Mia sorella è un pezzo di figa
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Mia sorella è un pezzo di figa

  1. 208 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Mia sorella è un pezzo di figa

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Informazioni sul libro

Federico è creativo, sensibile, goliardico e uno straordinario fratello maggiore attento e premuroso. Sua sorella Susanna ha una fantasia magica, è spiazzante, libera e senza filtri: "Se ha voglia di abbracciarti, ti abbraccia. Se deve mandarti affanculo, lo fa". Le parolacce fanno parte di lei, rappresentano un suo modo di esprimersi e di sbloccare le emozioni, tutte quante, tutte insieme.
Per lei "Down" è una parola qualsiasi, per lui è una parola che va semplicemente superata, "un modo per definire una cosa che per sua natura non può essere definita".
Ci sono un paio d'anni a separare Federico e Susanna ma per il resto sono una cosa sola fin dal primo giorno insieme: alleati, complici, persino colleghi nella produzione di video sui social. Tanto inseparabili che, quando Federico va a vivere da solo, è quasi naturale che Susanna lo segua, un po' in punta di piedi all'inizio e poi sempre più padrona di casa.
Mia sorella è un pezzo di figa racconta meraviglie e difficoltà di questa convivenza e molto di più: è la storia di una famiglia nella quale "diverso" è sinonimo di "speciale", un racconto esilarante, tenero, commovente, sempre sincero e per questo capace di arrivare dritto al cuore.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2022
ISBN
9788831806831

