I ragazzi di Buchenwald
eBook - ePub

I ragazzi di Buchenwald

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

I ragazzi di Buchenwald

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Strappato alla sua infanzia serena nel villaggio di Skarzºysko-Kamienna, in Polonia, dopo aver vissuto l'opprimente miseria del ghetto ed essere stato costretto a lavorare in una fabbrica di munizioni, l'11 aprile 1945 Romek Wajsman viene liberato dalle truppe statunitensi. Romek ha solo quattordici anni, e insieme a lui e al futuro premio Nobel Elie Wiesel, quel giorno, nel campo di Buchenwald vengono trovati più di quattrocento giovani ebrei. Sono bambini e poco più: ragazzi denutriti, spaventati, già segnati dal senso di colpa, senza nessuno da cui tornare. Dopo un viaggio nell'Europa distrutta dalla guerra, vengono trasferiti alla Œuvre de Secours aux Enfants di Écouis, nella Francia del nord, un centro di accoglienza fondato tra gli altri da Albert Einstein, che aveva come missione il recupero fisico e psicologico dei piccoli reduci scampati all'Olocausto e il loro reinserimento nel mondo.
In questa testimonianza preziosa e inedita, Robert Waisman racconta la sua esperienza di sopravvissuto e la storia di un istituto unico, grazie al quale centinaia di ragazzini hanno saputo trasformare il dolore e la rabbia in stimoli costruttivi. E dove, con coraggio, sono riusciti a crescere nonostante tutto, tenendosi stretta la memoria del passato e aprendosi con fiducia al futuro.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a I ragazzi di Buchenwald di Robert Waisman in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia ebraica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2022
ISBN
9788831806626
Argomento
Storia

