Le cose giuste
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Le cose giuste

  1. 224 pagine
  2. Italian
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Le cose giuste

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Informazioni sul libro

Dall'autrice finalista al Premio Strega, cinque storie di donne che la vita ha scelto di sfidare. E che hanno scelto di raccontarsi, e di ricominciare. Di che pasta siamo fatti lo scopriamo soltanto quando la vita ci mette alla prova. Quando qualcosa si rompe e ci costringe a raccogliere i pezzi, a rialzarci e ricominciare. Le protagoniste di questo libro sono state sfidate dal destino: le esistenze che si erano costruite, fatte di amore, di sogni, di famiglia, sono crollate in un soffio, lasciandole scoperte dove fa più male. Tutte, a un certo punto, sono state costrette a chiedersi quale fosse la cosa giusta da fare. Come Marisa, che per ribellarsi alla 'ndrangheta ha messo sul piatto la sua vita e quella dei suoi bambini. O come Marica, con le speranze appese a un filo mentre aspetta di diventare madre. Cristina, tradita dalla Chiesa amatissima, si domanda quanta fede occorra per salvarsi davvero. Poi c'è Annarita, che con tutto l'amore tenta di prendersi cura di una figlia in lotta con il proprio corpo. E infine Valeria, che con forza straordinaria si riappropria di ogni desiderio che la sorte vorrebbe negarle. Cinque donne, cinque storie vere, che Silvia Ferreri ha scelto di raccontare maneggiandole con la stessa attenzione che si riserva alle materie incandescenti, per mettere in luce quel nocciolo duro, quel punto nascosto, ma insospettabilmente potente, che di fronte alle difficoltà ci rivela con certezza chi siamo.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2021
ISBN
9788831804103
Annarita

