IL MASSACRO DEGLI EBREI RUSSI
Le «Einsatzgruppen»
La prima grande azione di sterminio su scala nazionale fu intrapresa a partire dal giugno 1941 nei territori russi via via occupati ed era in gran parte conclusa entro l’inverno. Essa fu condotta con una tecnica relativamente rozza: fu letteralmente un massacro. Dietro gli eserciti che avanzavano in Russia, operavano quattro comandi di SS, le Einsatzgruppen A, B, C e D. Il primo operava negli Stati Baltici, dietro il fronte di Leningrado, ed era comandato da F. Stahlecker. Il gruppo B operava nella Russia Bianca, dietro il fronte di Mosca sotto il comando di A. Nebe (a cui nel novembre 1941, a cose in gran parte già compiute, successe E. Naumann). Il gruppo C, dietro il fronte di Kiev, era comandato da O. Rasch, e il gruppo D nell’estremo lembo sud del territorio di conquista, da O. Ohlendorf. Ciascuno dei comandanti aveva alle sue dipendenze da 600 a 900 uomini specialmente addestrati in un corso preparatorio.
(Dei quattro, solo Ohlendorf fu processato dopo la guerra. Egli ammise con la massima chiarezza e fermezza di aver ordinato l’uccisione di circa 90.000 persone per la sola colpa di essere nati ebrei. In successive deposizioni egli ritornò su questa cifra, spiegando che essa si basava soltanto sui rapporti dei suoi dipendenti e che costoro potevano essersi sbagliati nel conto.)
Uccisione di un ebreo ai bordi di una fossa comune in Ucraina.
Uno degli scopi dei quattro reparti era quello di dare esecuzione a un «ordine del Führer per l’uccisione in Russia di ebrei, zingari, razze inferiori e commissari politici». Non c’è nessun documento scritto che ci abbia preservato tale ordine, e non possiamo quindi sapere se l’applicazione così radicale di esso fosse o meno un’iniziativa di Himmler o di Heydrich. Le Einsatzgruppen operavano come reparti di polizia speciale. Una parte dei circa 3.000 componenti costituivano dei comandi permanenti di polizia in corrispondenza con ciascun Reichskommissar o Landkommissar nominato nelle varie province occupate. Ma essi non dipendevano da questi governatori civili e ricevevano gli ordini più importanti direttamente dai supremi comandi delle SS. Non è chiaro tuttavia se tale devoluzione di ordini avvenisse pel tramite degli Alti Commissari SS che soprintendevano alle attività di polizia in ciascuna vasta area d’occupazione (Jeckeln per il Gruppo Armate Sud e von dem Bach Zelewski per il Gruppo Armate Centrale). Una volta installati nei loro uffici territoriali i componenti delle Einsatzgruppen oltre che occuparsi dei problemi di polizia locale, organizzavano dei reparti di sterminio parte formati di truppe tedesche, parte di ausiliari slavi.
Quanto alla Wehrmacht, essa non prese quasi mai l’iniziativa dei massacri; ma nemmeno si adoperò per impedirli.1
Le zone di operazione delle Einsatzgruppen (1941-1942).
Gravissima la connivenza degli ufficiali superiori, i quali dopo la guerra tentarono tuttavia di negare di essere stati al corrente delle attività delle SS. Ma la tesi è insostenibile. Che i quadri della Wehrmacht fossero perfettamente a conoscenza di quello che stava accadendo nei rispettivi territori non è soltanto un’ovvia presupposizione: è detto in tutte lettere in parecchi ordini del giorno. Il 10 ottobre 1941 il maresciallo W. von Reichenau firmava l’ordine del giorno della Sesta Armata, che contiene queste parole: «Il nostro soldato nei territori orientali non è solamente un combattente secondo le regole dell’arte della guerra, ma anche il portatore di una spietata ideologia nazionale. Il soldato stesso deve perciò intendere la necessità di una severa ma giusta vendetta contro il giudaismo sub-umano». Parole ripetute testualmente da von Kuecher per la 18a Armata e da von Manstein per la 11a. Anche più esplicita la direttiva di von Rundstedt: «L’azione contro comunisti ed ebrei dev’essere intrapresa soltanto dai reparti speciali della polizia e dell’SD che sono direttamente responsabili per l’esecuzione di essa. È proibita la partecipazione di membri delle forze armate agli eccidi della popolazione ebrea in Ucraina. È anche proibito assistere alle misure prese dai reparti speciali e fare fotografie. Quest’ordine dev’essere portato a conoscenza del personale di tutte le unità. Per l’esecuzione dello stesso sono responsabili tutti gli ufficiali e i sottufficiali».