1

Gatti selvatici si incontreranno con iene, i satiri si chiameranno l’un l’altro; vi faranno sosta anche le civette e vi troveranno tranquilla dimora.
Isaia 34,14
L’uomo indossava un lungo cappotto blu, rigido e pulito, con bottoni d’ottone, una svastica rossa e delle mostrine, che come appresi in seguito ne indicavano il rango nelle Schutzstaffel o SS, una delle unità paramilitari del Partito nazista tedesco. Occhi azzurri socchiusi e fronte aggrottata, l’uomo stava indicando me.
Ero in marcia con gli adulti diretto alla fabbrica di munizioni di Skarvysko-Kamienna. La fabbrica si chiamava Hugo Schneider Aktiengesellschaft Metallwarenfabrik, ma per tutti era semplicemente la HASAG.
Era lì che lavoravo, insieme a migliaia di altri ebrei. Eravamo tutti schiavi. Nessuno di noi veniva pagato. Il mio compito consisteva nell’imprimere le iniziali FES sulle granate destinate alla Wehrmacht. Potevo arrivare a siglare fino a tremiladuecento granate nelle dodici ore di turno che facevo sei giorni su sette. Quando iniziai alla HASAG avevo undici anni. Era il 1942. Nei primi mesi il lavoro fu così massacrante che mi scorticai la pelle delle mani fino a sanguinare. Ma sapevo che se mi fossi fermato – lo avevo già visto fare dai nazisti e dai soldati di altri eserciti che lavoravano per loro – sarei stato fucilato sul posto. Continuai a lavorare, finché le ferite divennero calli duri come il cuoio.
Di solito ero assegnato al turno di giorno, che iniziava alle sette del mattino, ma ogni tanto mi toccava quello di notte.
In marcia con gli uomini del mio turno, tentai di sollevare al massimo le ginocchia nella speranza di far capire alla SS che ero in buona salute. Ma quello mi fece comunque segno di uscire dai ranghi gridando «Raus!». A ben vedere, il tedesco non era una lingua molto diversa dallo yiddish, che parlavo in famiglia. Quando iniziai alla HASAG ne conoscevo qualche parola; alla fine della guerra lo parlavo fluentemente.
Con un groppo in gola, obbedii all’ordine. La SS si diresse verso di me e si fermò così vicino da soffiarmi in faccia il suo respiro caldo e appiccicoso. Sentii l’odore di uova e cipolle della sua colazione quando si chinò per urlarmi di nuovo: «Raus!». Poi mi fece ruotare su me stesso e mi piantò il calcio del fucile tra le scapole. «Marsch» ordinò.
Chiusi gli occhi con tutte le mie forze, perché sapevo perfettamente dove mi stava portando: all’autocarro in sosta fuori dal cancello di accesso alle baracche in cui ci rinchiudevano quando non lavoravamo.
Sapevo anche perché aveva scelto proprio me. Per un paio di settimane ero stato semincosciente, in preda ai sudori freddi del tifo. Quando la febbre era passata e avevo scoperto di essere ancora vivo, sospettai che uno degli uomini nelle baracche, forse il macellaio kosher amico di mio padre, mi avesse tenuto nascosto sotto la paglia e mi avesse dato da bere. Infatti, alle sette del mattino e alle sette di sera, quando quelli del turno di notte e quelli del turno di giorno si davano il cambio, passavano le guardie lituane agli ordini dei nazisti per assicurarsi che nelle baracche non ci fosse nessuno nascosto o malato. Non so come, non si erano accorte di me.
Arrivato all’autocarro, aprii gli occhi.
«Eccone un altro» abbaiò la SS agli uomini che stavano di guardia al mezzo. Poi mi ordinò di salire sul pianale.
A bordo c’era una ventina di uomini, scheletrici, con la pelle bluastra per la malnutrizione, molti con il volto coperto dalle croste lasciate da una delle varie malattie che imperversavano tra le baracche con la stessa veemenza con cui il fiume Kamienna attraversava la mia città natale. Alcuni uomini avevano la pelle gialla: erano addetti alla lavorazione dell’acido picrico, un materiale esplosivo affine al tritolo. L’acido conferiva una colorazione gialla alla loro pelle e ai loro occhi, e finiva per distruggerne i reni.
Sapevo che ci stavano portando nei boschi per ucciderci. Prima, però, avremmo dovuto scavarci la fossa con le nostre mani.
«Un altro ratto» sentii dire a una delle guardie.
«Cibo per i vermi.»
Avvertii un rivolo di urina colarmi lungo la gamba.
Sapevo di aver corso un rischio tornando al lavoro ancora pallido e debole. Ma se non l’avessi fatto, la mia assenza sarebbe stata notata.
Quando mio fratello Abram lavorava alla HASAG con me, prima dell’appello mattutino mi pizzicava le guance per darmi un’aria più sana e mi infilava pezzi di cartone dentro le scarpe per farmi sembrare più alto e grande. In realtà, ai nazisti non piaceva che i bambini lavorassero, e ne mandavano via molti, probabilmente a morire.
Seduto in fondo al pianale dell’autocarro, mi persi con lo sguardo prima sulle baracche – oblunghe, grigie e nere – e poi sul cielo che le sovrastava, in movimento come un filo di fumo. Una nuvola che viaggiava più veloce delle altre catturò la mia attenzione. Era come un’isola in mezzo a un mare in tempesta. Di colpo, il violento tremore che mi scuoteva dal profondo delle ossa cessò.
Vidi una luce, sembravano i raggi del sole – cosa impossibile in quella giornata, a ripensarci con il senno di poi.
Allora mi sentii avvolgere come da una coperta morbida, che portava con sé una calma, una leggerezza che non provavo da tre anni, da quando i tedeschi si erano avventati sulla Polonia occupandola, facendola loro.
Stavo per morire, ma all’improvviso non aveva importanza.
Cominciai a ricordare cose che avevo dimenticato da quando lavoravo alla HASAG: mia madre che mi cantava Mayn Shtetele Belz, mio padre in sinagoga che mi avvolgeva nel suo tallìt, lo scialle di preghiera, le partite di calcio con i miei fratelli. Sentii perfino la voce di mia sorella Leah assicurarmi che ci saremmo rivisti.
La solitaria nuvola scura si trasformò in un paio di ali. «Azrael» mormorai. Sentii Azrael, l’angelo che trasporta le anime in cielo, stringermi a sé con grande dolcezza. Ero inondato da ricordi d’amore che, lo sapevo, sarebbero venuti con me ovunque fossi andato.
Non mi tenevo più aggrappato alla vita.
Sentivo un tintinnio mistico, di sonagli a vento e minuscole campanelle, e perfino un coro di voci.
Buttai fuori l’aria dai polmoni, consapevole che il respiro mi stava lasciando. Mi trovavo in uno stato di tale grazia e meraviglia che sulle prime non mi accorsi della mano forte che mi afferrava per il colletto della giacca.
Qualcuno mi stava sollevando dal pianale dell’autocarro.
Il tedesco, quello che veniva spesso alla HASAG a supervisionare gli operai-schiavi ebrei, quello che doveva ricoprire una posizione elevata nel Partito nazista, perché al suo passaggio i tedeschi si mettevano sull’attenti, battevano i tacchi, gli rivolgevano il saluto militare e gridavano «Heil Hitler», era lui che mi stava portando via dall’autocarro. Quando in visita alla fabbrica c’era qualche suo compatriota dalla Germania, era solito esibirmi e commentare la mia rapidità ed efficienza. Ora stava urlando alla SS con il fucile che ero troppo prezioso, che lavoravo più veloce di due uomini adulti messi insieme. Mi serviva solo un po’ di tempo per rimettermi. Dovevo essere salvato.
La dolce melodia cessò, mia madre e mio padre sparirono.
Anche Azrael era scomparso, e il cielo plumbeo sputava pioggia.
Joe Dzuibek di Łódź, in Polonia, scrive sul fianco del treno: «Dove sono i nostri genitori? Gli orfani di Buchenwald».
Joe Dzuibek di Łódź, in Polonia, scrive sul fianco del treno: «Dove sono i nostri genitori? Gli orfani di Buchenwald».

