L'amore è un'azione
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L'amore è un'azione

Come abbandonare l'ego e tornare te stesso

  1. 250 pagine
  2. Italian
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L'amore è un'azione

Come abbandonare l'ego e tornare te stesso

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L'amore è un'azione. Così come il cambiamento, così come qualsiasi atto trasformativo. Viviamo nella società del tutto e subito, dove ogni cosa ci viene presentata come comoda, eternamente a portata di mano, ma questa non è che un'illusione. Dietro ogni conquista, personale e sociale, c'è invece un lavoro, un percorso, ci sono delle scelte.
Con le sue parole semplici e dirette, Mauro Scardovelli ci spiega i motivi per cui oggi ci troviamo disallineati rispetto al mondo, in disarmonia con noi stessi e con le persone che ci sono più care. I motivi per cui abbiamo lasciato che l'Ego, tossico, prevalesse sull'Anima, che rappresenta invece il nostro più genuino impulso vitale.
Arrendersi all'Ego significa tradire la nostra vera natura. Significa fallire nel compito che ci è dato alla nascita: diventare chi siamo. Significa, nel migliore dei casi, condurre una vita mediocre, falsa, banale, spenta, senza senso.
La buona notizia è che possiamo sostituire le pratiche che favoriscono l'espansione dell'Ego con quelle di cui si alimenta l'Anima. A condizione però di imparare come funzioniamo e di essere disposti a usare disciplina e volontà per perseguire un vero cambiamento. A condizione, soprattutto, di renderci conto che nessuno può farlo al nostro posto, che siamo noi gli unici responsabili di questa scelta.
Se decideremo di percorrerla, non importerà cosa ci è capitato nel passato. Non importerà quale sia il Karma o il copione personale e familiare, anche il più tragico, che portiamo sulle spalle. Subito, nel qui e ora, potremo metterci in cammino verso una vita autentica e piena d'amore.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2020
ISBN
9788831800747
Parte I

Aspetti teorici

Capitolo 1

Ego e Anima

Dal cattivo umore al buonumore

Quando litighiamo con il nostro partner, quando ci arrabbiamo con i nostri figli, quando coviamo rancore per qualcuno, quando siamo tristi e sconsolati, quando ci sentiamo soli, non siamo felici. È un dato di fatto.
Nessun essere umano aspira all’infelicità. Tutti vorremmo essere felici, sempre più felici, gioiosi, contenti, allegri. Tutti vorremmo vivere relazioni d’amore, in famiglia, sul lavoro, con gli amici, in tutte le situazioni. Ma non ci riusciamo. Proviamo e riproviamo, ma non ci riusciamo.
A questo punto si aprono tre possibilità, tre vie percorribili:
– la prima, di gran lunga la più comune, è convincersi che non c’è niente da fare: la vita è fatta così;
– la seconda, riservata a pochi eletti, di solito appartenenti alla fascia sedicente colta della popolazione, è quella di affrontare la cosa seriamente. Ci si rivolge a uno specialista ufficiale del settore: medico, psicologo, psicoterapeuta, counselor o, nei casi più gravi, psichiatra;
– la terza, molto comune, è diffidare degli specialisti e rivolgersi al mondo delle cure alternative. Cure che spaziano dalla meditazione allo Shiatzu e all’agopuntura, dallo Yoga alla medicina ayurvedica, dalla danzaterapia alla musicoterapia, dalla cromoterapia alla pranoterapia, fino ad arrivare, per credulità o disperazione, a maghi, veggenti, chiromanti.
Se avete provato e riprovato e nessuna di queste cose ha funzionato, vi presento un modello molto semplice per comprendere la nostra psiche e passare dal cattivo umore al buonumore.
Sapete distinguere fra queste due situazioni? Sapete distinguere quando siete di buonumore e quando non siete di buonumore, ma siete invece di cattivo umore? Certamente. Quando le persone sono di cattivo umore, trattano gli altri bene o male? Ad esempio, se andate in un ristorante e c’è una cameriera di cattivo umore, come vi tratta? Male. E se è di buonumore? Vi tratta bene.
Aggiungiamo un’ulteriore categoria, importantissima. Una persona che vi tratta male vi è simpatica o antipatica? È antipatica. E invece, una persona che vi tratta bene, com’è? Simpatica.
E quando qualcuno è di cattivo umore, vi tratta male ed è antipatico, ritenete che il suo comportamento nei vostri confronti sia giusto o ingiusto? Ingiusto.
E tutto questo voi lo ritenete un bene o un male? Un male.
Questi sono dei concetti fondamentali per comprendere come funzioniamo. Certo, la psicologia accademica non ragiona in questo modo. È specialistica, ha bisogno di usare il suo linguaggio per addetti ai lavori. Ma se vogliamo fare dei cambiamenti personali in breve tempo dobbiamo usare un linguaggio comune, alla portata di tutti. Nessuno deve fare fatica a capire quel che diciamo. Nel linguaggio popolare ci sono tutti i concetti che servono per comprendere e descrivere il nostro mondo interno. Di più, anche per trasformarlo. Perché il nostro obiettivo è, come dicevamo prima, passare dal cattivo umore al buonumore, dal trattar male al trattar bene, dall’essere persone antipatiche all’essere persone simpatiche.
Cosa significano le parole anti-patico e sim-patico? Entrambe vengono dal greco. Pathos significa emozione; syn significa insieme. Simpatico è qualcuno che si emoziona insieme, che sta insieme alle passioni dell’altro.
Se incontro qualcuno che è allegro, favorirò questa condizione più che posso, perché vedo in lui un amico e non un nemico. Allo stesso modo, se incontro qualcuno triste o arrabbiato, attraverso l’ascolto profondo empatizzerò con la sua emozione, ne comprenderò le ragioni e cercherò di favorire il passaggio a qualcosa di più leggero e tollerabile. Le parole che userò saranno amichevoli, in modo che fungano da base sicura riducendo, già solo per questo, l’emozione negativa.
Più la rabbia o la tristezza si riducono, più la vista si fa acuta. Riusciamo a vedere e discernere sempre meglio. Viceversa, quando siamo adirati, i nostri occhi sono ciechi, non vedono. Siamo guidati da forze impulsive che non ci consentono di distinguere il vero dal falso.

