Leonardo è abituato a viaggiare. Anche quando sembra fermarsi a lungo in un posto, spesso deve spostarsi per portare a termine vere e proprie missioni affidategli dai suoi committenti o semplicemente per soddisfare le sue curiosità.
Frequenti, nel corso della sua vita, sono stati gli spostamenti più impegnativi, veri e propri trasferimenti che noi oggi chiameremmo “traslochi”. In corrispondenza di questi “traslochi” Leonardo annota tutto quello che è funzionale al suo spostamento, compila lunghe liste di cose da fare e vedere prima della partenza o dopo il suo arrivo a destinazione.
Tra le sue carte si possono trovare anche elenchi di persone da vedere e di ricerche da compiere scritti su fogli sciolti e ripiegati più volte in modo da stare in tasca; viene da pensare che Leonardo tenga questi appunti sempre a portata di mano per poterli consultare quando necessario. Testimonianze di tale abitudine sono già presenti all’epoca del primo lungo viaggio di Leonardo, che a trent’anni si reca a Milano. Un trasferimento determinante per la sua vita.
Le ragioni di questo spostamento sono molto probabilmente più politiche e militari che culturali. L’Anonimo Gaddiano ricorda infatti che Leonardo fu inviato a Milano da Lorenzo il Magnifico come suonatore di lira alla corte di Ludovico il Moro, insieme al musico Atalante Migliorotti.
Leonardo arriva tra il febbraio 1482 e i primi mesi dell’anno successivo; quello che sappiamo per certo è che si trova sicuramente nel capoluogo lombardo il 3 marzo 1493.
Prima di lasciare Firenze elenca su un foglio alcune opere da portare con sé. Le annota su una pagina che oggi è parte del Codice Atlantico e che è piena di appunti e disegni sui più svariati argomenti:1 tra schizzi di altra mano Leonardo disegna una serie di teste, per lo più di profilo, uno schema con caduta d’acqua sopra una trave bilanciata, disegni meccanici e geometrici, la pianta di un edificio non meglio identificato e aggiunge la lista delle cose di suo interesse. In basso, al centro, scrive la frase, interrotta: «Dimmi come sono passati…», quasi a voler indugiare sui suoi primi anni fiorentini.
Sul retro dello stesso foglio tratteggia studi di ingegneria militare e architettura, travi a incastro e un cavalletto per curvare travi, una catapulta a fionda, una macchina per sollevare grossi pesi e un gruppo di uomini che costruiscono un ponte di fortuna. Visto il costo della carta al tempo di Leonardo, usare ogni facciata di un foglio era una consuetudine molto diffusa.
La data di questo documento è incerta, così come è incerta la strada percorsa da Leonardo per arrivare a Milano. Basandoci sulle testimonianze dell’epoca – ad esempio i viaggi compiuti da Giorgio Vasari quasi un secolo dopo per la redazione de Le Vite –, possiamo immaginarlo che raggiunge Bologna transitando per uno dei principali passi appenninici: o attraverso il passo della Futa, che porta direttamente a Imola, oppure attraverso il passo detto del Muraglione, per la cittadina che oggi chiamiamo Monghidoro. Questo piccolo comune in provincia di Bologna era conosciuto anche come “Scaricalsino”, perché dal XIII secolo è stato un presidio di confine tra il territorio bolognese e quello fiorentino, stazione doganale dove gli animali da soma erano temporaneamente scaricati dal peso delle merci per eseguire i controlli di frontiera. Ma torniamo al nostro viaggiatore che, raggiunta Bologna, riparte verso nord alla volta di Milano lungo la via Emilia passando per Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza, forse con un’ultima sosta a Pavia
Molti anni più tardi, nel 1499, quando Leonardo lascia Milano dopo l’arrivo delle truppe francesi guidate da Luigi di Lussemburgo, conte di Ligny, ancora una volta, come di consueto, annota persone da incontrare e cose da portare via. È nuovamente grazie a una pagina del Codice Atlantico2 che sappiamo che il 1° aprile 1499, mentre i francesi sono alle porte della città, Leonardo, consapevole dell’imminente pericolo, salda i suoi collaboratori: a Salai spettano 20 lire, a Fazio 2 lire, Bartolomeo riceve 4 lire e Arrigo 15 lire.