La tecnica dei massacri
Come andarono in pratica le cose? Molte delle azioni minori potevano passare per rappresaglie antipartigiane, simili a quelle applicate sporadicamente in altri paesi occupati. Ma l’azione tipica su larga scala era un po’ diversa. Reparti comandati da membri delle Einsatzgruppen occupavano i ghetti delle città o i piccoli centri con popolazione ebraica, esigevano la creazione di uno Judenrat e la raccolta della comunità «per operazioni di trasferimento». Le vittime venivano radunate in un edificio o in una piazza, caricate a scaglioni sui mezzi di trasporto disponibili, condotte in località adatte nelle vicinanze dell’abitato e abbattute a turno sui margini o nell’interno di una fossa comune. Gli arresti e i trasporti venivano compiuti da ausiliari di vari tipi; le fucilazioni invece da squadre tedesche. Le armi usate erano normalmente gli Schmeisser o altra arma rapida, ma si ha notizia di esecuzioni effettuate più lentamente con semplici fucili a ripetizione.
Scene di un’esecuzione di massa.
Abbondano descrizioni circostanziate di scene di esecuzioni, e le più attendibili sono naturalmente quelle di ex-militari tedeschi. Sono anche sopravvissute numerose fotografie clandestine, che illustrano tutte le fasi di un’esecuzione in massa: la preparazione dell’enorme fossa, la gente costretta a spogliarsi, la fila degli ignudi (tra cui donne coi loro bambini al collo) incamminati verso il bordo della fossa, gli strati sovrapposti dei morti e dei morenti. Ecco la testimonianza del tedesco Hermann Graebe, tecnico edile, che assistette a un’esecuzione di questo tipo al tempo dell’Azione Reinhardt, presso l’aeroporto di Dubno il 5 ottobre 1942. La data tarda spiega la estrema semplicità e per così dire la snellezza dell’operazione:
«L’SS di servizio presso la fossa gridò qualcosa al camerata di guardia a questo gruppo. Costui contò venti persone e ordinò loro di girare attorno al mucchio di terra... Mi ci recai anch’io e mi trovai davanti a un’enorme fossa, piena di persone stipate le une sopra le altre in modo che se ne vedevano solo le teste. Quasi tutti perdevano sangue alla nuca. Alcuni si muovevano ancora. Alcuni muovevano una mano o giravano la testa per far vedere che erano ancora vivi. La fossa era già piena per due terzi. Stimai che ci potessero stare un migliaio di persone. Cercai l’uomo che effettuava le fucilazioni. Era uno delle SS seduto sul lato corto della fossa, coi piedi penzoloni dentro di essa. Aveva un parabellum sulle ginocchia e stava in quel momento fumando una sigaretta. I nuovi arrivati – completamente nudi – scesero alcuni gradini praticati nella parete d’argilla della fossa e si trascinarono carponi sopra le teste dei seppelliti fino al punto dove l’SS ordinò loro di mettersi... Poi ci fu una serie di colpi, e vidi i loro corpi contorcersi o le loro teste giacere inerti sopra lo strato dei morti... Mi domandavo come mai non mi si ordinasse di andarmene, ma osservai che c’erano lì due o tre portamessaggi in uniforme. S’avvicinava intanto un altro gruppo. Scesero nella fossa, si distesero in fila contro le vittime del gruppo precedente e furono fucilati. Tornai indietro (al punto di raccolta) e vidi che era arrivata un’altra camionata di gente. Stavolta c’erano tra loro dei malati. Una vecchia magrissima fu svestita da altri, già ignudi, mentre due persone la sorreggevano. A quanto pare era paralizzata, e fu dovuta trasportare attorno al mucchio. Me ne andai col mio capo-uomini e tornai in macchina a Dubno».
Quasi tutti i testimoni di simili «azioni di trasferimento» (in Russia e l’anno dopo in Polonia) furono naturalmente colpiti dai particolari più atroci, come il pianto dei bambini in collo alle madri, i gruppi familiari, le condizioni dei vecchi e degli infermi, la paziente attesa delle vittime. Ma non è il caso di citare ancora. È sufficiente rammentare che in Russia non si trattò di qualche centinaio di morti, come per esempio nell’episodio delle Fosse Ardeatine, ma di parecchie centinaia di migliaia; e che – i pochi fuggiti dai ghetti essendo per lo più uomini validi – si trattò specialmente di bambini vecchi e donne.
Cronologia e proporzioni
I massacri condotti con questa tecnica – più cruda e primitiva di ogni altra – si estesero a tutti i territori russi occupati dopo il giugno 1941: Paesi Baltici, Russia Bianca, Ucraina, Crimea. Il grosso delle azioni era già concluso entro la fine dell’anno, ma altri eccidi si effettuarono sporadicamente negli anni successivi. Quella parte della popolazione ebraica che era riuscita a sfuggire ai primi rastrellamenti tendeva a ritornare alle proprie case, con la speranza che il turbine fosse passato, o spinta dalla fame. Inoltre i ghetti così sfoltiti venivano poi riempiti con gli ebrei deportati dai paesi occidentali. La liquidazione totale dei ghetti russi avvenne soltanto nel 1943. Al ritorno dell’Armata Rossa nessuna comunità ebraica, né piccola né grande, fu ritrovata.
