Roma, Tor Pignattara,
15 ottobre 2009
È una serata tranquilla, identica a tante altre. Stefano è a cena dai suoi, Rita e Giovanni Cucchi.
Ha trentun anni, lavora come geometra nello studio del padre. Ma di starsene seduto alla scrivania, davanti al computer, non gli va proprio. Perciò Giovanni lo manda spesso a ispezionare i cantieri, che è ciò che a Stefano piace di più. Nel tempo libero si allena in una palestra di boxe del quartiere. E da poco ha adottato una cagnolina, Micky.
Si sta ricostruendo una vita, Stefano. Perché ha un passato complicato alle spalle. L’alcol, le compagnie sbagliate, la droga. Prima le canne, poi la cocaina. Anni difficili costellati di piccoli reati. Rita, Giovanni e sua sorella maggiore Ilaria hanno cercato in ogni modo di aiutarlo, senza grossi risultati. Fino al ricovero in una comunità di recupero per tossicodipendenti: Stefano sembra esserne uscito sereno e deciso a ricominciare.
Sono circa le 22:30 quando fa per andarsene. Da un po’ si è trasferito a vivere da solo, nell’appartamento che i suoi hanno acquistato per lui a Morena, Roma Sud, appena oltre il raccordo anulare, a meno di mezz’ora di macchina da lì. È stato un passo importante, un modo per dimostrare a se stesso di potercela fare.
«Sei contenta, ora che sto bene e puoi dormire serena?» chiede alla madre, salutandola sulla porta di casa. Rita Cucchi gli sorride: sì, è contenta. Il peggio ormai è passato.
Rimasti soli, Rita e Giovanni vanno a dormire.
Stefano si avvia verso la sua Ford Fiesta, con Micky al seguito. Ha appuntamento con un amico in via Lemonia, nei pressi della chiesa di San Policarpo. Quando arriva, Emanuele è già lì ad aspettarlo. Non lontano c’è il Parco degli acquedotti, una zona di spaccio. I due amici sono seduti in auto, quando una pattuglia dei carabinieri si accosta. Ne scendono due militari in divisa. Si avvicinano. Il capopattuglia picchietta al finestrino: «Che stiamo facendo, qui?».
«Fumiamo una sigaretta» risponde Stefano.
«Fuori dalla macchina» ordina. «Anche tu» aggiunge, indicando Emanuele.
Stefano lascia Micky nell’abitacolo e scende.
Il carabiniere squadra i ragazzi da capo a piedi, con aria severa. La storia della sigaretta non lo convince. «Sento puzza di fumo. Cacciate la roba: se la troviamo noi è peggio.»
«Ma io non ho niente» protesta Stefano.
«E allora che stavi passando al tuo amico?»
Stefano sgrana gli occhi. «Ti ho passato qualcosa?» chiede a Emanuele.
«No» risponde l’amico, stringendosi nelle spalle.
Il carabiniere comincia a innervosirsi, il clima si fa teso. «Okay…» dice, scambiando un cenno d’intesa con il collega. «Documenti.»
Stefano sbuffa, recupera la patente di guida dal portafogli e la passa al militare.
«Svuota le tasche» insiste il capopattuglia.
Stefano impreca e gli lancia uno sguardo rabbioso. La serata non avrebbe dovuto prendere questa piega.
«Mani sulla macchina, allarga le gambe.» Il carabiniere inizia a perquisirlo: gli tasta le braccia, le ascelle, il torace, l’addome, il bacino…
«Che c’è qua?» domanda con tono soddisfatto, palpando poco sopra la caviglia. Nascosto nel calzino, un piccolo involucro di cellophane. «E questo che è, eh?»
Stefano non fa in tempo a rispondere, che due fari abbaglianti compaiono dal fondo della via. È un’altra auto che sopraggiunge, con due carabinieri in borghese, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. «Che succede?» domandano spavaldi.
«Questi due hanno un po’ di roba» dice l’uomo che ha perquisito Stefano.
«Abbiamo staccato due ore fa, ma vi diamo una mano» ribatte il nuovo arrivato, scrocchiandosi le dita.
«Sta diventando la festa delle guardie…» commenta Stefano sarcastico. Ma i militari non apprezzano la battuta.
Ispezionano la macchina. Non c’è nulla. Però non sono disposti a mollare.
«Quindi tu sei lo spacciatore e lui il cliente?» chiede con tono provocatorio uno dei carabinieri in borghese, rivolgendosi a Stefano.
«Non sono uno spacciatore. Sono un geometra.»
«Seguiteci in caserma» ingiunge il capopattuglia.
Fanno salire Stefano nell’auto di servizio. Emanuele li segue con la propria macchina.