Parole semplici, parole chiave per la nostra trasformazione

Allegria o tristezza, rabbia o paura, simpatia o antipatia, giusto o ingiusto, bene o male, vero o falso, sono parole di uso corrente, che adoperiamo più volte al giorno. Non ci servono parole più raffinate e specialistiche, come dipendenza affettiva o sindrome fallico-narcisistica, per cambiare la nostra vita, per passare dal cattivo umore al buonumore.
Anzi, spesso le parole difficili, alle quali attribuiamo un maggior valore di verità, ci aiutano solo a perpetrare il nostro malessere. Sì, perché rischiano di diventare etichette che impariamo ad attribuire a noi stessi o agli altri, etichette che ci risparmiano di indagare più in profondità. Ci impediscono di fare quello che è più importante fare: porci domande semplici e sensate.
Chi non conosce qualcuno che, dopo dieci anni di analisi, afferma di aver finalmente capito se stesso? Quando gli chiediamo: «Che cosa hai capito?» la persona se ne esce con una frase del tipo: «Sono affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità» o «Soffro di una grave carenza affettiva».
Alla successiva ovvia domanda, cioè: «Hai risolto il tuo problema?» la risposta immancabile è: «No, ma ho imparato a conviverci meglio».
Fermiamoci. Ragioniamo un attimo: a che cosa serve imparare a convivere con qualcosa che percepiamo come un nostro nemico? Che percepiamo come un ospite inquietante che ci rovina la vita? Non sarebbe meglio cacciarlo di casa?
Sì, ma non lo sappiamo fare.
Nella terapia abbiamo parlato per ore e ore della nostra infanzia, dei rapporti con nostro padre e nostra madre, abbiamo analizzato innumerevoli sogni, scandagliato l’origine del nostro malessere emotivo, ma il malessere è rimasto. Siamo solo un po’ più vecchi e un po’ più stanchi. E anche un po’ più nichilisti. Cioè abbiamo diminuito o perso la speranza di poter un giorno diventare felici.