Nello stesso foglio in cui annota i pagamenti fatti elenca in modo dettagliato la sua situazione contabile e scrive, a mo’ di promemoria, i luoghi in cui ha nascosto i risparmi, disseminati tra la carta bianca e quella azzurra, o sopra oggetti simili a piccole orecchie – detti appunto «orecchielle» – che tiene su un ripiano dello studio. Registrazioni contabili in parte scritte da destra verso sinistra e in parte redatte in modo ordinario. Il tutto in un foglio che contiene anche il disegno di una fortificazione e vari schizzi relativi al ponte levatoio illustrato anche in una pagina del Manoscritto M.3
I promemoria utili alla sua partenza da Milano sono tra le prime pagine del Manoscritto L,4 oltre che in una pagina del Codice Atlantico nota come il “Memorandum di Ligny”.5
Leonardo scrive – per se stesso – «vendi quel che non si po’ portare» perché tutto il resto doveva entrare in «2 casse». In questo stesso foglio, oltre all’inventario delle cose da portare, troviamo anche interessanti appunti da cui possiamo dedurre che Leonardo intendesse approfittare al meglio della presenza a Milano del pittore francese Jean Perréal; sempre sul foglio 669r del Codice Atlantico si legge infatti che Leonardo prima di partire vuole imparare da Gian de Paris, ovvero Jean Perréal, «il modo de colorire a secco e ’l modo del sale bianco e del fare le carte impastate»; e ancora «impara la tempera delle cornage» e «impara a dissolvere la lacca gomma», due soluzioni tecniche che Leonardo cerca di apprendere direttamente da Perréal, arrivato a Milano insieme al re di Francia, Luigi XII.
Lasciata Milano, Leonardo raggiunge Isabella d’Este a Mantova, dove si trattiene alcuni mesi, prima di ripartire alla volta di Venezia. Questi sono due momenti di passaggio prima del ritorno nel centro Italia. Tra il 1502 e il 1503 è al servizio di Cesare Borgia, un arco di tempo caratterizzato dai continui spostamenti tra i castelli della Romagna e delle Marche. Gli scritti e gli appunti di questo periodo ci mostrano un Leonardo intento a svolgere brevi viaggi e sopralluoghi nei territori del Valentino, focalizzando la propria attenzione sull’arte della guerra.
Leonardo si trasferisce in modo stabile a Firenze nel 1503. Continuando a farci guidare dai suoi scritti, scopriamo che all’arrivo deve recuperare la «cassa in dogana», ma anche «tagliare la veste», acquistare un «cappello leggieri [leggero]», un «panno d’arazzo» e un «guardacore di pelle», ovvero una veste da uomo ampia, di varia lunghezza, talvolta stretta in vita, con il cappuccio e spesso foderata di pelliccia.6 Le sue scarpe sono consumate a tal punto da dover «rimpedulare [aggiustare] li stivaletti» e forse è da sistemare – se non da comprare – pure la «cintura della spada». Nella lista delle cose da acquistare ci sono anche un «libro di carte bianche per disegnare», «seste», ovvero compassi, «carboni», una «baga da notare», ovvero un sacco di pelle che poteva essere utilizzato come salvagente.
Un altro aspetto curioso che emerge dagli scritti di Leonardo in relazione ai suoi viaggi è di carattere economico. A seguito di ogni spostamento doveva infatti adottare la moneta locale e aggiornarsi sul cambio corrente. Ogni viaggio era un’avventura. Sempre negli appunti relativi al suo ritorno a Firenze, Leonardo si chiede «quanto è un fiorino di suggello?».7 All’epoca i fiorini d’oro erano realizzati in una lega pressoché pura e, quindi, molto deperibile; di conseguenza il loro uso era limitato per non disperdere il prezioso metallo. Allo scopo di preservare i fiorini d’oro erano stati creati i «fiorini di suggello», l’equivalente di una moderna cambiale: in sostanza si trattava di un sacchetto con dentro un fiorino nuovo chiuso da sigilli detti «suggelli».
Come stiamo scoprendo e continueremo a scoprire, addentrarsi nel labirinto dei testi redatti da Leonardo nel corso della vita e dei viaggi non solo ci permette di avere un punto di vista privilegiato sulla sua mente, ma ci fornisce anche preziosi e curiosi indizi sulla vita quotidiana dell’epoca.
Ma torniamo a Firenze: tra il 1503 e il 1505 Leonardo è impegnato nel cantiere della Battaglia di Anghiari e fa avanti e indietro tra il convento di Santa Maria Novella, dove ha a disposizione uno spazio per lavorare, e Palazzo Vecchio.
