Si diventa leader da un giorno all’altro. Il lunedì fate ciò che vi viene naturale: vi gustate il vostro lavoro, portate avanti un progetto, chiacchierate e ridete con i colleghi sulla vita privata e sulla vita aziendale e spettegolate sulla stupidità del management. Poi, il martedì, vi ritrovate a far parte del management. Siete dei capi.
All’improvviso tutto vi sembra diverso, perché è diverso. La condizione di leader richiede comportamenti e atteggiamenti particolari, che per molti iniziano con il nuovo ruolo.
Prima di diventare leader, il successo sta tutto nel crescere professionalmente.
Quando si diventa leader, il successo sta tutto nel far crescere professionalmente gli altri.
Ci sono indubbiamente tantissimi modi di essere leader. Basta guardare all’anticonformista e diretto Herb Kelleher, che ha guidato la Southwest Airlines per trent’anni, e al silenzioso innovatore della Microsoft, Bill Gates, per rendersi conto che ci sono leader di tutti i tipi.
Nella politica, pensate a Churchill e a Gandhi. Nel football, a Lombardi e Belichick.
Ognuno di questi personaggi vi darebbe un elenco diverso di «regole» per la leadership.
Se me lo chiedeste, ve ne darei otto. Non mi sembravano delle regole quando le utilizzavo. Per me erano semplicemente i criteri giusti per dirigere un’azienda. Non è certo l’ultima volta che sentirete parlare di leadership in questo libro.
Se ne parla praticamente in tutti i capitoli, dalla gestione della crisi allo sviluppo di una strategia per mettere in equilibrio vita lavorativa e vita privata.
Ma parto da un capitolo specifico sulla leadership perché è un tema sempre vivo nella mente delle persone.
Negli ultimi tre anni, durante i miei colloqui con studenti, manager e imprenditori, le domande sulla leadership erano all’ordine del giorno. Per esempio: «Che cosa fa veramente un leader?» e «Sono stato appena promosso e non ho mai gestito nulla prima d’ora. Che cosa posso fare per essere un bravo leader?».
Il micromanagement emerge spesso come area di preoccupazione, come in questa domanda: «Il mio capo pensa di dover controllare tutto quanto; è leadership o babysitting?».
Anche il carisma è un argomento molto gettonato; mi chiedono: «Si può essere introversi, silenziosi o addirittura timidi, e ottenere comunque buoni risultati dai collaboratori?».
Una volta, a Chicago, uno dei miei ascoltatori mi ha domandato: «Ho almeno due collaboratori diretti che sono più bravi di me: come faccio a valutarli?».
Queste domande mi hanno spinto ad analizzare criticamente la mia esperienza di leadership nell’arco di oltre quarant’anni. In quattro decenni, le circostanze sono cambiate moltissimo.
Ho gestito team di tre persone e divisioni di trentamila persone.
Ho gestito business declinanti e business in crescita esplosiva.
Ho vissuto acquisizioni, dismissioni, crisi organizzative, momenti di insperata fortuna, fasi positive e negative del ciclo economico.
Eppure, alcuni criteri di direzione sembravano funzionare sempre e comunque. Ne ho fatto le mie «regole».
CHE COSA FANNO I LEADER
- I leader sviluppano incessantemente il loro team, usando tutte le interazioni come opportunità di valutazione, di coaching e di rafforzamento dell’autostima.
I leader fanno in modo che i collaboratori non si limitino a capire la vision, ma la vivano e la respirino.
I leader entrano nel sangue di tutti, trasudando energia positiva e ottimismo.
I leader creano un clima di fiducia attraverso la sincerità, la trasparenza e il credito.
I leader hanno il coraggio di prendere decisioni impopolari e di seguire l’istinto.
I leader indagano con una curiosità che sconfina nello scetticismo, e fanno in modo che alle loro domande si risponda con l’azione.
I leader ispirano con l’esempio l’assunzione di rischi e l’apprendimento.
I leader festeggiano.
L’equilibrismo quotidiano
Prima di analizzare le singole regole, due parole sui paradossi: la leadership ne è piena.
Il padre di tutti i paradossi contrappone il breve periodo al lungo termine, ed è sintetizzato da questa domanda che mi fanno spessissimo: «Come posso gestire i risultati trimestrali e perseguire nel contempo lo sviluppo strategico della mia azienda da qui a cinque anni?».
