Il tulipano nero
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Il tulipano nero

  1. 384 pagine
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Il tulipano nero

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Paesi Bassi, XVII secolo. Le classi altolocate sono disposte a tutto per accaparrarsi a qualsiasi prezzo i tulipani, i nuovi fiori importati dall'Oriente che in brevissimo tempo hanno scatenato una vera e propria mania. Cornelio Van Baerle, figlioccio di Cornelis - il Governatore della Provincia -, non è immune al loro fascino e investe nella coltivazione di questi pregiati fiori ogni sua energia e attenzione, finché non riesce a creare i bulbi dell'impossibile tulipano nero, per il quale la città di Haarlem offre in premio centomila fiorini. Ma quando è sul punto di ottenerlo, un vicino invidioso, per rubargli i preziosi bulbi, lo accusa di aver complottato contro gli orangisti. Cornelio viene incarcerato, ma riesce a portare con sé di nascosto i suoi piccoli tesori, incartati in un foglio che si rivelerà cruciale... Sarà solo grazie alla dedizione, all'amore e alla volontà di Rosa, la figlia del suo carceriere, se Cornelio avrà salva la vita e potrà infine vedere sbocciare il meraviglioso fiore.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2022
ISBN
9788831806718
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici
1

Un popolo riconoscente

Il 20 agosto 1672, la città dell’Aia, così vivace, così bianca, così civettuola che tutti i giorni sembrano domeniche, la città dell’Aia, col suo parco ombroso, i grandi alberi reclinati sulle case gotiche, i larghi specchi dei canali su cui si riflettono i campanili dalle cupole quasi orientali, la città dell’Aia, la capitale delle Sette Province Unite, gonfiava tutte le sue arterie di un flusso nero e rosso di cittadini frettolosi, ansimanti, agitati, che correvano, il coltello alla cintura, il moschetto in spalla o il bastone in mano, verso il Buitenhof, formidabile prigione di cui ancora oggi si additano le finestre con le inferriate e dove, in seguito all’accusa di omicidio rivoltagli dal chirurgo Tyckelaer, languiva Cornelis de Witt, fratello dell’ex Gran Pensionario d’Olanda.
Se la storia di quel tempo, e soprattutto dell’anno in mezzo al quale cominciamo il nostro racconto, non fosse indissolubilmente legata ai due nomi che abbiamo appena citato, le righe di spiegazione che ci apprestiamo a dare potrebbero apparire una divagazione; ma avvisiamo fin d’ora il lettore, il vecchio amico a cui promettiamo sempre il piacere fin dalla prima pagina e verso il quale cerchiamo di mantenere la parola nelle pagine seguenti, avvisiamo fin d’ora il lettore, si diceva, che questa spiegazione è indispensabile tanto alla chiarezza della nostra storia quanto alla comprensione del grande avvenimento politico nel quale tale storia si inserisce.
Cornelis, o Cornelio de Witt, ruwaard di Pulten, vale a dire ispettore delle dighe di quel paese, ex borgomastro di Dordrecht, sua città natale, e deputato agli Stati d’Olanda, aveva quarantanove anni quando il popolo olandese, stanco della repubblica quale la intendeva Johan de Witt, Gran Pensionario d’Olanda, si infiammò di ardente passione per lo statolderato, che l’editto perpetuo imposto da Johan de Witt alle Province Unite aveva abolito per sempre in Olanda.
Poiché è raro che, nelle sue capricciose evoluzioni, l’animo pubblico non veda un uomo dietro un principio, il popolo vedeva dietro la repubblica le due figure severe dei fratelli de Witt, quei romani d’Olanda, restii ad adulare lo spirito nazionale e sostenitori inflessibili di una libertà senza eccessi e di una prosperità senza superfluo, così come dietro lo statolderato vedeva la fronte china, grave e posata del giovane Guglielmo d’Orange, che i suoi contemporanei battezzarono il Taciturno, nome poi adottato dai posteri.
I due de Witt cercavano di mantenere buoni rapporti con Luigi XIV, di cui sentivano crescere l’ascendente morale su tutta Europa e di cui avevano appena saggiato l’ascendente materiale sull’Olanda attraverso il successo di quella meravigliosa campagna del Reno, illustrata dall’eroe da romanzo che rispondeva al nome di conte di Guiche e cantata da Boileau, campagna che in tre mesi aveva abbattuto la potenza delle Province Unite.
