La pasta, intesa come prodotto alimentare, è un composto a base di farina di diversa estrazione. Piatto tipico delle varie cucine regionali d’Italia, è destinata alla cottura in acqua bollente e sale o al vapore.
Il termine «pasta» deriva da pastái, vocabolo della lingua greca che significa «farina mescolata con acqua e sale», e già questo indizio ci suggerisce da quanto tempo se ne conosce l’uso e anche la distribuzione, nel bacino del Mediterraneo. Ma andrebbero differenziati almeno due filoni, nel corso del tempo, dal punto di vista sia storico sia gastronomico, che nel mondo hanno visto la luce in tempi diversi seguendo percorsi culturali differenti e paralleli:
- la pasta italiana (come la tradizionale sfoglia emiliana, l’arte della pasta ripiena, i popolari spaghetti, la pastasciutta campana, la pasta di Gragnano Igp, i classici maccheroni, la pasta ligure, quella pugliese, siciliana eccetera), diffusasi gradualmente in tutto l’Occidente e in ambiti mediterranei;
- la pasta cinese (per esempio la pasta pechinese, la pasta cantonese eccetera), diffusa e conosciuta, sotto vari aspetti, in gran parte dei Paesi asiatici dell’Estremo Oriente.
Le materie prime e le tecniche di lavorazione sono del tutto distinte e non hanno alcuna relazione tra loro quanto alla preparazione, alla produzione, alla presentazione e anche alla degustazione.
La pasta, come la conosciamo noi italiani, era già ampiamente nota ai tempi della Magna Grecia e dell’Etruria (due denominazioni per suddividere la penisola), dove veniva però chiamata in modi differenti. L’influenza storica e culturale greca prima e latina poi hanno fatto conoscere questo prodotto con termini come maccaruna (maccheroni, per indicare una lavorazione fatta di impasto e successiva schiacciatura). E negli apprezzamenti di personaggi come Aristofane, Cicerone e Orazio troviamo termini quali lagana (lasagna). Le lasagne acquisiscono tanta importanza da rientrare nel quarto libro del De re coquinaria del filosofo e gastronomo latino Apicio, vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., e autore del primo libro di cucina tuttora conosciuto. Se ne descrivono minuziosamente i condimenti, tralasciando spesso le istruzioni per la loro preparazione, facendo così intendere che la pasta fosse ampiamente nota e usata in tutta l’Italia del tempo, tanto che era superfluo descriverla. Queste lagane sono ancora oggi diffuse nel Mezzogiorno, dalla Campania alla Basilicata. Anche ai nostri giorni non è difficile trovare questo piatto accompagnato da legumi, alimenti prevalentemente glicidici, oltre che proteici.
Il termine vero e proprio di «pasta» inizia a comparire in Italia a partire dall’anno 1050 circa, ma se ci mettessimo a cercare le sue vere origini potremmo accomunarle a quelle del pane, quindi all’incirca quando le comunità neolitiche iniziarono a coltivare e successivamente a macinare e impastare i prodotti con acqua. Oltre alle civiltà mediterranee, però, non dobbiamo dimenticare quelle asiatiche, che si svilupparono parallelamente e producevano qualcosa di simile con tutt’altri metodi che, pur non incontrandosi e contaminandosi mai, si completano a vicenda. Due facce della stessa medaglia, insomma. Altra peculiarità che accomuna questi processi è il fatto di rimanere tuttora presenti a livello culturale e sulla tavola di ogni ceto sociale.
Come abbiamo già spiegato nel capitolo sul pane, la coltivazione del grano o di altri cereali non era uniforme né in tutta la nostra penisola né in tutti i continenti. C’era chi poteva beneficiarne e chi no, in base al clima o alla latitudine. Nel continente asiatico c’era una grande abbondanza di cereali, soprattutto di riso e di miglio, non si conosceva né tantomeno si coltivava il frumento, tipico della zona mediterranea. Non a caso una delle testimonianze più antiche, databile intorno a 4000 anni fa, è un piatto di noodles (tipici spaghetti asiatici) cinesi di miglio. Allo stesso modo possiamo trovare tracce di paste alimentari già tra Etruschi, Greci, Romani e altri popoli italici, come la pasta rinvenuta a Cerveteri, nella tomba di «Grotta Bella», dove sono stati addirittura rintracciati degli strumenti riconducibili alla sua preparazione casalinga.
Diversi secoli più tardi, intorno all’anno 852 d.C., al tempo degli arabi medievali, il poeta e musicista Ziryab, che fu anche un appassionato di gastronomia, descriveva impasti di acqua e farina molto diffusi nella Sicilia musulmana, assimilabili alle paste alimentari. All’interno del Diletto per chi desidera girare il mondo, noto anche come Libro di Ruggero, pubblicato nel 1154, Muhammad al-Idrisi, geografo di Ruggero II di Sicilia, descrive la città di Trabia, a trenta chilometri da Palermo, come una zona dove si fabbricava una pasta a forma di fili, modellata manualmente: quella poi evolutasi nei più conosciuti vermicelli e in seguito negli spaghetti.
Un documento riconducibile intorno al 1244 narra di un medico bergamasco il quale promette a un lanaiolo di Genova di guarirlo da un’infermità alla bocca se egli non mangerà né carne, né frutta, né cavoli, né pasta. Ne abbiamo conferma scritta in latino volgare: «[...] et non debae comedare aliquo frutamine, neque de carne bovina, nec de sicca, neque de pasta lissa, nec de caulis»; tra gli alimenti vietati spicca per l’appunto la pasta. Non sappiamo a quale infermità si faccia riferimento, ma già all’epoca l’alimentazione aveva uno stretto rapporto con la medicina e vi erano connesse vere e proprie terapie, in quanto l’assenza di farmaci specifici rendeva la pratica medica ben complicata.
