Spor
eBook - ePub

Spor

Scritti sullo sport, tra il limite e l'assoluto

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Spor

Scritti sullo sport, tra il limite e l'assoluto

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Nuova edizione 2022 - "È questo il mondo in cui vorremmo vivere in permanenza, sempre slalom esaltanti, prodigiose seconde manches, o nei circuiti staccate repentine, idealmente all'ultimo giro." Sono le parole dell'autore a restituirci il senso di questo volume con testi inediti, una raccolta di scritti tra il diario e l'invenzione narrativa, la cronaca e l'autobiografia, che ci racconta lo sport e il ruolo che ha avuto nella vita di Meneghello. Queste pagine vibranti - composte da rapide storie, tableaux vivants, schegge aforistiche - disegnano un ritratto vivido e intimo dell'autore ragazzo e poi uomo, della sua passione per lo spor, che si tratti di ranpegare in montagna o dell'atletica, del tennis o del calcio; in esse ritroviamo la materia di Malo e quella di Reading, i luoghi delle origini, i giochi di paese, e poi gli amici della giovinezza ed esilaranti piccole epopee narrate con levità e inconfondibile stile. Il risultato è un percorso capace di illuminare tutta l'opera di Meneghello e il suo modo unico di osservare la realtà e concepire la scrittura.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Spor di Luigi Meneghello in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Social Sciences e Social Science Biographies. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2022
ISBN
9788831806848