La mia risposta è: «Ecco la grande sfida!».
In effetti, chiunque può gestire per l’immediato: basta continuare a spremere il limone. E chiunque può gestire per il lungo periodo: basta continuare a sognare.
Vi hanno assegnato un ruolo di leader perché qualcuno vi riteneva in grado di spremere e di sognare nello stesso tempo. Qualcuno ha visto in voi l’intuito, il rigore e l’esperienza necessari per mettere in equilibrio le esigenze contrastanti dei risultati di breve e di lungo termine.
La leadership consiste appunto nel portare avanti quotidianamente queste operazioni di equilibrismo.
Prendete per esempio le regole 3 e 6. Una dice che dovete esibire energia positiva e ottimismo, promuovendo nei vostri collaboratori un atteggiamento fiducioso e possibilista. L’altra dice che dovete dubitare costantemente dei vostri collaboratori e non dare mai nulla per scontato.
Oppure prendete le regole 5 e 7. Una dice che dovete agire da capi tradizionali, facendo valere l’autorità. L’altra dice che dovete ammettere gli errori e sostenere i collaboratori che si assumono dei rischi, specie quando falliscono.
Naturalmente la vita sarebbe più facile se la leadership fosse solo un elenco di regole semplici; peccato che i paradossi siano un elemento intrinseco di questo fenomeno.
Ma fanno anche parte del piacere di dirigere: ogni giorno c’è una sfida nuova. C’è una nuova opportunità di migliorare in un lavoro nel quale, a conti fatti, non si può essere perfetti.
Potete metterci solo il meglio di voi stessi.
Ecco come.
Regola 1
I leader sviluppano incessantemente il loro team, usando tutte le interazioni come opportunità di valutazione, di coaching e di rafforzamento dell’autostima.
Quando i Boston Red Sox hanno finalmente interrotto un digiuno che durava da ottantasei anni e hanno vinto le World Series di baseball, non si poteva accendere la televisione, né aprire un quotidiano senza sentire o leggere fantasiose spiegazioni del perché il 2004 era «l’anno fatidico». C’erano teorie su tutto, dalla pettinatura del centromediano Johnny Damon all’eclisse lunare!
La gente riteneva però che la ragione non fosse affatto misteriosa. I Red Sox avevano i giocatori più bravi. I lanciatori erano i migliori del campionato, gli esterni erano abbastanza bravi, e i battitori… be’, quelli erano sensazionali. Ed erano tutti affiatati da uno spirito vincente così palpabile che lo si poteva percepire nell’aria.
In qualunque campionato ci sono momenti favorevoli e momenti sfavorevoli. Ma la squadra che ha i giocatori più forti finisce quasi sempre per imporsi. Ed è proprio per questo, molto semplicemente, che dovete investire la massima parte del vostro tempo e delle vostre energie di leader in tre attività.
Dovete valutare, ossia fare in modo che le persone giuste siano al posto giusto, sostenere e promuovere quelle che lo sono e rimuovere quelle che non lo sono.
Dovete fare coaching, ossia guidare, criticare costruttivamente e aiutare i collaboratori a migliorare la loro performance sotto tutti gli aspetti.
E infine dovete promuovere l’autostima, attraverso l’incoraggiamento, l’attenzione e i riconoscimenti. L’autostima infonde energia, e dà ai vostri collaboratori il coraggio di superare i propri limiti, assumersi dei rischi e ottenere più di quanto avrebbero mai sognato di ottenere. È il propellente dei team vincenti.
I manager pensano troppo spesso che lo sviluppo dei collaboratori avvenga solo una volta all’anno, in occasione della valutazione delle prestazioni. Non è assolutamente così.
Lo sviluppo dei collaboratori dovrebbe essere un’attività quotidiana, integrata in tutti gli aspetti della routine operativa.
Prendete per esempio le sessioni di revisione del budget. Sono l’occasione ideale per concentrarsi sulle persone. Esatto, sulle persone. Sì, dovete parlare del business e dei suoi risultati, ma in una sessione di revisione del budget potete vedere in azione le dinamiche di team. Se tutti i partecipanti restano silenziosi e immobili mentre il team leader pontifica, dovete senza dubbio fare del coaching. Se tutti sono coinvolti nella presentazione e il team appare vivo e vitale, avete una grande opportunità per fornirgli un feedback immediato, dicendo ai partecipanti che apprezzate ciò che state vedendo. Se nel team emerge chiaramente una star o un incapace, parlatene con i leader il più presto possibile.