Luigi XIV era da tempo nemico degli olandesi, che lo insultavano o lo deridevano in ogni modo, quasi sempre, va detto, per bocca dei francesi rifugiati in Olanda. L’orgoglio nazionale ne faceva il Mitridate della repubblica. Vi era dunque contro i de Witt la duplice animosità che deriva dalla vigorosa resistenza a un potere che si oppone al gusto della nazione e dalla fatica propria a tutti i popoli vinti, i quali sperano che un nuovo capo possa salvarli dalla vergogna e dalla rovina.
Quest’altro capo, pronto a fare la sua comparsa, pronto a misurarsi contro Luigi XIV, per quanto gigantesca potesse apprestarsi a essere la sua futura fortuna, era Guglielmo, principe d’Orange, figlio di Guglielmo II e nipote per il tramite di Enrichetta Stuart del re Carlo I d’Inghilterra, quel taciturno ragazzo di cui abbiamo già detto intravedersi l’ombra dietro lo statolderato.
Questo giovane uomo aveva ventidue anni nel 1672. Johan de Witt era stato il suo precettore e lo aveva cresciuto con l’intento di fare di quel principe di antico sangue un buon cittadino. Nel suo amor di patria, che aveva superato quello per il proprio allievo, gli aveva levato con l’interdizione perpetua la speranza dello statolderato. Ma Dio aveva riso di quella pretesa degli uomini, che fanno e disfano le potenze della terra senza consultare il Re del cielo, e attraverso il capriccio degli olandesi e il terrore suscitato da Luigi XIV aveva appena cambiato la politica del Gran Pensionario e abolito l’editto perpetuo ristabilendo lo statolderato per Guglielmo d’Orange, per il quale aveva i suoi disegni, ancora nascosti nelle misteriose profondità dell’avvenire.
Il Gran Pensionario si inchinò davanti alla volontà dei suoi concittadini; Cornelis de Witt invece fu più recalcitrante e, nonostante le minacce di morte della plebe orangista che lo assediava nella sua dimora di Dordrecht, rifiutò di firmare l’atto che ristabiliva lo statolderato.
Dietro l’insistenza di sua moglie in lacrime, si risolse infine a firmare, aggiungendo però al suo nome le due lettere: V.C. (vi coactus), che volevano dire: Costretto con la forza.
Fu un vero e proprio miracolo che quel giorno egli riuscisse a sfuggire ai colpi dei suoi nemici.
Quanto a Johan de Witt, la sua adesione più facile e rapida alla volontà dei concittadini non gli giovò in alcun modo. Pochi giorni dopo fu vittima di un tentativo di assassinio. Trafitto da coltellate, scampò tuttavia alle ferite.
Non era certo ciò che gli orangisti volevano. La vita dei due fratelli era un eterno ostacolo ai loro progetti: cambiarono dunque momentaneamente tattica, salvo poi al momento opportuno concludere comunque la seconda con la prima, e cercarono di consumare tramite la calunnia ciò che non erano riusciti a compiere col pugnale.
È abbastanza raro che al momento opportuno si trovi lì pronto, sotto la mano di Dio, un grand’uomo per eseguire una grande azione, ed ecco perché, quando questa provvidenziale combinazione per caso si verifica, la storia registra in quello stesso istante il nome di quell’uomo eletto e lo consegna all’ammirazione dei posteri.
Ma quando il diavolo si immischia negli affari degli uomini per rovinare un’esistenza o per rovesciare un impero, è raro che non abbia immediatamente a sua disposizione qualche miserabile a cui non ha che da sussurrare una parola all’orecchio perché questi si metta subito al suo servizio.
Il miserabile che in questa circostanza si trovò al posto giusto per diventare l’agente del maligno si chiamava, come crediamo di aver già detto, Tyckelaer ed era chirurgo di professione.
Costui dichiarò che Cornelis de Witt disperato, come del resto provava la sua postilla, per l’abrogazione dell’editto di interdizione perpetua e infiammato dall’odio contro Guglielmo d’Orange, aveva dato incarico a un assassino di liberare la repubblica del nuovo statolder, e che quell’assassino era proprio lui, Tyckelaer, il quale, attanagliato dai rimorsi alla sola idea dell’azione che gli si chiedeva, preferiva rivelare il crimine piuttosto che commetterlo.