SPOR

Roccia, e un po’ di ghiaccio

«Roccia? Tu rocciavi? “Ranpegàvito?”» chiesi.
«Sì e no» disse S. «La roccia era sempre lì, sullo sfondo della nostra vita, e ogni tanto in primo piano… Ma io, si può dire che rocciassi? O soltanto contemplavo l’idea? Resta che nel foro interno, in interiore homine, da me abitava la roccia, a quintali…»
Eravamo in Scozia, sull’isola di Skye, in un alberghetto, verso sera. Davanti, le guglie dei Cuillins, limpide, emozionanti. Il cielo era insolitamente sereno, l’aria appena imbrunita, e dietro ai Cuillins il fondale di un tramonto verde smeraldo. S. si accorse del mio interesse, e si mise a parlare con un certo abbandono: e parlò poi fino a notte inoltrata, le chiare notti di lassù in giugno, col cielo che trascolorava per gradi impercettibili, e le guglie sempre più irreali.
S. non è un compaesano, ci siamo conosciuti relativamente tardi: ma è chiaro che c’è un fondo quasi sterminato di esperienza comune. Siamo vissuti, S. ed io, in ambienti dove i rapporti sportivi con la roccia – qui dove abito ora si dice rock climbing –, erano frequenti e parevano parte della vita normale.
La ragione prima sarà la vicinanza dei monti, di monti rocciabili, e in particolare, nel lungo orlo dei nostri monti celesti, lo splendido raccordo del Pasubio col Posta, che chiamiamo il Sengio Alto. L’austero Cornetto (“Cornino” per le ragazze in gita, come parlando in chicchera) non è specialmente da rocciare: quando Mino lo scalò la prima volta, arrivato in cima, credendosi in eccelso su una vetta perigliosa (e, fra parentesi, più vicino a Dio), si trovò invece circondato da un gruppo di vacche al pascolo! Ma il resto del Sengio Alto, cioè i Tre Apostoli, e la gran lastra del Baffelan, e il fermaglio della Sisilla è (dalla parte giusta, s’intende: E e SE) bellissima roccia.
In ogni stagione, ma il più bel tempo dell’anno sono i giorni della Sagra della Roccia, i primi dieci o dodici o quindici giorni di settembre, quando si va lassù a rocciare o veder rocciare, e il piacere di vivere, con le sue stringhe di malinconia, risale in superficie.
Sulla cima del Baffelan, la prestigiosa piazzuola terminale, ci si può andare comodamente ‘per di dietro’ da occidente. Un giorno che S. ci andò con suo fratello mezzano, in veste di escursionisti, quando furono in cima improvvisamente venne la nebbia. Cominciarono a scendere un po’ a tastoni cercando il sentiero, ma persero subito l’orientamento e ben presto si trovarono ‘sul davanti’, in parete. Capivano che era la parete dall’andamento verticale della roccia: ci vedevano su un raggio di pochi metri, una bolla di aria grigia semi-opaca che si spostava con loro. Ogni spostamento, in qualunque direzione, pareva aggravare la situazione, sboccava in passaggi sempre più ostici. Retrocedere, avanzare, si era sempre più in parete; una specie di parete universale, infinita, forse eterna.
S. fu preso da uno sgomento profondo, che andò a concentrarsi attorno alla persona di suo fratello. Questi lo seguiva perplesso ma fiducioso, ovviamente ignaro della vera entità del pericolo che incombeva su di lui, più giovane e vulnerabile, espostissimo a scivolare e a sfracellarsi. Sotto lo sgomento di S. si faceva strada il terrore, e sotto il terrore una forma di compassione acuta, insopportabile.
Poi tutto a un tratto ricomparve l’orientamento, una specie di schiarita delle percezioni, e in breve furono sul versante buono, fuori della nebbia, e S. distolse il pensiero da quel suo sentimento semplice e mostruoso, certamente connesso coi rapporti tra fratelli, e con il fatto stesso di esistere.
*
Altra crisi in montagna, anzi paralisi, nel Vaio dei Colori: un canalone scosceso sul Posta, con qualche tratto meno agevole ma alla portata delle comitive più modeste. A un certo punto c’è da sormontare una paretina di pochi metri, che normalmente si passava quasi senza notarla, chiacchierando e scherzando. E invece quella volta S. si bloccò a mezza strada, e fu invaso dal panico. Si era afferrato a un appiglio e a un tratto gli venne in mente che se lo avesse lasciato, bastava allentare un attimo le dita, sarebbero successe alcune cose assolutamente schifose. Fu una sorta di scarica elettrica, gli parve di percepire come funziona la gravità, si inserisce in tutti gli interstizi del tempo e dello spazio, e se le diamo il modo strattona i nostri corpi, li risucchia, li sbatte per le terre come pupazzi, li sfracella. Dunque non si lascia un appiglio per nessuna cosa al mondo, non si deve più muoversi, non si può… S. si sentiva entrato in una condizione che non pareva temporanea, ma eterna… Cercò di segnalare questo agli amici, prima divertiti, poi sconciamente esilarati, alla fine forse un po’ sgomenti: voleva che lo lasciassero lì, che andassero via, non intendeva scendere mai più… Tutto questo durò, pare, qualche minuto, poi la cosa evaporò all’improvviso, il Vaio dei Colori tornò a brillare, ricominciò la vita normale, l’allegra passeggiata al Posta.