Stazione carabinieri Appia
Ci vogliono meno di dieci minuti per raggiungere la stazione Appia, dalla parte opposta del Parco degli acquedotti, in un’anonima palazzina color crema.
Emanuele, sentito come persona informata dei fatti, dichiara a verbale di conoscere Stefano soltanto di vista e di averlo incontrato quella notte per acquistare della droga. In pratica, lo accusa di essere uno spacciatore. «Ogni volta che mi è servito l’hashish, me lo sono fatto dare da lui» racconta. Sta mentendo, probabilmente per paura. I due sono amici di vecchia data, Emanuele frequenta spesso casa dei Cucchi.
Stefano viene condotto in un altro ufficio, dove è costretto a spogliarsi, per essere accuratamente perquisito ed escludere che nasconda addosso altre sostanze illegali.
«Ti fai di eroina, Cucchi?» gli domanda il maresciallo Mandolini, vicecomandante di quella stazione.
«No.»
«Ah, no? E che ci facevi con il fumo, la coca e le pasticche?»
«Non sono pasticche: è il Rivotril, per l’epilessia.» Su questo Stefano non mente, ma i carabinieri scambiano le medicine per ecstasy.
«Chi ti ha venduto la droga?»
«Non me lo ricordo. L’ho presa da un ragazzino, era la prima volta che lo vedevo…»
«Dimmi chi ti ha venduto la droga.»
«Mi faccio una canna ogni tanto…» si difende blandamente, ma quello che i carabinieri gli hanno trovato addosso sembra raccontare una storia diversa. Venti grammi di hashish già suddivisi in dosi e due grammi di cocaina danno a Stefano tutta l’aria di uno spacciatore.
«Cucchi, tu ora mi racconti come si chiama il tuo fornitore e dove è avvenuta la cessione delle sostanze» insiste il sottufficiale.
«Posso chiamare il mio avvocato?»
«Lo chiamiamo dopo. Dove abiti?»
Stefano dà l’indirizzo dei suoi genitori e il maresciallo Mandolini, rivolgendosi ai due colleghi presenti nell’ufficio, ordina di prepararsi a una perquisizione.
È ormai notte fonda. Stefano scuote la testa, già immagina ciò che accadrà: i suoi genitori si sveglieranno di soprassalto, con i carabinieri in casa. Ripiomberanno in quell’incubo dal quale credevano di essere usciti.
«Marescia’, per favore, a casa non c’è niente… Ai miei genitori prende un colpo…» implora Stefano.
Mandolini, però, è convinto che Stefano gli abbia raccontato un sacco di frottole e vuole andare a fondo della faccenda.
Tor Pignattara,
casa della famiglia Cucchi
I carabinieri suonano al citofono, ma a parlare è Stefano: «Mamma, sono io. Apri, ti spiego».
Salgono al sesto piano, dove trovano la porta socchiusa e, appena dietro, Rita che attende il figlio in pigiama. In un primo momento scambia i due carabinieri in borghese per amici di Stefano. Dietro, però, scorge tre uomini in divisa.
«Che succede?» domanda preoccupata.
«Siamo carabinieri, signora. Abbiamo trovato suo figlio con della droga addosso. Dobbiamo fare una perquisizione.»
Rita pianta uno sguardo sbigottito sul figlio. Lui è in mezzo ai carabinieri, non parla.
Allora fa strada fino alla camera di Stefano, poi va a svegliare suo marito.
I carabinieri rovistano nell’armadio e nei cassetti, Stefano li osserva con la cagnetta tra le braccia, seduto sul suo letto. Non trovano nulla, così tornano in soggiorno.
«Ci sono altri locali da controllare?»
«La mia stanza da letto, se volete, di qua; oppure il mio ufficio al pianterreno. Prendo le chiavi…» dice Giovanni, dopo aver lanciato un’occhiata di rimprovero al figlio.
«No, non è necessario, va bene così.»
Nessuno accenna all’appartamento di Morena e la perquisizione si conclude rapidamente.
È tardi, sono quasi le due di notte quando i carabinieri si preparano a lasciare la casa della famiglia Cucchi. Stefano deve seguirli in caserma.
«Perché?» chiede Rita in ansia.
«Sono le regole. Ma non si preoccupi, domani tornerà a casa» la rassicurano.
Serrano le manette ai polsi di Stefano, dietro la schiena. Rita e Giovanni assistono sgomenti.
Poi, mentre sono già sulla porta, Giovanni domanda: «Il nostro avvocato è stato avvisato?».
«Sì, ci abbiamo già pensato» replica quello che sembra essere il più alto in grado.
Mentre Stefano viene condotto via, Rita lo segue con lo sguardo. Non può immaginarlo, ma lo sta salutando per l’ultima volta.
Quella notte Rita e Giovanni non chiudono occhio.