1

Questa è l’immagine della tua vita, tu che porti avanti la tua sorellina.
È con questa frase che mi risuona nelle orecchie e il cuore che batte veloce che apro. Dietro di me Susi, per ultimo papà.
Al di là della porta c’è la mia nuova casa, un monolocale spoglio ma accogliente, con le pareti appena imbiancate, il parquet, la cucina a vista, un tavolino di legno e il letto matrimoniale. Minimal. Ma perfetta. Infatti c’ho messo un sacco a sceglierla. Non solo perché, dopo ventitré anni, è il primo posto “mio” grazie al quale esco dalla condizione di mantenuto o, peggio ancora, di parassita. Ma anche perché voglio farne una specie di luogo sacro: è il luogo dove passare gran parte del mio tempo, dove mangiare e dormire quando ne ho voglia, sviluppare nuove idee per il lavoro, invitare una ragazza senza dover avvertire.
Non è la prima volta che ci mettiamo piede: qualche giorno fa io e mia sorella siamo venuti a portare le ultime cose e a svuotare gli scatoloni. E mentre eravamo lì che spacchettavamo mi ha detto: «Anch’io voglio vivere da sola» e me l’ha ripetuto ininterrottamente per tutto il pomeriggio, come fa lei quando si fissa su qualcosa.
Quel giorno aveva solo due preoccupazioni: le unghie – che sono la sua fissa, tanto che va a rifarsele una volta alla settimana – e vivere da sola, cioè con me. E quando le ho detto che sarebbe potuta venire qui ogni volta che voleva, un po’ come se fosse casa sua, ha spalancato i suoi occhi tagliati, mi ha preso il viso tra le mani e mi ha schioccato un bacio sulla guancia, prima di allontanarmi con una pacca sul coppino, dicendomi: «Ti amo, coglione!».
Oggi però è la prima volta che ci entriamo per restare, per dormirci, e siamo entrambi super felici. Sono certo lo sia anche papà, nonostante sia stranamente taciturno. In genere è uno che parla tanto, cioè sempre. Fa l’ottico optometrista naturopata e nel suo settore è tra i migliori, tanto che ha sviluppato un programma per potenziare le prestazioni visive degli sportivi professionisti, ma si interessa (e parla) di tutto: psicologia, antropologia, spiritualità… E tra lui e Susi è un continuo fare battute e prendersi in giro.
E oggi? Zero. Durante il viaggio in macchina per arrivare qui, mentre Milano ci scorreva accanto e i ragazzi affollavano i Navigli all’ora dell’aperitivo, non ha letteralmente detto una parola.
D’altronde lo ha sempre ammesso: ha una sorta di “dipendenza affettiva dai figli”. Sostenere un distacco, una distanza per lui è quasi impossibile; e infatti è sempre presente, sempre disponibile sia con me sia con Susi, che ha portato a nuotare al lago e al mare, a camminare nei boschi, a sciare in montagna… ovunque.
Al tempo stesso sono sicuro sia felice, e fiero di me, perché ho raggiunto la mia indipendenza, ed è un’altra cosa che ha sempre ripetuto: un genitore può ritenersi soddisfatto quando il figlio non lo cerca più, significa che ha fatto bene il suo lavoro.
Infatti quando, ultimo di noi tre, mette piede nell’appartamento non si trattiene: «Che bello!» dice convinto. E dopo aver fatto una breve ispezione ed essersi annotato le cose che mancano, offrendosi poi di fare una piccola spesa, se ne va e sembra decisamente sollevato.
Appena la porta si chiude, mi giro verso Susi, che trattiene a stento l’emozione con i suoi occhioni pieni di gioia, e guardandola grido: «Siamo soli, io e te, ti rendi conto?!».
I suoi occhi sono felicità allo stato puro. I miei lo stesso. Mentre nella testa mi risuonano ancora le parole di papà, quel “questa è l’immagine della tua vita, tu che porti avanti la tua sorellina” che ha pronunciato vent’anni prima, quando io ne avevo poco più di due e lei appena quattro giorni. È stato il momento in cui ho conosciuto Susi, quando è finalmente arrivata a casa, il 31 gennaio del 2000.
C’è un video girato dai miei: Susi che dorme nel passeggino, io che la spingo e mi allungo verso l’alto per guardarla, papà che parla e mamma che riprende con la videocamera. E subito dopo ci sono io, seduto sul divano, con la schiena appoggiata allo schienale e le braccia tese verso mamma, che mi appoggia un fagottino rosa sulle gambe dicendo: «Piano, stai attento…». E poi ci sono io che trattengo il respiro mentre sistemo la mano sotto la testa della mia sorellina.
In quell’istante ho sentito un’emozione fortissima, che non avevo mai provato prima. Non so cosa sia, non saprei spiegarla, non so neppure se è possibile farlo. Cioè, non è qualcosa di razionale, tipo che i miei hanno detto: “Adesso hai una sorellina, perciò comportati bene” né tantomeno qualcosa del tipo: “Tua sorella è così e cosà, perciò devi prendertene cura”. È un fatto di energia, un istinto naturale, una connessione che va al di là di ogni spiegazione. È come se in quel momento avessi percepito chiaramente che la mia vita era cambiata per sempre.
«Fede, ho un’idea!» La voce eccitata di Susi mi riporta alla realtà.
«Cosa?»
«Mangiamo la pizza!»
In un istante mi passano per la testa tutti i buoni propositi: nella casa nuova non deve essere come da papà. Lui asseconda molti desideri culinari di Susanna, con il risultato che negli ultimi anni ha messo su peso, passando dai quaranta chili di quando era alta un metro e trentasette alla sessantina di adesso che è un metro e quaranta. Resta un pezzo di figa, ma ci tengo alla sua salute, quindi nella casa nuova meno sfizi e più dieta.
Questa però è un’occasione troppo speciale, da mettere tra i ricordi più preziosi, e l’eccezione non solo è giusta ma persino scontata. Infatti, senza pensarci due volte rispondo: «Ok, stasera ci sta».
Ci sta la pizza, in assoluto la sua passione insieme alla Coca-Cola e al gelato. E ci sta restare solo noi due, nonostante alcuni amici mi avessero proposto di vederci per inaugurare la casa insieme. Alla fine è meglio così, un passo tanto importante deve essere solo nostro, come tutti quelli che hanno segnato le nostre vite. E quando tra tanti anni mi guarderò indietro voglio che ci sia solo lei, come il primo dei ricordi della mia vita “adulta”.
Mentre aspettiamo le pizze prepariamo la tavola. Con Un amico in me di Toy Story in sottofondo, Susi sistema le posate in tavola con tutta la pace del mondo. Io metto la tovaglia bianca e rosa (regalo di nonna Armanna insieme al piattino per la spugna, le mollette per stendere e altri oggetti utili che senza di lei non avrei mai preso in considerazione), i bicchieri dell’Ikea, grandi e in stile americano come piacciono a me, e la bottiglia di Coca-Cola.
Quando finisco e guardo il risultato mi rendo conto che è tutto così preciso e immacolato che sembra la casa di una fashion blogger svedese. Un filo troppo ossessivo forse, ma tanto da domani non so quanto sarà facile tenere questo aspetto sotto controllo.
Arrivano le pizze, margherita per lei, salsiccia e friarielli per me. E mentre sono lì che taglio le fette sento che io e mia sorella siamo veramente liberi, veramente felici.
Peccato che, poi, il momento finisca e qualcuno, terminata la pizza, debba sparecchiare. In genere, a queste cose ci pensavano mamma o papà, ma oggi è la prima pagina di una nuova storia e in questa storia tocca a noi. Solo che né io né Susi ne abbiamo la minima voglia.
«Vabbe’» dico sistemando i cartoni sul piano della cucina e i piatti e le posate nel lavandino, «ci pensiamo domani. Intanto prepariamoci per andare a dormire.»
È stata una lunga giornata, piena di emozioni.
Mentre ripenso alle parole di papà – non quelle su di me che porto avanti la mia sorellina, ma quelle che continuava a ripetermi gli ultimi giorni di convivenza, quando lasciavo le mie cose in giro per casa, tipo l’asciugamano umido sul pavimento, e lui mi riprendeva dicendo che una volta che sarei andato a vivere da solo non ci sarebbe stato nessuno a raccoglierlo, che avrebbe cominciato a puzzare e tutta una serie di “vedrai, vedrai…” –, con la coda dell’occhio osservo Susi mentre apre il rubinetto del bagno e spalma il dentifricio sullo spazzolino. Sembra in slow motion. Un po’ è il suo modo di fare. Un po’ è stanca. Un po’ secondo me lo fa apposta per prendere tempo o per farmi arrabbiare.
«Susi, ti sto cronometrando, ci hai messo un minuto per mettere il dentifricio sullo spazzolino…»
«Non rompere i coglioni» risponde lei con la solita diplomazia.
Alla fine, dopo che ha scritto un ultimo messaggio a papà e guardato un paio di video sul telefono, ci infiliamo finalmente sotto le coperte. Siamo abituati a dormire insieme, a condividere gli spazi. È così da quando è nata. Sempre nella stessa stanza, prima lei nella culla e io nel lettino, poi nel letto a castello, e ora qui, su questo matrimoniale nuovo di zecca. Non mi pesa, anzi mi piace. Anche dormendo si crea una sinergia, come se i nostri subconsci si ritrovassero nel mondo dei sogni.
«È un po’ duro qui…» fa lei nel suo pigiama grigio topo.
«Eh sì, è il pomo di Adamo…»
«Il pomo di minchia!»
Ridiamo. Lei è così, riesce sempre a cogliermi di sorpresa, a dire “bianco” quando mi aspetto “nero”. Susi è senza dubbio la parte di me che preferisco, quella spensierata, scollegata, di gran lunga la più divertente.
«Dài, dormiamo, spegni la luce.»
«Alexa, spegni la luce!»
«Susi, qui non c’è Alexa.»
«Grazie, Alexa.»
«Susi, la luce è ancora accesa…»
«Buonanotte, Fede» fa lei e mi stampa un ultimo bacio sulla guancia.
«Susanna, la luce. Devi solo alzare un dito…»
Silenzio.
«Ok, la spengo io. Buonanotte.»
«Anche a te, testa di minchia.» Silenzio. «Ti amo.»