*
La più cospicua impresa alpinistica della sua gioventù non fu però in roccia, ma in ghiaccio: una spedizione sul gruppo dell’Adamello, con tre amici, uno esperto, praticamente una guida alpina. Sei o sette giorni di straordinarie, spettacolose novità. Il primo giorno salirono sul Carè Alto per un canalone innevato, ripido. Erano legati, e avevano le piccozze: quando furono press’a poco a metà del canalone accadde una cosa curiosa, il capocordata esperto si capovolse sulla neve, venne giù rotolando, strappò il secondo che aveva piantato la piccozza e ci si teneva aggrappato secondo le istruzioni; poi fu strappato il terzo, poi l’ultimo che era S., e poi di seguito, ciascuno con la sua piccozza, da S. al terzo, poi al secondo, al primo, venivano giù come pupazzi rincorrendosi, un carnevale, uno spasso… Dopo un centinaio di metri, non si sa come, si trovarono nuovamente ancorati alla neve e ripresero a salire.
Questo fu il principio, seguì una stramba settimana, creste ghiacciate da inforcare e percorrere per lunghe ore scalinando, esposizioni talmente assurde da diventare comiche, crepacci abissali da attraversare sdraiandosi su inaffidabili ponti di neve, strisciando. Corno di Cavento, Crozzon di Lares, Cima Adamello… Passavano le notti in ricoveri di fortuna e bivacchi attrezzati alla buona, mangiando ciò che si erano portati nei sacchi, principalmente riso. La traversata finì al rifugio della Lobbia Alta sul margine del ghiacciaio, e di lì scesero poi sul fondo valle, in Val Genova, dove c’era un alberghetto. Qui chiesero il permesso di cucinare il riso che avevano avanzato, il quale generò un’enorme pignatta di risotto, e insieme il più spaventoso azzardo dell’intera spedizione. Con l’irruenza della fame giovanile il fratello di S. (il fratello mezzano, lui di nuovo) ingoiò troppo in fretta una dose spropositata di quel risotto ed entrò direttamente in una specie di pre-coma. Si reggeva però in piedi, e parve bene farlo camminare: così si avviarono per la Val Genova, che era allora (almeno agli occhi di S.) la più bella delle valli possibili, solitaria, amena, lunga tanto da parere illimitata, tutta in dolce declivio, tra gli abeti e i larici, con le acque della Sarca che scendevano come scherzando, chiare e svelte tra gli alberi. Il fratello di S. procedeva a gambe larghe, con le braccia penzoloni e gli occhi imbambolati, un sonnambulo: ma in capo a un paio di ore, arrivati a un ponticello di legno che attraversava la Sarca si fermò là in mezzo, appoggiato alla sponda di legno. Stette a lungo a guardare l’acqua e un po’ alla volta si disbambolò, alzò gli occhi verso gli altri, si vedeva che li vedeva, era guarito. È rischioso l’alpinismo da ghiacciaio e da risotto.
*
Molti anni dopo S. già in veste di escursionista anziano fece una piccola caduta dal Baffelan, non dalla parete, ma nella parte di dietro, che è sostanzialmente un prato. Stava scendendo per conto suo, volle slavinare in una traccia di canalone (c’era un sole pallido, folate e sbuffi di raggi indeboliti, pieghevoli come anguille) e a un certo punto continuando a prendere velocità si accorse che stava cadendo. Cercò di frenare coi piedi ma l’accelerazione non pareva più controllabile. Ora il monte gli dava una serie di legnate ritmiche sulle anche e sulla schiena, le gambe raschiavano forte, sugli stinchi fiorivano corolle di nervo bianco. Una parte del monte scendeva in compagnia, come ruscellando, e intanto il tempo per lui immobile e insieme fulmineo, passava lento per gli altri, nel mondo regnava come sempre l’interazione debole, la società si evolveva, si formavano nuove famiglie, pian piano i figli si guastavano coi padri, volevano strozzarli, almeno spaccargli un momento la testa, e qualche cineasta si disponeva a sfruttarla in molte salse questa piccola mania dei figli, insomma la vita andava per le sue strade. A un dato istante S. si rese conto che non cadeva più, si era fermato. Si alzò in piedi, con gli stinchi fioriti di curiosi ricami, e si avviò instabilmente, verso il rifugio dove fu medicato. Cos’era stato? Niente, una scivolata.
*
A S. aveva parlato della roccia in modo illuminante Raffaele, nel corso dell’estate più ricca, più angosciosa della loro vita.
