Consolazione
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Consolazione

  1. 272 pagine
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Consolazione

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Informazioni sul libro

In principio fu il Brivido, un violento terremoto che all'inizio del secolo scorso fece crollare la montagna e risorgere la creatura che vi era stata imprigionata molto tempo prima. Cinquant'anni dopo, il piccolo paese di Roccasa vive ancora nell'ombra di quella maledizione, che scatena terribili pulsioni negli uomini e ha ridotto le donne a una dolente rassegnazione.
A combatterla è rimasta la sola stirpe delle sarachìe, che tramandano di madre in figlia il segreto per consolare e guarire le compaesane.
La piccola Teresa è una di loro, e presto dovrà abbandonare l'infanzia per abbracciare il suo destino. Michele Orti Manara compone in queste pagine un intreccio avvolgente, in cui convivono religione e folklore, romanzo di formazione e favola dark, echi del passato e temi attuali. Una storia spietata in cui nessuno, proprio nessuno, può dirsi al sicuro.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2022
ISBN
9788831806855

1

«Se avete paura è il momento di dirlo, che poi non si torna più indietro» dice Marcello, in testa al gruppo.
«E chi lo dice, io torno indietro quando mi pare» risponde Evelina.
«Ma non è che invece ti continui a fermare perché sei tu quello che ha paura?» chiede Teresa dal fondo della fila.
«E di cosa?» risponde Marcello, fermandosi e bloccando tutti gli altri, con un filo d’erba che gli ballonzola tra i denti. «La chiesa è vuota, finché non arriva il prete nuovo anche Marisa non ci mette piede. E poi, di cosa dovrei aver paura, di una macchia di sangue? Ho già sgozzato sei maiali con mio padre, mica mi fa senso il sangue.»
«Se non la smettete va a finire che cambio idea, andiamo avanti e basta» dice Evelina, mangiucchiandosi l’unghia del pollice.
Solo pochi minuti prima stanno languendo sul pendio dove passano gran parte del loro tempo libero, in un sonnacchioso sabato pomeriggio di fine febbraio. La temperatura è mite, tanto da aver anticipato di qualche settimana la primavera. Il vento pettina l’erba, dalla cima della collina alle spalle dei ragazzi giù giù fino a dove il terreno diventa pianeggiante e iniziano a sorgere le poche costruzioni che prendono il nome di Roccasa.
Sul pendio non c’è molto da fare; al di fuori del pendio neppure, ed è per combattere la noia che Marcello a un certo punto si alza in piedi e chiede: «Perché non andiamo alla chiesa? Mio padre dice che si vedono ancora le macchie di sangue sotto il campanile, dove don Antonio si è spiaccicato…».
«Mamma ha detto di non andarci» risponde Tobia togliendosi un dito dal naso, «che se no poi facciamo brutti sogni.»
«Mamma ha detto a te di non andarci, perché se no sei tu che fai brutti sogni. Se non ti va di venire torna a casa, su, fila!»
«Ma io voglio stare con voi!» piagnucola Tobia, il labbro superiore che trema appena, le braccia incrociate sul petto.
«Basta che poi non fai la spia come al solito. Quindi, andiamo? Voi che dite?»
Le ragazze non danno segno di aver sentito la domanda.
Evelina continua a lavorare sui capelli di Teresa, a dividere le ciocche ramate e a sovrapporle con movimenti fluidi, creando una treccia spessa come la corda che regge il secchio nel pozzo al centro di Roccasa.
E Teresa, seduta con le gambe raggomitolate sotto la gonna, continua a raccogliere i primi fiori di campo, decapitarli e infilare le corolle in un pezzo di spago. Ha già creato una collana lunga due spanne; lo spago che ha attorcigliato in grembo e il tripudio primaverile che ha attorno alla gonna suggeriscono che potrebbe continuare a decapitare e infilare per ore.
Ogni tanto guarda in alto, verso il cielo lattiginoso; aspetta una goccia di pioggia, un raggio di sole, un segnale.
A Marcello sembra sempre che sia persa da qualche parte che lui fatica a raggiungere, e la cosa lo spaventa e innervosisce in egual misura. In momenti come questo non riesce a trattenersi dalla tentazione di riportarla coi piedi per terra, e così alza la voce e dice: «Oh, Teresa! Ci vieni alla chiesa, sì o no?».