Freud e Gesù

Secondo Freud, fondatore della psicoanalisi, la felicità non è il fine della terapia. Il fine della terapia, per Freud, è raggiungere una sostenibile infelicità. Questo è tutto ciò a cui possiamo aspirare.
La sua visione pessimistica sulla natura umana è sinteticamente espressa in altre sue affermazioni: l’amore è desiderio di cibo soddisfatto; l’amore è odio per i fratelli mascherato; il perdono del nemico non è possibile. Non ci vuole un particolare acume per comprendere che tra il pensiero di Freud e il pensiero di Gesù c’è di mezzo un abisso incolmabile. Gesù ha comandato ai suoi seguaci di amare il prossimo come se stessi. Di perdonare i propri nemici. Ha promesso una felicità indistruttibile. Gesù era un pazzo, uno squilibrato? Secondo la visione freudiana, sì.
Chi ha ragione? Chi ha torto? Hanno ragione entrambi.
Freud si riferisce all’uomo vecchio, egoista, centrato su di sé, ostile agli altri, incapace di amare e di perdonare. L’Ego non può essere guarito, ma solo un po’ aggiustato.
Gesù si rivolge all’uomo nuovo, all’uomo relazionale, comunitario, animico. L’Anima è l’essenza divina dell’uomo, che ha solo bisogno di essere coltivata per fiorire pienamente ed esprimere tutta la sua felicità.
La differenza tra Freud e Gesù è tutta qui. Freud, come scienziato della sua epoca, si rivolge all’uomo materialista, la cui consapevolezza è ancorata al corpo e alla sensorialità grossolana. Gesù si rivolge all’uomo spirituale che, pur abitando anch’egli nel corpo e nei sensi, aspira a trascendere sensi e corpo, per accedere a una consapevolezza via via più ampia, fino a sperimentare l’infinito amore divino.

Ego e Anima: la distinzione fondamentale

Dopo circa quarant’anni di pratica come formatore e terapeuta mi sono convinto che la distinzione fondamentale è proprio questa: Ego e Anima.
La via dell’Ego conduce inesorabilmente all’infelicità, al malumore, alla sofferenza emotiva. Quella dell’Anima, se seguita con disciplina, porta alla felicità, al buonumore e al benessere emozionale.
Le fonti della distinzione sono innumerevoli. Con termini diversi, sono reperibili un po’ in tutte le tradizioni sapienziali. All’inizio mi sono ispirato alla psicologia buddhista, ove l’Ego corrisponde agli inquinanti della mente e l’Anima alle qualità dell’essere, o qualità dell’amore. Via via ho trovato conferme in molte altre tradizioni.
Rabbia, risentimento, tristezza, paura, avidità, ingratitudine, possessività, invidia, sono esempi di inquinanti della mente.
Amorevole gentilezza (metta), empatia nella gioia (mudita), compassione (karuna), equanimità (upecca), apprezzamento, gratitudine, generosità, sono esempi di qualità dell’essere.
Gli inquinanti, come dice il nome, inquinano la mente, la rendono opaca, ottusa, incapace di retta visione.
Le qualità rendono la mente limpida, trasparente, capace di riflettere la realtà così com’è.
Molto importante è capire che inquinanti e qualità non sono dotazioni personali, date alla nascita, come il colore degli occhi o dei capelli, e come tali intrasformabili. Sono pratiche, abitudini, abiti mentali che via via adottiamo inconsciamente. Abiti che con il tempo creano il nostro Karma (legge del causa-effetto). Karma o destino: banale, negativo o tragico, i primi; discreto, buono o divino, le seconde.
Noi possiamo imparare la via per liberarci dagli inquinanti. Possiamo imparare a trasformare la rabbia o il risentimento in amorevole gentilezza e compassione. Possiamo trasformare l’avidità in generosità, il disprezzo in gratitudine. Possiamo cambiare il nostro destino.
Questa è la buona novella che ci consegna il Buddhismo: la vita è difficile, la vita è ripetuta sofferenza, è Samsara. Ma esiste una causa della sofferenza ed esiste una via di liberazione, una via che ci conduce al Samadhi o beatitudine permanente del Buddha, il risvegliato.
La via del Buddha e la via di Gesù, dal punto di vista che ci interessa, conducono nello stesso luogo: la piena consapevolezza, la felicità indistruttibile, la divinizzazione della nostra Anima.
Cor meum inquietum est donec in te requiescat: il mio cuore è inquieto finché non riposa in te, diceva Agostino. La nostra vera natura aspira alla felicità, alla beatitudine, all’amore incondizionato per tutto ciò che c’è, compresi i nostri nemici.
È una via facile? No, è estremamente difficile. Richiede volontà, disciplina, impegno totale. Molti si dicono cristiani o buddhisti, ma pochissimi sono veri cristiani o buddhisti, liberati dal cattivo umore e dalla sofferenza emotiva e relazionale.
E allora, perché porsi una meta così impegnativa? Perché non accontentarsi di una più modesta psicoterapia che, accarezzando l’Ego, lo rende un po’ meno velenoso?
Se non vi siete già scoraggiati o stufati, la risposta la trovate nel prossimo paragrafo.