Non c’è evento nella vostra giornata lavorativa che non si possa utilizzare per lo sviluppo dei collaboratori.
Le visite ai clienti vi offrono la possibilità di valutare la forza vendita. Le visite agli stabilimenti vi offrono la possibilità di incontrare nuovi responsabili di linea promettenti e di capire se hanno il potenziale per gestire qualcosa di più complesso. Il coffee break durante una riunione vi offre la possibilità di fare coaching a un collaboratore che sta per tenere la sua prima presentazione importante.
Sfruttate tutte le opportunità per infondere autostima in coloro che hanno dimostrato di meritarsela. Usate ampiamente gli elogi, e più specifici sono, meglio è.
E ricordatevi che in tutte queste interazioni la valutazione e il coaching sono preziosi, ma lo sviluppo dell’autostima è probabilmente la cosa più importante che possiate fare. Sfruttate tutte le opportunità per infondere autostima in coloro che hanno dimostrato di meritarsela. Usate ampiamente gli elogi, e più specifici sono, meglio è.
Oltre al fortissimo impatto sull’efficacia operativa del team, l’aspetto più positivo dell’utilizzo di tutte le interazioni per lo sviluppo dei collaboratori è il divertimento che offre. Invece di essere una sequenza di tediose riunioni sui numeri e di visite alle fabbriche per vedere le nuove macchine, ogni giorno è un’occasione per far crescere le persone. Consideratevi dei giardinieri, con l’innaffiatoio in una mano e la lattina del fertilizzante nell’altra. Di tanto in tanto dovrete strappare qualche erbaccia, ma il più delle volte accudirete le vostre pianticelle.
Poi guardatele fiorire.
Regola 2
I leader fanno in modo che i collaboratori non si limitino a capire la vision, ma la vivano e la respirino.
È inutile dire che i leader devono stabilire la vision per il team, e che quasi tutti lo fanno.
Ma la vision non si limita a questo. In quanto leader dovete anche darle un significato concreto.
Come si fa? Prima di tutto, niente paroloni. Gli obiettivi non possono suonare nobili ma vaghi. I target non possono essere così indefiniti da essere irraggiungibili. La vostra direzione dev’essere così chiara che se svegliaste a caso uno dei vostri dipendenti nel cuore della notte e gli chiedeste a bruciapelo: «Qual è il nostro obiettivo?», quello potrebbe rispondervi, benché mezzo addormentato: «Vogliamo continuare a migliorare il nostro servizio ai singoli appaltatori ed espandere il nostro mercato proponendoci aggressivamente ai piccoli grossisti».
Ho avuto un’esperienza di questo genere proprio l’anno scorso, quando stavo propagandando un fondo d’investimento per la società di consulenza Clayton, Dubilier & Rice, con cui collaboro. A una cena di presentazione che avevamo organizzato a Chicago partecipavano una dozzina d’investitori, tutti concentrati sui nostri criteri di investimento e sulle nostre proiezioni sui ritorni.
Steve Klimkowski, il chief investment officer della Northwestern Memorial HealthCare, era uno di loro. Ma benché si parlasse di finanza, egli era altrettanto interessato a parlare della mission del suo ospedale: quella di produrre «un’assistenza sanitaria eccellente, dal punto di vista del paziente».
E mi ha fatto diversi esempi di come i dipendenti di tutti i livelli – compreso lui stesso, il responsabile degli investimenti – avessero trasformato il proprio lavoro per realizzare la vision.
Gli avevano insegnato, per esempio, a non indicare mai ai pazienti esterni un determinato reparto dell’ospedale, ma ad accompagnarceli direttamente. In occasione della valutazione delle prestazioni, a Steve era stato chiesto di elencare le azioni che aveva intrapreso per migliorare l’esperienza dei pazienti presso il Northwestern Memorial. In effetti, la comprensione del suo ruolo nella realizzazione della mission, e la sua passione nell’esercitarlo, erano così reali che dopo avergli parlato per quindici minuti, se mi aveste sve...