«Per me fa lo stesso» risponde lei, senza dargli la soddisfazione di guardarlo negli occhi. Da quando si è svegliata non si sente affatto bene e adesso si sta domandando se il malessere sia aggravato dalla paura di visitare la chiesa. Scaccia il pensiero insieme a una ciocca sfuggita alla treccia, pettinandosela dietro l’orecchio.
«Ma sì, ma sì, va bene anche per noi» dice alla fine Evelina, usando il plurale come se tenendo Teresa per i capelli avesse guadagnato il privilegio di decidere anche per lei.
E dunque tutti e quattro si avviano.
Alla loro sinistra torreggia il monte Severo, la cui pietra calcarea nella luce del pomeriggio ha sfumature che vanno dal bianco al rosa. I vecchi del paese ricordano che un tempo il profilo di quel monte somigliava al volto di una donna addormentata che tutti chiamavano “la Mugnaia”. Ma nessuno dei ragazzini l’ha mai vista, è franata molto tempo prima che loro nascessero.
Una volta disceso il pendio entrano a Roccasa, tagliano in due la piazza centrale del paese, girano attorno al pozzo, e passano sul retro dell’emporio.
Sentono Zeno dire qualcosa su dei sacchi da spostare, poi una porta che sbatte.
«Mamma e papà litigano?» chiede Tobia, tirando Marcello per una manica.
«Zitto, scemo, se papà ci sente ci dà qualcosa da fare, e addio chiesa.»
Superata la piazza i ragazzi attraversano il ponticello che qui tutti chiamano “il primo ponte”, oltre il quale alcune piante sporgono i rami verso il fiume – detto “l’Anguilla” a causa della sua andatura sinuosa – come per afferrarne un lembo.
Ed eccoli infine, tutti e quattro, all’imboccatura della scorciatoia che si addentra nella propaggine a sud della vegetazione che circonda la chiesa e che è soprannominata “il bosco orientale”.
È qui che Marcello invita chi ha paura a tornare indietro, è qui che nessuno confessa la propria per non sfigurare di fronte agli altri.
Imboccano il sentiero in fila indiana, tranne Tobia che lo attraversa da destra a sinistra e ritorno, con il moto ondivago di un ubriaco, scalciando l’erba che gli arriva fino alle caviglie. Ogni tanto si ferma, attratto da sassi dalla forma insolita, da fiori e rametti che calamitano la sua attenzione e che abbandona poco dopo, quando qualcos’altro lo distrae. Perlustra i tronchi alla ricerca di camicie di cicala, che colleziona in una scatola di cartone nascosta sotto il suo letto, ma non è ancora stagione. Sulle cortecce trova solo muschio e gocce di resina.
A ogni suo passo dall’erba si alzano insetti che volano o saltellano via. Tobia canticchia una filastrocca, che anche gli altri quattro conoscono. Nessuno però si unisce a lui.
Mangia l’erba, saltabecca, salta e balla finché puoi!
Presto, scappa, saltabecca, o per te tra un po’ son guai!
I ritagli di cielo tra le foglie iniziano a cambiare tinta preannunciando il tramonto. L’aria si sta raffreddando, sulle guance di Tobia compaiono due macchie rosse. Dopo una svolta del sentiero, tra le cime degli alberi ecco apparire quella appuntita del campanile.
Un saltello, due saltelli, i saltelli sono tre!
Saltabecca ti ho pestato, ora giaci morta ahimè!
Risalgono la collinetta su cui sorge la chiesa, in posizione sopraelevata rispetto al paese, e infine raggiungono la base del campanile al centro di uno spiazzo in terra battuta. A occhi bassi, tutti cercano tracce dello schianto di don Antonio, che qualche settimana prima è salito fino al locale delle campane, è montato in piedi sul davanzale di una bifora e si è buttato nel vuoto.
Complice la luce del giorno che va scemando, i ragazzi non trovano segni del suo volo suicida.
«Secondo voi perché l’ha fatto?» chiede Marcello, guardando la sommità del campanile pungere il grigio ormai virato al blu scuro del cielo.
«Non posso dirvi chi me l’ha detto» risponde Evelina, «ma io ho sentito che è stata colpa del maligno. Gli ha confuso i pensieri e l’ha fatto saltare. E mi hanno detto anche che uccidersi è un peccato mortale, perché se lo fai butti via la vita che Dio ti ha dato, e questo è molto, molto grave.»