2

Sono le 11, la luce spinge così forte contro la persiana che quando la spalanco entra in casa tutta in una volta.
Susi si copre la testa con il lenzuolo.
«Stronzo, chiudi!»
«Susanna, è tardi, dobbiamo uscire e devi ancora fare la doccia e la colazione.»
«No, Fede, non faccio la doccia!»
«Sì, Susi, ti puzzano i capelli.»
Silenzio.
Mia sorella odia la doccia. Non sopporta l’acqua sulla testa, negli occhi e nelle orecchie, e il fatto di doversi asciugare e rivestire. Così, quando proprio non può sottrarsi, si mette a testa bassa, immobile sotto al getto che le batte addosso, con gli occhi serrati, praticamente una via di mezzo tra Buddha e la tizia di The Ring. E se nessuno le dà istruzioni su quali parti del corpo deve lavare, lascia che l’acqua scorra e, appena può, abbandona la cabina imprecando come solo lei sa fare, le braccia molli lungo i fianchi e i capelli che penzolano come serpentelli morti dalla fronte al mento.
Questo, però, è il dopo: prima deve alzarsi dal letto. E tra il momento in cui la chiami e quello in cui effettivamente lo fa può passare anche un’oretta.
All’inizio non si muove, rimane lì, ferma come un animale che si finge morto. Poi c’è la “meditazione”: a occhi chiusi, solleva gli avambracci, con le mani in aria unisce pollice e mignolo e si sfrega massaggiando in modo circolare i polpastrelli. Intanto inspira ed espira gonfiando e sgonfiando ritmicamente la pancia. È un rito che non so se si è inventata lei o ha visto da qualche parte, ma che comunque ripete sempre, ogni mattina da che mi ricordo. Infine si tira su, restando qualche istante con le gambe incrociate sul letto, gli occhietti a mandorla socchiusi un po’ gonfi e la bocca aperta. Poi finalmente scivola con il culo fino al bordo del materasso e, dato che i piedi non arrivano a terra, si dà una spinta con le mani. Sempre tutto rigorosamente al rallentatore.
«Buongiorno!» dice appena mi mette a ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Mia sorella è un pezzo di figa
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. Epilogo
  19. Meditazione guidata
  20. Mi piace – Non mi piace
  21. Mandala
  22. Copyright