Il lato nord del cuore
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Il lato nord del cuore

  1. 688 pagine
  2. Italian
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Il lato nord del cuore

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Informazioni sul libro

Estate 2005. Amaia Salazar, giovane e promettente vice ispettore della polizia regionale della Navarra, partecipa a un corso per gli ufficiali della Europol. A Quantico, il quartier generale dell'FBI, lei e i suoi colleghi studiano il caso del "Compositore", un serial killer attratto dalle catastrofi naturali, che stermina famiglie con una dedizione da culto e una precisione rituale. Alla vigilia dell'uragano Katrina, uno tra i più gravi della storia statunitense, Amaia viene reclutata nella squadra investigativa capitanata dall'agente speciale Aloisius Dupree e spedita a New Orleans al fine di scovare e neutralizzare in tempo l'omicida. Ma un'improvvisa telefonata dal paesino di Elizondo, nella valle del Baztán, richiama di colpo alla memoria i traumi della sua infanzia, obbligandola a scontrarsi con antichi, dolorosi ricordi. E con una paura feroce e arcana.
Con questo romanzo Dolores Redondo, maestra del literary thriller, innesta l'elemento magico, il folklore, in una realtà violenta e tangibile, e attinge alla tradizione del Baztán per regalarci un thriller dal timbro unico e inimitabile, prequel dell'acclamata Trilogia.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2022
ISBN
9788831806596

Seconda parte

Quella che il bruco chiama fine del mondo,
il resto del mondo chiama farfalla.
LAO TZU
38