«E tua madre che dice? Lei di maligno qualcosa ne sa…» dice Marcello girandosi verso Teresa, con il sorriso appena accennato che lei ha imparato a detestare. È un sorriso che non aveva mai notato fino a qualche tempo prima, quando il loro rapporto era privo delle ombre recenti, e che negli ultimi mesi invece ha visto comparire sempre più spesso.
«Non ha detto nulla. Non è come i vostri genitori, non passa tutto il tempo a parlare male degli altri. Ha di meglio da fare, lei
«Mia mamma non parla mai male degli altri, a meno che non se lo meritano» dice Tobia, «però anche secondo lei don Antonio aveva qualcosa che non andava in testa, e difatti…»
«Venite, venite!» urla Evelina dal lato opposto del campanile, facendo sobbalzare gli altri. «Eccole qua» dice, «le ho trovate, venite!» E indica dei segni color ruggine sulla pietra chiara.
I cinque ragazzi si raccolgono lì attorno.
Marcello si inginocchia, li sfiora con le dita e se le annusa.
«Non si capisce se è sangue o fango, è troppo secco.»
«Ora possiamo tornare a casa? Ho freddo» dice Tobia, allontanandosi di un passo dalla base del campanile, gli occhi fissi sulla macchia che il fratello ha appena toccato.
«Speravo di trovare qualcosa di meglio» dice Marcello. «Andiamocene.»
«Teresa, che succede, ti sei fatta male?» dice Evelina, puntando un dito dall’unghia smangiucchiata sulla gonna dell’amica, che abbassa lo sguardo e capisce che il malessere che ha sentito per tutto il giorno era qualcosa di diverso dal semplice mal di pancia per cui lo aveva scambiato.
Sta sanguinando, una marmellata calda che aumenta di intensità inizia a colarle lungo le cosce e poi scivola giù fino a inzupparle le calze.
«È il fantasma di don Antonio» grida Tobia, «è la maledizione del sangue di don Antonio, lo avevo detto che non dovevamo venire, ve l’avevo detto io!»
Inizia a correre, in pochi secondi la sua schiena viene ingoiata dal bosco orientale, le sue urla si affievoliscono fino a non sentirsi più.
«Cretino» dice Marcello. «Che succede? Ti sei tagliata?»
«No, non mi pare» risponde Teresa, cercando di mantenere un tono di voce calmo anche se la vista del sangue le fa girare la testa.
«Meglio che ti riportiamo a casa» dice Evelina.
«Sì, meglio che ti fai vedere da tua mamma» dice Marcello guardando Teresa fisso negli occhi, di nuovo con quel ghigno che gli uncina gli angoli della bocca. «Lei saprà di sicuro cosa fare.»
«Cosa vorresti dire?» chiede Teresa, cercando di stringere le cosce perché ha capito che il sangue esce da lì, anche se non saprebbe dire da dove parta.
«Quello che sanno tutti, che tua mamma è una sarachìa»
«Finiscila, lasciala in pace» dice Evelina. «Prendi in giro Tobia perché crede ai fantasmi, ma sei peggio di lui.»
«E invece ha ragione» ribatte Teresa. «Mia bisnonna era una sarachìa, mia nonna era una sarachìa, mia mamma è una sarachìa, e magari lo sono anch’io.»
Mette la mano sotto la gonna, e quando la tira fuori il polpastrello dell’indice è coperto di sangue scuro e denso. Si avvicina a Marcello, che spalanca gli occhi e fa uno, due, tre passi indietro.
«Che schifo, che fai? Non mi toccare, non mi toccare» dice, continuando a camminare all’indietro. Inciampa, cade col sedere per terra.
Teresa gli si avvicina, Marcello ha gocce di sudore sul labbro superiore e gli occhi dell’animale ipnotizzato dai fari di un’automobile.
«Ecco» dice Teresa chinandosi e appoggiando il dito sporco sulla fronte di Marcello. «Adesso hai sulla fronte il marchio della sarachìa. Lo sai cosa vuol dire?»
Marcello riprende coraggio, si rimette in piedi.
«Puliscimi» dice a Evelina, che si scansa per non farsi toccare.
«Che scoperchio fai, puliscimi! Puliscimi ho detto!»
Quando è evidente che la ragazza non ha nessuna intenzione di obbedire Marcello si gira. Ha uno sguardo profondo, adesso, lo stesso che suo padre porta in giro al calar della sera, quando esce di casa e si avvia verso la locanda.
«Questa me la paghi, sarachìa, ti giuro che questa me la…»
Non finisce la frase: ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Consolazione
  4. 1
  5. 2
  6. 1946
  7. 3
  8. 4
  9. 1910
  10. 5
  11. 1954
  12. 1947
  13. 6
  14. 1948
  15. 7
  16. 8
  17. 9
  18. 10
  19. 1921
  20. 11
  21. 12
  22. 13
  23. 14
  24. 15
  25. 16
  26. 1923
  27. 17
  28. 18
  29. 19
  30. 20
  31. Copyright