Perché non accontentarsi di convivere con l’Ego?

Convivere con l’Ego significa arrendersi, tradire la nostra vera natura. Significa fallire nel compito che ci è dato alla nascita: diventare chi siamo. Significa, nel migliore dei casi, condurre una vita mediocre, falsa, banale, spenta, senza senso, senza vero amore, senza entusiasmo e con molte frustrazioni.
Quante coppie, quante famiglie, dopo un iniziale innamoramento, finiscono per condurre una vita spenta, triste? Una vita senza più Eros, senza più gioco, senza più humor? Come stanno i bambini? Come stanno i genitori?
Anche l’amicizia può trasformarsi in una grigia routine: ci si telefona, ci si vede qualche volta, per abitudine. Si parla per luoghi comuni, come sta tua madre, come stanno i tuoi figli, che cosa ne pensi del nuovo governo. Si parla senza interesse, come fosse un dovere da compiere, uno dei tanti. Non c’è più intimità, non c’è coinvolgimento, non c’è passione.
E sul lavoro? Quante persone detestano il loro lavoro, che continuano a svolgere solo per avere uno stipendio? Attività che spesso avviene in un contesto deprimente e opprimente, con colleghi con i quali non si parla o si litiga? Con un dirigente selezionato per la sua prepotenza, prepotenza che può infliggere a volontà ai sottoposti, timorosi di perdere il posto? Oggi che è così difficile trovarne un altro?
Con che umore torna a casa un padre o una madre dopo aver trascorso un’intera giornata in una tale situazione? E l’umore nero con cui tornano a casa favorisce la felicità della famiglia, l’armonia tra genitori, il bene dei bambini?
E i bambini, quando vanno a scuola, sono contenti di andarci? Hanno voglia di studiare e di apprendere? Amano quello che fanno? Amano i loro maestri o insegnanti, sono sicuri di essere da loro accolti, compresi, incoraggiati? O anche i loro insegnanti sono di cattivo umore e li trattano male, perché lavorano in un contesto dove il trattarsi male tra colleghi è diventata un’abitudine? Dove il dirigente non si occupa di didattica, ma solo di burocrazia e di conti, che non tornano mai, perché i soldi mancano regolarmente? Come sta un dirigente così?
E come sta un medico che non può dialogare e prendersi cura dei suoi pazienti perché è troppo impegnato a compilare moduli e scartoffie?
Come sta un piccolo imprenditore che non può più accedere al credito, perché il credito lo fanno solo ai ricchi, cioè a coloro che non ne hanno bisogno? Come mai tanti imprenditori si sono suicidati?
La domanda che sorge spontanea, almeno a me, è molto semplice: ma è questo il mondo nel quale vogliamo vivere? Anche la risposta è altrettanto semplice: NO. Noi tutti vogliamo vivere in un mondo in cui fioriscono l’amore e la gentilezza, non la burocrazia e il potere-dominio.
Il problema è che non sappiamo come fare. Come fare a cambiarlo, questo mondo.
Così in molti si convincono che, se anche non ci piace, questo è l’unico mondo possibile. «There is no alternative», non esiste alternativa, sentenziò a suo tempo Margaret Thatcher.

Le cose continuano a peggiorare, ma...

Le cose continuano a peggiorar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. L’AMORE È UN’AZIONE
  5. Premessa
  6. Introduzione
  7. Parte I. Aspetti teorici
  8. Parte II. Pratiche trasformative
  9. Epilogo
  10. Ringraziamenti
  11. Copyright