Possiamo ora immaginare che esplosione procurasse tra gli orangisti la notizia di quel complotto. Il procuratore fiscale fece arrestare Cornelis nella sua casa, il 16 agosto 1672; il ruwaard di Pulten, il nobile fratello di Johan de Witt, subiva dunque in una sala del Buitenhof la tortura preliminare destinata a strappargli, come ai più vili criminali, la confessione del suo preteso complotto contro Guglielmo.
Cornelis tuttavia non solo era un uomo di grande levatura, ma anche dal gran cuore. Era di quella famiglia di martiri che, animati da fede politica come i loro antenati lo erano da quella religiosa, sorridono ai tormenti e, durante la tortura, recitò con voce ferma e scandendo i versi secondo la metrica la prima strofa dello Iustum et tenacem di Orazio, non confessò nulla e fiaccò, oltre che la forza, perfino il fanatismo dei suoi aguzzini.
I giudici sgravarono nondimeno Tyckelaer di ogni accusa e pronunciarono contro Cornelis una sentenza che lo privava di ogni carica e titolo, lo condannava al pagamento delle spese processuali e lo bandiva dal territorio della repubblica.
Quell’arresto rivolto non solo contro un innocente, ma contro un grande cittadino, era già qualcosa per la soddisfazione del popolo, al cui interesse Cornelis de Witt si era costantemente votato. Tuttavia, come vedremo, non era abbastanza.
Gli Ateniesi, che hanno lasciato di sé una bella reputazione di ingratitudine, sotto questo aspetto furono da meno degli olandesi. Si accontentarono di bandire Aristide.
Alle prime voci dell’incriminazione di suo fratello, Johan de Witt si era dimesso dalla carica di Gran Pensionario. Era anch’egli degnamente ricompensato per la sua dedizione verso il paese: la sua vita privata era gravata di noie e dispiaceri, gli unici vantaggi che spettano di solito alle persone oneste colpevoli di aver lavorato per la patria mettendo da parte se stesse.
Nel frattempo Guglielmo d’Orange aspettava, non senza affrettare con tutti i mezzi a sua disposizione l’evento, che il popolo, da cui era idolatrato, facesse dei corpi dei due fratelli i due gradini che gli servivano per salire allo scranno dello statolderato.
Ora, il 20 agosto del 1672, come abbiamo detto all’inizio del capitolo, la città intera correva al Buitenhof per assistere all’uscita di prigione di Cornelis de Witt, in partenza per l’esilio, e vedere quali tracce la tortura avesse lasciato sul nobile corpo di quell’uomo che conosceva tanto bene Orazio.
Dobbiamo aggiungere che tutta quella folla che si recava al Buitenhof non vi si recava solo nell’innocente intenzione di assistere a uno spettacolo, ma che molti, tra quelle file, speravano di giocarvi un ruolo, o piuttosto di replicare un compito che trovavano fosse stato mal svolto.
Parliamo del ruolo del boia.
Ve n’erano altri, è vero, che accorrevano con intenzioni meno ostili. Si trattava per questi solo di godersi lo spettacolo, sempre attraente per la folla, lusingata in questo modo nel suo istintivo orgoglio, di vedere nella polvere qualcuno che ha a lungo primeggiato.
Quel Cornelis de Witt, uomo senza paura, si diceva, non era forse fiaccato, indebolito dalla tortura? Non lo si sarebbe visto pallido, sanguinante, vergognoso? Non era forse un bel trionfo per quella borghesia, ancor più invidiosa del popolo, un trionfo al quale ogni buon borghese dell’Aia doveva prendere parte?
E poi, si dicevano gli agitatori orangisti abilmente mescolati alla folla, che contavano di maneggiare come uno strumento tagliente e contundente, non si sarebbe forse trovata, sul percorso dal Buitenhof alla porta della città, una piccola occasione per lanciare un po’ di fango e pure qualche pietra a quel ruwaard di Pulten che non soltanto aveva concesso lo statolderato al principe d’Orange solo vi coactus, ma che aveva perfino cercato di farlo assassinare?