2

Dimenticare i morti sarebbe come ucciderli una seconda volta.
Elie Wiesel
Il treno si fermò di colpo, svegliandomi bruscamente.
Mi sfregai gli occhi e guardai fuori dal finestrino. Le nuvole scivolavano davanti ai raggi del sole, proiettando lunghe ombre sui campi di grano che sembravano infiniti. Avevo la mano sinistra intorpidita per averla tenuta sotto la coscia. Sgranchii le dita e mi allungai a sbloccare il gancio che chiudeva il finestrino. Abram «Abe» Chapnik, seduto di fronte a me, balzò in piedi, ed entrambi ci sporgemmo fuori a respirare l’aria fresca della Francia.
Ascoltammo in silenzio il richiamo mattutino dei passeri, un corvo che gracchiava in lontananza, le vacche che si chiamavano a vicenda.
Chiusi gli occhi e alzai il viso al cielo.
«Guarda. Ehi, guarda!» gridò Abe, e mi tirò un calcio forte alla caviglia.
«Ahia» strillai, spalancando gli occhi di colpo.
D’istinto strinsi i pugni, pronto a colpire.
L’ultima volta che avevo sferrato un cazzotto ad Abe era stato nel campo di concentramento di Buchenwald, ai primi respiri della primavera. Di notte, un vento tagliente si insinuava tra le fessure nelle pareti delle baracche. Sopra di noi si sentivano i sibili degli aerei. «Aerei da guerra americani» sussurrò Yakov Nikivirov, noto anche come Jakow Goftman. Jakow si esibiva al circo di Mosca o al teatro Bol’šoj – non mi entrava mai in testa in quale dei due – e aveva preso me e Abe sotto la sua ala. Il giorno prima ci aveva detto: «Gli americani sono vicini e stanno bombardando Weimar». Alcuni membri della resistenza clandestina di Buchenwald, aveva proseguito, si erano arrampicati sui tetti delle baracche più imboscate del campo e avevano scritto «SOS» con dei piatti bianchi sottratti ai nazisti per a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I ragazzi di Buchenwald
  4. Introduzione
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. Appendice
  29. Epilogo
  30. La OSE
  31. Cronologia
  32. Ringraziamenti
  33. Copyright