Come sappiamo, Leonardo non completerà mai l’opera, forse anche a causa dell’inizio funesto che contribuì a far scemare l’interesse per questa composizione. Il 6 giugno 1505, giorno in cui Leonardo comincia a lavorare sulla parete del salone del Maggior Consiglio, si scatena un forte temporale di inizio estate che «stracciò» (ruppe) il cartone leonardesco.
Quasi un anno dopo, il 30 maggio 1506, Leonardo ottiene la possibilità di spostarsi a Milano per tre mesi. L’idea era di trattenersi in Lombardia per poco tempo, o per lo meno così fece credere al Soderini che lo attendeva a Firenze per concludere la Battaglia di Anghiari.
Risale probabilmente a poco prima del nuovo trasferimento a Milano una pagina del Codice Arundel8 in cui annota i nomi di alcuni fiorentini che forse intende incontrare o rivedere: Piero Martelli, nella cui casa pochi anni dopo compilerà la prima pagina del Codice Arundel (datata 22 marzo 1508), Salvi Borgherini, padre del più celebre Pierfrancesco, un frate del convento del Carmine non meglio specificato, e Francesco Pandolfini, un politico dalla raffinata cultura umanistica che dal 1504 divenne ambasciatore della Repubblica fiorentina. La cosa forse più interessante è la domanda che si pone Leonardo all’inizio di questo elenco: «Dov’è il Valentino?».
Leonardo aveva lavorato per lui tra il 1502 e il 1503, ma alla morte del padre – Alessandro VI morì a Roma il 18 agosto 1503 – Cesare Borgia dovette abbandonare i suoi disegni espansionistici e ritirarsi a Napoli, prima di rifugiarsi definitivamente in Spagna. La pagina in questione potrebbe quindi risalire al biennio in cui Leonardo era a Firenze. Nello stesso foglio del Codice Arundel9 troviamo inoltre notazioni di carattere più personale: nella consueta lista di cose da fare scrive «sostentaculo delli ochiali» – forse doveva far sistemare i suoi occhiali! – e «stivali» che, come sempre, erano da aggiustare; oltre a queste due riparazioni, troviamo una sorta di “lista della spesa” in cui l’artista elenca alcuni attrezzi del mestiere come «squadre» e «squadra», «gruppi», «porfido» e «lo ’gniudo del Sangallo». Ancora una volta le note sono troppo sintetiche per permetterci di capire di più.
Tra i lunghi elenchi di cose che Leonardo doveva ricordarsi di fare in prossimità del suo spostamento da Firenze a Milano prima del maggio 1506 ci sono anche tre fogli con nomi di persone, oggetti, temi da affrontare che Leonardo teneva piegati, cosa che come abbiamo già visto era dovuta probabilmente all’abitudine di portarli sempre con sé in tasca; due di questi fanno parte del Codice Arundel,10 mentre il terzo è una pagina del Codice Atlantico.11
La lista dei fiorentini illustri citati da Leonardo è lunga e comprende «Lattanzio Tedaldi», corrispondente di Machiavelli (dal 1501 eletto fra gli ufficiali dello Studio fiorentino), «Antonio Covoni», mercante fiorentino, oltre all’allora anziano quanto celebre maestro d’abaco «Giovanni del Sodo», che nel 1503-1504 aveva il «libro d’abaco» di Leonardo,12 e che deve interpellare per i «rotti fisici». Leonardo, quasi volesse appuntarsi delle opere da vedere, cita anche il carpentiere Francesco Monciatto – «Moncatto» – e lo scultore Andrea Contucci detto il Sansovino (ricordato anche in un’altra pagina del Codice Atlantico13 e citato nel Codice Arundel in un elenco insieme al pittore Piero di Cosimo e al «Maestro Piero dal Borgo», ovvero Piero della Francesca). E ancora si annota di dover recuperare varie cose che aveva lasciato a Giovanni Benci, padre di Ginevra, che aveva avuto modo di ritrarre da giovane nella sua Firenze, tra cui il «mappamondo» (cosa che deve stargli molto a cuore visto che lo scrive ben tre volte in due pagine diverse!) e il «libro de’ diaspri». Quello che possiamo ipotizzare da queste poche informazioni è che Leonardo avesse a casa di Benci una sorta di “deposito temporaneo” di alcune delle sue cose; del resto molti anni dopo Giorgio Vasari ricorda che anche l’incompiuta Adorazione dei Magi, iniziata nel 1481 per il convento di San Donato a Scopeto, nel 1568 si trovava in casa Benci.
Da queste pagine veniamo a conoscenza anche delle abitudini “culturali” di Leonardo nel suo periodo fiorentino; tra i suoi appunti cita infatti due librerie che probabilmente frequent...