Tempo di guerra, prealpi vicentine, collinette, foothills. Ragazzi armati. Frasche. Un piccolo reparto di studenti perfezionisti, molto eccidiabili, ma poi non li eccidiarono…
Raffaele, riccioli biondi, gentile, unico tra loro col mitra da sterminio (gli altri con gli sten, detti allora “parabelli”, arma quasi scherzosa, ma di altissimo importo etico-politico). Nell’allucinante rigoglio dell’estate, parlavano, tra le frasche, della guerra e della pace, e Raffaele che “in pace arrampicava rischiosamente in roccia” (come è scritto in un libro in cui se ne tratta) parlò più volte di questa sua passione, e ne trasmise qualche preziosa scheggia anche a loro.
Allora non ci si pensava, ma c’entrava anche la lingua. La lingua che parlavano, il vicentino. Roccia non ha la pregnanza tecnica del nostro ròcia, nel duplice senso di parete da scalare, e di arte di farlo. Ci sono due verbi, rodare e ranpegare. Entrambi connotano un certo grado di passione e di bravura, e quando Raffaele accennò la prima volta al fatto che ranpegava, la serietà e la bellezza della cosa parvero chiare.
C’erano deliziosi aspetti tecnici: S. gli indicava una minuta indentatura su un masso a fiore della costa, e gli chiedeva di mostrargli come si aggancia coi polpastrelli un appiglio così piccolo. «Ma questo non è un appiglio…» diceva Raffaele sorridendo «Questa è una maniglia!». E spiegava gli aspetti quasi da oreficeria del buon ranpegare. Gli appigli interessanti sono appena visibili, mere increspature della dolomia… E poi nei punti cruciali c’è il grado zero degli appigli, il liscio assoluto, a cui si può soltanto appoggiarsi col palmo della mano, sostenendosi per pura aderenza, poco più di un fenomeno di tensione molecolare…
Che dolce cosa è la raffinatezza tecnica nel punto in cui diventa rischio, meglio se rischio abbastanza mortale!
Ogni tanto parlavano tutti di ciò che avrebbero voluto fare se uscivamo vivi dalla guerra, e la roccia aveva la sua parte nei loro discorsi. Enrico a Raffaele: «Non vai in roccia tu? Allora dopo la guerra devi portarmi. Ho una voglia matta di andare in roccia…» (libro pertinente [PM]).
E ancora nelle prime settimane del dopoguerra Raffaele ci portò due di loro (S. e un altro) sulle Gei, le piccole guglie eleganti sopra Campogrosso. L’esposizione non sarà drammatica ma c’è, e la via che presero è specialmente attraente. C’è (c’era?) un passaggio curioso: devi aggirare un masso panciuto che sporge, lo abbracci e senti che si muove, ruota verso di te… Pare che si stacchi un pezzo del monte, sai che non è vero ma avverti un breve lampo di ribrezzo. Invece il masso fa una specie di scattino e si riassesta, e tu aggrappato alla sua pancia lo aggiri. Amabili guglie Gei!
Ma l’arrampicata importante fu sul Baffelan. Naturalmente si dovrebbe dire Baffelàn, con l’accento in fondo. È un lastrone alto 200 metri. Aveva scelto, disse Raffaele, la via Verona, che ha del classico. Bellissima dolomia, terzo grado e terzo superiore, circa due ore, esposizione da medio forte a forte. Com’è interessante esporsi! Com’è grazioso lo spavento!
Piacque molto a S. la sveltezza pregnante dell’attacco, la rapidità con cui ti senti salire, e la facilità, la naturalezza dell’arrampicata. Innaturale invece, ma piuttosto esaltante il pezzo finale, che Raffaele chiamava la canéta. È una lunga fessura, un taglio verticale che incide un’anta dell’alto diedro, tu ti attacchi con le mani nel vivo taglio e punti i piedi sull’altra faccia del diedro, nel modo che si chiama alla Durfer. Rampichi per venti o trenta metri, e quando sei sul punto di arrivare ed emergi con la testa e con le spalle nell’aria che sovrasta il monte, fai un numero come da circo, lasci andare una mano, fai perno sull’altra, o c’entrerà anche una gamba, e ti senti girare su te stesso. È una giravolta là in alto, novanta gradi, e ti trovi seduto sul Baffelan!
Questo fu il culmine della carriera di rocciatore di S. che ebbe termine poco dopo quando come me migrò in Inghilterra, dove si va non in roccia ma su dolci prati di smeraldo.
*
Tempo di guerra. Merano, Corso Allievi, scuola (elementare) di alpinismo in roccia: chiodi, moschettoni, corda doppia… C’era una palestra, un piccolo dirupo con passaggi di basso grado, e lì alcuni sottotenenti rocciatori davano dimostrazioni di arrampicata libera, due in particolare. Uno era normale, l’altro brillava, nel modo distintamente screditato in cui brillavano a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Lo sport come sfida esistenziale. di Giancarlo Consonni
  4. Pindaro e zuccate. Lo stile dello sport in Meneghello. di Francesca Caputo
  5. SPOR
  6. Copyright