, la voce di Evelyn disse: richiamala in casa.
Ma ormai Josie era arrivata in cima, trasformandosi, per un istante fugace, soltanto in una forma spigolosa – cappello, collo, spalle, vita, gonna a campana – prima di sparire giù per il sentiero.