Dopo la tempesta

New Orleans, Louisiana
Lunedì 29 agosto 2005

Uscire dalla stazione dei pompieri fu per loro come atterrare su un altro pianeta. D’un tratto le telefonate angosciose di chi chiedeva aiuto, le immagini sfocate delle telecamere, i bollettini meteo, le notizie trasmesse dalle pattuglie in servizio o dalle vittime del cataclisma perdevano ogni presa sulla realtà. Perché nessun essere umano avrebbe mai potuto prepararli, attraverso le sue parole di orrore o la disperazione, a ciò che trovarono fuori.
Reggendosi a un lato della lancia su cui si erano imbarcati, Dupree osservava i volti dei compagni. Al momento di partire dalla base aveva pensato che Amaia sarebbe stata al centro delle sue preoccupazioni. Sapeva di essersi assunto un serio rischio permettendole di accompagnarli nonostante la situazione emotiva in cui si trovava. Era certo che quando Wilson e Verdon gli avevano detto di usare la notizia della morte di suo padre come riteneva meglio, pensavano che avrebbe deciso di trattenerla alla centrale, non certo di portarsela dietro, in pieno trauma da lutto, in una difficile caccia all’assassino. Eppure, qualcosa gli diceva che Amaia in questi frangenti dava il meglio di sé. Dopo il sopralluogo a quella casa senza il tetto, mentre la rispediva a Quantico, lei gli aveva chiesto: «Perché io?». Lui si era tolto d’impaccio alludendo all’importanza dell’indagine, degli individui come strumenti e degli investigatori come parte dell’ingranaggio, semplici rotelle necessarie per raggiungere lo scopo. Ma le aveva mentito. Amaia era un segugio. Uno di quegli individui naturalmente dotati della particolare facoltà di riconoscere le tracce lasciate dal male. Dubbio privilegio, certo, ottenuto grazie alla frequentazione di un inferno personale. Amaia era capricciosa e petulante come qualsiasi poliziotto divenuto una stella prima dei venticinque anni; ma allo stesso tempo era molto controllata e all’apparenza distaccata dal proprio dolore, e Dupree era costretto a chiedersi se si trattava di un meccanismo di difesa, come nella maggior parte dei casi, o se invece la giovane non aveva ancora capito da dove le proveniva il suo talento. Se la seconda ipotesi era corretta, allora era certo di aver trovato una creatura straordinaria. Una persona rara. E se tutto fosse andato come pensava, presto l’avrebbero messa alla prova.
Nel frattempo, però, chi lo preoccupava erano gli uomini di New Orleans.
Amaia e Johnson si erano scambiati a malapena quattro parole sottovoce per tutto il tragitto. Erano evidentemente scossi, ma soprattutto si contenevano di fronte alle reazioni di Bill e Bull, come se comprendessero che tutto il loro smarrimento non era nulla rispetto a ciò che i due poliziotti dovevano provare in quel momento di fronte alla loro città distrutta. I due uomini di New Orleans avevano presto interrotto le vivaci esclamazioni dei primi minuti. Dopo aver lasciato la jeep sulla Interstate 10 per continuare con lo Zodiac, la devastazione era apparsa di una tale entità che i due uomini erano caduti in un mutismo totale, probabile sintomo di shock postraumatico. Balbettavano parole che morivano prima ancora di essere pronunciate, muovevano gli occhi da un punto all’altro senza riuscire a fissarli su nulla in particolare, erano pallidi e si muovevano il meno possibile, come per risparmiare le forze.
Al numero 428 di Main Street corrispondeva l’unico edificio di due piani visibile tutt’intorno. Aveva un’aria raffazzonata che non doveva essere stata molto migliore neppure prima dell’uragano. La zona di abitazione si trovava al primo piano, come se l’idea iniziale di chi l’aveva costruito fosse stata di destinare il piano terra a locali commerciali e poi, per un ripensamento, avesse deciso di murare con il cemento tutte le aperture. Si poteva accedere agli appartamenti grazie a un ballatoio che li collegava tutti, sul quale si aprivano le porte delle case. Superato l’incrocio nel quale iniziava la via, fermarono il motore per non farsi sentire; la velocità della lancia avrebbe dovuto portarli a destinazione per inerzia. Invece lo Zodiac cominciò subito a retrocedere, spinto da una corrente che fluiva verso nord. Si guardarono sconcertati, mentre si avvicinavano all’edificio a forza di remi. L’acqua arrivava all’altezza delle gronde della maggior parte delle case, e nascondeva alla vista le più basse, delle quali si scorgeva solo il colmo del tetto. La corrente arrivava da River Road; l’acqua fangosa del fiume si era impadronita della strada alla quale dava il nome, formando piccoli mulinelli nel punto in cui la via confluiva nella passeggiata del lungofiume. Per il piccolo gruppo dello Zodiac fu impossibile non ripensare alla lista delle famiglie che non avevano mostrato intenzione di evacuare da quella zona, e alla loro sorte. Così come era impossibile non pensare a quel fango marrone che veniva dal fiume e che in quel momento manteneva ancora il proprio odore di terra, ma che presto, all’aumentare della temperatura, sarebbe divenuto pestilenziale.
Quando però spensero il motore, ciò che sentirono più fragoroso che mai fu l’impenetrabile silenzio, o forse il diverso ordine di suoni, che li avvolgeva, così come il moto delle onde che sembravano scivolare sull’acqua. Non avevano più punti di riferimento, né visivi né auditivi. Durante il tragitto avevano alzato lo sguardo più volte, allertati dal rumore degli elicotteri della guardia costiera che sorvolavano la città in tutti i sensi. Poi più nulla. Se si tendevano le orecchie si riusciva a udire un suono lontano, simile a quello che si percepisce da una collina posta sul limitare di una grande città.
Era un rumore che indicava vita, laggiù, in lontananza, ma era pur sempre quasi impercettibile, e bastava un sussurro, lo sciabordio dell’acqua, a farlo scomparire, come se si fosse trattato di un’eco, di una sorta di miraggio acustico. O del ricordo di un mondo scomparso.
Ormeggiarono il gommone alla ringhiera della scala, che appariva pericolosamente inclinata verso l’esterno e la cui base si perdeva sott’acqua, come negli imbarcaderi. Amaia calcolò che i gradini sommersi fossero almeno dieci.
Protetti dai giubbotti antiproiettile, tutti seguirono Bill e Bull, che posseduti da una nuova energia, e senza la minima cautela, si lanciarono su per la scala e indicarono la loro destinazione verso la parte sinistra della balconata, dove mancavano dei pezzi di ringhiera. Passarono davanti a due porte dove qualcuno aveva disegnato con dello spray arancione, identico a quello che avevano nei loro zaini, due grandi X che obbedivano al sistema di marcatura stabilito dall’Agenzia federale di gestione delle emergenze (FEMA) per le ricerche e i salvataggi in zone urbane.