Senza contare, aggiungevano gli acerrimi nemici della Francia, che se all’Aia si agiva in modo corretto e coraggioso, non si sarebbe certo potuto lasciar partire per l’esilio Cornelis de Witt, il quale, una volta fuori dal paese, avrebbe ripreso tutti i suoi intrighi con la Francia e avrebbe vissuto dell’oro del marchese di Louvois con quello scellerato di suo fratello Johan.
In simili disposizioni d’animo, lo si capisce bene, gli spettatori più che camminare, corrono. Ecco perché gli abitanti dell’Aia si affrettavano così animati verso il Buitenhof.
Tra coloro che più si affrettavano correva, col cuore pieno di rabbia e nessun progetto in mente, l’onesto Tyckelaer, osannato dagli orangisti come un eroe di probità, onore nazionale e carità cristiana.
Quell’impavido scellerato raccontava, impreziosendoli con tutti gli orpelli della sua mente e della sua fantasia, i tentativi che Cornelis de Witt aveva fatto per vincere la sua virtù, le somme che gli aveva promesso e l’infernale piano già architettato per appianare a lui, Tyckelaer, tutte le difficoltà dell’omicidio.
E ogni frase del suo discorso, avidamente raccolta dalla plebaglia, sollevava grida di entusiastico amore per il principe Guglielmo e grida di cieca rabbia contro i fratelli de Witt.
La folla arrivava a maledire quei giudici iniqui il cui verdetto lasciava scappare sano e salvo un così abominevole criminale quale quel disgraziato di Cornelis.
E qualche istigatore ripeteva a voce bassa: «Se ne andrà! finirà per sfuggirci!», al che altri rispondevano: «C’è un vascello che lo aspetta a Scheveningen, un vascello francese. Tyckelaer lo ha visto».
«Prode Tyckelaer! buon Tyckelaer!» gridava in coro la folla.
«Senza contare» diceva una voce «che durante la fuga di Cornelis, Johan, che è un traditore non meno del fratello, si metterà in salvo pure lui.»
«E quei due mascalzoni se ne andranno in Francia a mangiarsi i nostri soldi, i soldi delle nostre navi, dei nostri arsenali, dei nostri cantieri venduti a Luigi XIV.»
«Dobbiamo impedirgli di partire!» gridava la voce di un patriota più audace degli altri.
«Alla prigione! alla prigione!» ripeteva il coro.
E al suono di quelle parole, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Un fiore val bene una guerra. di Luca Crovi
  4. Il mondo e i fiori. di Guido Paduano
  5. Cronologia della vita e delle opere
  6. Bibliografia
  7. IL TULIPANO NERO
  8. 1. Un popolo riconoscente
  9. 2. I due fratelli
  10. 3. L’allievo di Johan de Witt
  11. 4. I massacratori
  12. 5. Il coltivatore di tulipani e il suo vicino
  13. 6. L’odio di un coltivatore di tulipani
  14. 7. L’uomo felice conosce la sventura
  15. 8. Un’intrusione
  16. 9. La cella di famiglia
  17. 10. La figlia del carceriere
  18. 11. Il testamento di Cornelio Van Baerle
  19. 12. L’esecuzione
  20. 13. Quel che accadeva nel frattempo nell’animo di uno spettatore
  21. 14. I piccioni di Dordrecht
  22. 15. Lo spioncino
  23. 16. Maestro e allieva
  24. 17. Primo bulbo
  25. 18. Lo spasimante di Rosa
  26. 19. Donna e fiore
  27. 20. Quel che era accaduto durante quegli otto giorni
  28. 21. Il secondo bulbo
  29. 22. Fioritura
  30. 23. L’invidioso
  31. 24. Dove il tulipano cambia proprietario
  32. 25. Il presidente Van Systens
  33. 26. Un membro della Società di orticultura
  34. 27. Il terzo bulbo
  35. 28. La canzone dei fiori
  36. 29. Dove Van Baerle, prima di lasciare Loevestein, regola i suoi conti con Gryphus
  37. 30. Dove si comincia a intuire quale supplizio si preparasse per Cornelio Van Baerle
  38. 31. Haarlem
  39. 32. Un’ultima preghiera
  40. 33. Conclusione
  41. Copyright