Jacopone da Todi, filosofo e umanista, nel 1230 circa, in una lettera al papa, decanta i maccaroni come un «piacere ultraterreno». Altro esempio è quello presente in una cronaca del 1284 di fra’ Salimbene da Parma, che parla di un confratello corpulento. Annota: «Non vidi mai nessuno che come esso si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio!». Era nota già all’epoca la soddisfazione ottenuta dal consumare i carboidrati, che a differenza delle proteine saziano palato e stomaco. L’introduzione di zuccheri contribuisce ad alzare la glicemia, che incide sul senso di sazietà e soddisfazione, fatto riconducibile anche all’apporto calorico che contraddistingue i due ingredienti della pietanza. A parità di peso a crudo, i carboidrati sono sicuramente più calorici rispetto alle proteine. Ma il nostro organismo si sazia prima con i carboidrati.
Il Qimin yaoshu (Le tecniche essenziali per il popolo Qi) è il primo trattato di agricoltura cinese. Risale al VI secolo d.C. e l’autore, un funzionario imperiale, descrive piatti e prodotti gastronomici, molti dei quali a base di cereali lavorati, come paste di riso e di grano, e in particolare di miglio, per le quali si sottolinea la necessità di un impasto diverso perché contengono solo amido e non glutine.
Nel Medioevo risulta decisiva per approdare alla pasta come la conosciamo oggi l’introduzione della bollitura. Questo metodo di cottura, inventato in Italia, consente di concepire e cucinare le prime paste forate, come rigatoni (o maccheroni), penne e bucatini. Sarebbe poi venuto il momento di quelle ripiene, quali tortellini e ravioli, e della pasta fresca all’uovo. Ai siciliani del Medioevo, allora sotto la dominazione araba, dobbiamo l’invenzione della pasta secca a lunga conservazione, che ha ovvi rilievi anche commerciali, dato che consente il trasporto e la conservazione per lunghi periodi. A questi fini risultò decisiva la precisione con cui si distinguevano i metodi di idratazione e di essiccazione.
Parliamo ora di un derivato di questo cereale: i germogli di grano. Per ottenerli basta stendere un chilo di grano su degli asciugamani bagnati; dopo pochi giorni nasceranno i germogli che hanno questi pregi:
- sono in assoluto la migliore fonte proteica, superiore come valore biologico a quella della carne e del pesce (ben lo sanno i culturisti che li assumono essiccati);
- sono altamente diuretici e rinfrescanti, ricchi di minerali rari quali zinco, silicio e magnesio;
- sono deliziosi nelle insalate miste.
Arrivando quasi ai giorni nostri, nel 1930, Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto della cucina futurista si scagliava contro la pasta, nella quale vedeva il nemico numero uno dell’animo bellicoso degli italiani. Tra l’altro, suggeriva a Mussolini, quale modo migliore, per liberarsi dalla tirannia degli stranieri, che bloccare l’importazione di grano?
Ma avrebbe dovuto razzolare come predicava. Invece qualcuno lo sorprese mentre, al ristorante, divorava un piatto di pastasciutta. Venne immortalato e deriso in versi:
Marinetti dice Basta!
Messa al bando sia la pasta.
Poi si scopre Marinetti
che divora gli spaghetti.
Il ruolo fondamentale della pasta nella cultura italiana spicca anche nel cinema. Compare da protagonista in film che hanno fatto la storia, come per esempio Roma città aperta di Roberto Rossellini, la commedia teatrale Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta portata al cinema da Totò, I soliti ignoti di Mario Monicelli, con Totò e Vittorio Gassman, Un americano a Roma di Steno, con Alberto Sordi, in cui rimane memorabile il confronto tra l’attore romano e un enorme piatto di spaghetti al sugo. Anche questi esempi sul grande schermo contribuiscono alla diffusione del nostro alimento nazionale oltreoceano e in tutto il mondo.
Curiosità
Mangiare pasta a cena fa bene e non fa ingrassare
In occasione della Giornata mondiale del sonno (che cade il venerdì della seconda settimana di marzo), una guida di Unione italiana food aiuta a orientarsi tra le ricette di pasta più indicate per il pasto serale. Una buona notizia per quei circa ventisette milioni di italiani che soffrono di disturbi del sonno: mangiare pasta a cena fa bene, rilassa, facilita il sonno e non fa ingrassare... sembra anzi che faccia dimagrire.
Uno studio del Brigham and Women’s Hospital di Boston, pubblicato sulla rivista «The Lancet Public Health», conferma che la pasta non è nemica del pasto serale. Il suo contenuto di triptofano e vitamine del gruppo B, anzi, aiuta a ridurre lo stress e a combattere l’insonnia. Insomma, viene smentita una delle credenze più popolari sulla pasta, quella che induce a collocare il sessantacinque per cento dei consumi all’ora di pranzo, contro un trentacinque per cento a cena, cosa che non avviene per altri cibi come carne, pane, frutta, verdura e dolci. Può tirare un sospiro di sollievo, insomma, il novantanove per cento degli italiani che ama questo alimento.
PASTA «ALL’ITALIANA»
Non per nulla l’Italia è un territorio favorevole al grano, soprattutto al Meridione e in zone, come il Tavoliere delle Puglie, in cui si trova a meraviglia. Se non fosse così, forse la pasta non sarebbe tra gli alimenti che hanno reso la cucina del nostro Paese celebre nel mondo. Ne esistono infinite tipologie, distinguibili per forme, dimensioni, composizione, lavorazione, provenienza e uso regionale, condimento. In molti casi si tratta di prodotti che possono contare su una tradizione antic...