Bill e Bull raggiunsero l’entrata dell’appartamento e si posizionarono ai due lati della porta; poi si volsero verso Dupree con uno sguardo interrogativo. Anche su quell’uscio era dipinta una grande x arancione. Significava che quella casa era stata ispezionata. I quattro quadranti della X indicavano in alto il giorno e l’ora in cui era passata la squadra d’ispezione; a destra le condizioni in cui avevano trovato la struttura; in basso il numero di vivi e morti trovati all’interno; e, a sinistra, il codice identificativo della squadra di salvataggio.
«In casa non hanno trovato nessuno. La struttura è danneggiata e raccomandano di non entrare» sussurrò Bull.
Charbou indicò con la pistola il giorno e l’ora segnati nel quadrante superiore, 8/29 e 12.30 p.m., mentre con l’altra mano indicava il proprio orologio. Dupree controllò l’ora, cogliendo subito l’avvertimento di Charbou.
Era quasi impossibile che non avessero incrociato quel gruppo di salvataggio, o che non potessero vederli poco più avanti impegnati nell’ispezione di altre case vicine. L’agente FBI tornò indietro lungo il ballatoio e osservò i segni sulle porte che avevano oltrepassato; lì i dati erano incompleti, ma Johnson risolse per tutti la questione, sussurrando: «La 3-505 PIR è la 62a divisione di fanteria di paracadutisti aerotrasportata; verranno di sicuro, ma dubito molto che siano già arrivati».
Dupree tornò al suo posto vicino a Bull e fece segno a Charbou di andare a vedere la porta più avanti sul ballatoio. Presto il poliziotto si voltò verso di loro articolando in silenzio la parola “niente”, mentre con la mano faceva un gesto netto.
Dupree annuì. Il compositore si era coperto la fuga, assicurandosi che nessuno lo importunasse, ma non si era preso la briga di andare un po’ più avanti e di segnare la porta successiva.
Dupree fece segno di procedere, e con un gesto delle mani fece capire ai poliziotti che l’assassino poteva essere ancora all’interno della casa.
Charbou bussò con forza.
«Polizia di New Orleans, aprite!» gridò, restando in attesa contro la parete accanto allo stipite.
Ascoltarono con il fiato sospeso. Niente. Poi fu la volta di Bull.
«Polizia di New Orleans, allontanatevi dalla porta, stiamo per fare irruzione!»
Ma non lo fecero. Charbou sparò alla serratura e arretrò mentre il supporto metallico saltava, facendo un giro quasi completo intorno a una delle viti e proiettando schegge di legno in ogni direzione. Si diffuse un forte odore di polvere da sparo e di legno di pino bruciato, mentre lo sparo riecheggiava sull’acqua. La porta si aprì lentamente, non più di un palmo, poi si incastrò contro il pavimento.
Bull gridò di nuovo: «Qui è la polizia, allontanatevi dalla porta; siamo pronti a sparare».
Non fecero neppure questo. Bull diede una spallata alla fragile struttura della porta, che cedette verso l’interno bloccandosi nuovamente contro il pavimento senza essersi aperta del tutto; poi si accovacciò per coprire il compagno, in modo che Bill potesse oltrepassarlo con un salto e atterrare su un ginocchio, con l’arma spianata contro chiunque vi fosse nell’appartamento.
L’odore pungente della polvere da sparo e quello più naturale del legno bruciato furono sostituiti quasi subito dal terribile fetore della morte recente. Il tepore ferroso del sangue versato, l’alito sospeso sulle bocche dei morti, le gocce di sudore e lacrime asciugate sulla pelle lasciando il tipico ghirigoro biancastro del sale, l’urina e le feci del terrore più atroce. Il panico della morte violenta.
Ai due poliziotti bastarono pochi secondi per verificare che nel piccolo appartamento non c’era nessun altro. Allora entrarono tutti.
La parete posteriore del soggiorno era in buona parte scomparsa, e dalla porta aperta sulla strada si poteva vedere un terreno nella via parallela sul retro, con l’insegna UTENSILI E ATTREZZATURE JEFFERSON, che era caduta ed era andata a incastrarsi tra i pali che l’avevano sostenuta. Dall’acqua spuntavano i macchinari più grossi, di colore giallo e nero, sventrati e distrutti.
I mobili dell’abitazione erano ammonticchiati in un angolo. Potevano averlo fatto gli abitanti per tentare di coprire lo squarcio nella parete posteriore, ma Dupree era convinto che fosse stato il compositore; la casa era molto piccola e i mobili probabilmente intralciavano la sua messinscena: aveva bisogno di un certo spazio sul pavimento per potervi stendere le vittime. La famiglia era disposta parallelamente all’entrata, con le teste che puntavano verso il lago Pontchartrain, e i piedi rivolti verso il Mississippi, anche se ora lago e fiume erano un tutt’uno.
Amaia restò ferma lì dove si trovava, in piedi, e per un momento tornò a essere la bambina scalza, con i piedi freddi sul pavimento della sala da musica. Abbassò lo sguardo sui propri stivali, per controllare di non star calpestando un rivolo di sangue nero, e nel vuoto della mente poté udire distintamente il suono delle campane. La casa era così piccola che in due passi era già arrivata al cadavere più vicino alla porta. Un bambino piccolo, magro, esile. Era sicura che dovesse avere undici o dodici anni, perché il compositore li sceglieva di quell’età, ma non ne dimostrava più di dieci. Indossava una maglietta nera e oro dei Saints, e aveva pianto a lungo, aveva ancora il volto umido di moccio e lacrime, mentre le palpebre, non del tutto chiuse, erano così arrossate da sembrare truccate.
«Un bambino non molto più grande di me.» Amaia chiuse per un momento gli occhi, stringendoli con forza, cercando di cancellare dalla mente quel pensiero assurdo. Ma quando li aprì e abbassò nuovamente lo sguardo sul cadavere vide che dal ciuffo al culmine del capo, sollevato dallo sparo, il sangue era colato sul pavimento formando una piccola pozza che si allargava sino ai suoi piedi. Si accovacciò vicino al corpo e per alcuni secondi lo osservò da vicino. Voleva convincersi che nel bambino non restasse più nessun alito di vita, ed era cosciente in un modo istintivo, quasi animalesco, che in quel momento stava assistendo a ciò che alcuni chiamano la disincarnazione dell’anima.
L’odore era così intenso che lo stesso Johnson si sentì in dovere di tastare il polso a ogni membro della famiglia. Poi tornò ai piedi del gruppo e scosse la testa, contrariato.
«Non possi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il lato nord
  4. Prologo
  5. Prima parte
  6. Seconda parte
  7. Epilogo
  8. Glossario
  9. Ringraziamenti
  10. Copyright