Questo non vuol dire che tutti gli ebrei abitanti nei territori in questione fossero effettivamente sterminati. Non si tratta di sapere quanti i tedeschi ne risparmiassero, ma quanti riuscissero a cogliere in trappola. Bisogna tenere conto dunque, oltre che dell’alto indice di mortalità «naturale», della percentuale di ebrei che riuscirono a fuggire davanti all’invasione. Il numero degli scampati non si può conoscere con assoluta esattezza in mancanza di un censimento degli ebrei in Russia. Così la cifra totale degli stermini resta una congettura: il Reitlinger, che è estremamente cauto e scrupoloso nei suoi calcoli, la pone appunto tra le tre cifre definite «congetturali» (le altre due sono quelle relative alla Polonia e alla Bulgaria) nella tabella riassuntiva degli eccidi, e la stima tra un minimo di 700.000 e un massimo di 750.000.
Rabbini polacchi dileggiati da SS.
Noi possediamo comunque molti dati parziali abbastanza precisi. Particolarmente interessanti quelli conservatici nei rapportini giornalieri delle Einsatzgruppen (Tätigkeitsberichte) trasmessi telegraficamente e in cifra all’ufficio del colonnello Lindow della Gestapo. Ce n’è restata tra l’altro una serie continua di circa 200, interrotta nel marzo 1942, completa di riassunti mensili (Ereignismeldungen). I bollettini giornalieri contengono resoconti di singole operazioni col numero a volte specificato fino alle unità, degli ebrei uccisi; i riassunti ci danno le somme mensili. Le cifre a volte altissime contenute in questi rapporti devono prendersi con molta cautela. Ma in certi casi abbiamo purtroppo conferma da altra fonte. Si veda il formidabile eccidio di Kiev,2 dove circa 30.000 ebrei furono fucilati in due giorni. Il bollettino giornaliero n. 106 e il rapporto mensile n. 6 citano entrambi la cifra di 33.771.
Secondo una statistica ufficiosa aggiornata a tutto il 1942 e presentata a Himmler nel marzo 1943, la cifra totale degli ebrei uccisi fino a tutto il 1942 sarebbe stata di 633.300 (alla quale bisognerebbe poi aggiungere quelle degli eccidi minori del 1943-44).
Per molti dei ghetti maggiori siamo in grado di seguire lo sviluppo delle operazioni in modo abbastanza particolareggiato: date dei successivi rastrellamenti, località delle esecuzioni, numero dei fucilati. Le azioni più importanti avvennero per i Paesi Baltici a Kovno, Vilna e Riga; per la Russia Bianca a Minsk e Pinsk; per l’Ucraina a Leopoli, Vinnitza, Zitomir e più a est a Kiev, Kharkov, Dniepropetrovsk. In alcune decine di casi si abbatterono da 4.000 a 10.000 persone in una sola operazione; più spesso il numero variava da qualche centinaio a qualche migliaio. L’episodio più atroce è forse appunto quello di Kiev, dove il 26 settembre 1941 (sette giorni dopo l’entrata delle truppe tedesche) si ordinò agli ebrei di presentarsi entro tre giorni all’incrocio di via Melnik con via Doktorevskaia «per un trasferimento». L’esecuzione dei 30.000 e più ebrei presentatisi avvenne il 29 e 30 settembre 1941 ai margini della zona urbana di Kiev, non lontano dal cimitero ebraico di Lukyanovka. Secondo il rapporto n. 10 delle Einsatzgruppen «la popolazione non s’è resa conto che gli ebrei venivano liquidati, ma a giudicare da recenti episodi non avrebbe comunque trovato nulla a ridire».
L’«AZIONE REINHARDT» E LA STRAGE DEGLI EBREI POLACCHI
Le proporzioni dell’operazione
«Azione Reinhardt» fu designato convenzionalmente il complesso di operazioni in cui fu messa a morte la grande maggioranza degli ebrei polacchi. Prima della guerra la popolazione ebraica della Polonia era certamente superiore ai tre milioni. Nel censimento del 1931 erano stati registrati 2.732.600 ebrei, con un aumento degli ultimi dieci anni di 622.000 unità. Le stime per il 1939 oscillano tra i 3.200.000 e i 3.350.000. Dopo la guerra e il ritorno dei 157.420 profughi rimpatriati dalla Russia, la cifra ufficiale dei superstiti in Polonia era di 240.489. A questi bisogna aggiungere i circa 110.000 ebrei polacchi residenti all’estero. I mancanti sono dunque poco meno di 3.000.000. Però l’imprecisione della cifra di partenza e la possibilità che una percentuale ignota di ebrei polacchi fugg...