LA MIA ELISA

«La mia Elisa è una ragazza onesta. Quando è bugiarda, quando è falsa, egoista, cattiva, non è lei che parla. È la malattia. È la malattia che si è presa tutto, anche la sua mente, anche la sua anima.»
La malattia è l’anoressia.
Ed Elisa è la sua ragazza, che di anoressia si ammala a diciassette anni senza nemmeno sapere perché. E con Elisa, si ammala pure lei.
«Perché l’anoressia» mi dice Annarita «è una malattia bastarda. Ti annienta come persona e come genitore.»
Annienta la madre insieme alla figlia. E tu diventi vittima quanto lei. Perché, mentre lei muore, a te stanno levando ciò che di più prezioso hai al mondo. Mentre lei muore, muori anche tu che ci provi, ma non riesci a salvarla. Tua figlia cade, scivola ogni giorno più giù, e la sua mano sempre più magra ti sfugge via. E non c’è nulla che tu possa fare per trattenerla. Nulla che abbia senso, nulla che serva. Sei lì senz’armi e quelle poche che avevi sono spuntate.
E non serve dirti che l’hai amata più di qualsiasi cosa al mondo. Non serve ripeterti che sei stata una brava madre, che hai fatto tutto quello che dovevi, che hai dato tutto quello che avevi. Quello che hai fatto non è stato abbastanza.
Non lo sa, Annarita, come questo sia potuto succedere. Non si spiega perché la sua ragazza, una sportiva premiata che guardava alle Olimpiadi, una che aveva in mano la vita, abbia deciso un giorno di mettere la sua ostinazione e la sua intelligenza al servizio della malattia. Quella grinta con cui ha affrontato per anni la pedana della ritmica, a un certo punto ha deciso di rivoltarla contro di sé, come un cane fedele che un giorno, senza motivo, attacca il padrone e lo uccide.
Annarita capisce solo che non c’è più nulla che lei possa fare per salvare un corpo che non è il suo. Un corpo che non è quasi più nulla.
Lo capisce quel giorno, il 27 dicembre, quando all’ennesimo controllo, dopo un numero imprecisato di visite, ricoveri, medici, ingressi e dimissioni, le dicono ci dispiace, da oggi Elisa non vi appartiene più, da oggi siamo noi a decidere per lei, e voi non avete più nessuna voce in nessun capitolo. Voi ci avete provato con tutte le vostre forze, ve lo riconosciamo, ma avete fallito. Da oggi ci proviamo noi.
Noi è il CPS di Legnano. Noi è il reparto psichiatrico dell’ospedale. Noi è il TSO: trattamento sanitario obbligatorio.
Che significa che da quel giorno è lo Stato ad agire per te, perché tu, tua figlia, tuo marito, non avete più carte da giocare. A decidere ora è la dottoressa del CPS, è lei che fissa, stabilisce, detta le condizioni. «Vada a casa, prepari una borsa e aspetti Elisa all’ospedale di Legnano» dice ad Annarita. Perché è lì che l’ambulanza, scortata dalla macchina dei vigili, porterà sua figlia. «Nel frattempo la ragazza resta sotto la mia custodia. Da qui uscirà solo accompagnata dalla forza pubblica.»
Non lo dimenticherà mai, Annarita, quel giorno.
Arriva a casa stravolta, in preda al panico, con la faccia impastata di lacrime e trucco. Tira fuori una borsa da un armadio e comincia buttarci roba alla rinfusa. E mentre butta pigiami e sapone nella sacca per Elisa, ripete a se stessa che è una madre di merda, perché solo una madre di merda può arrivare a tanto. Solo una madre di merda non riesce a salvare sua figlia. Non riesce a curarla, a guarirla. A nutrirla.
E mentre rovista negli armadi senza riuscire a pensare, perché la testa ormai è fottuta, mentre cerca calze per i piedi freddi di Elisa, e una spazzola per i suoi capelli radi, urla piangendo: «Come siamo arrivati fin qui? Come cazzo siamo arrivati fino a qui?»
Così.
E per raccontarmelo comincia dall’inizio.
Da Elisa bambina.
Solare, grintosa, tenace. Ha un buon carattere, ma soprattutto ha carattere. Quello dei bambini subito autonomi, subito responsabili. È pratica, si sgancia presto dalla madre, che nel frattempo ha avuto anche un altro figlio. Ogni passaggio per lei è semplice, ogni cambiamento è fluido. Ha un’intelligenza preziosa e il desiderio di fare bene. Fare bene in tutto. Il giudizio degli altri su di lei pesa, non lo nasconde. Ma non lo teme.
A cinque anni Annarita la porta in piscina solo per imparare a nuotare, perché lei ha paura dell’acqua e non vuole che sua figlia abbia lo stesso timore. Dopo poco, Elisa è nella preagonistica. Ama il nuoto, ama gareggiare e lo fa per quattro anni. Fino al giorno in cui vede un allenamento di ginnastica ritmica e, come negli amori urgenti, il primo sguardo la infiamma della fantasia di prendersi tutto quello che può. Lascia il nuoto ed entra nella squadra di ritmica della Moderna Legnano.
Ha nove anni e le idee chiarissime.
Anche a scuola è un piccolo treno in corsa, ai buoni voti ci tiene ma studia per amore dello studio, più che per il voto. Le medie scivolano via, a quattordici anni sceglie il liceo scientifico.
La sua vita è una piena costante. Le ore di allenamento quotidiano e la scuola riempiono le sue giornate. Ore di sacrificio in palestra e sui libri. Non si ferma nemmeno quando studia. Ripassa scienze a terra con le gambe in divaricata, ripete storia in rovesciata con il viso appoggiato sui gomiti e i piedi che le cadono davanti agli occhi.
La madre ogni tanto le chiede di rallentare. Ma Elisa è felice, è sana e ha energia da regalare. Il suo corpo e la sua mente sono al suo servizio. Lei li controlla, li guida, li domina ma lo sforzo è notevole. Studia nei fine settimana, studia la sera. Non rallenta, perché la scuola e la ginnastica sono tutto ciò che ama. In pochi anni è diventata una delle atlete di punta del Legnano. Cerchio, palla, clavette, gareggia con tutto, vince con tutto. Specialmente con la fune, quello che viene considerato l’attrezzo più difficile. Per lei, l’attrezzo prediletto.
Con la fune si qualifica agli italiani, per la prima volta a tredici anni. E per tre volte consecutive è sul podio nazionale della sua categoria. È più di una promessa, Elisa, è un’atleta a cui la federazione guarda, che coltiva.
Il momento è perfetto.
Gare importanti a cui puntare, diciassette anni e 44 chili e mezzo. Tanto pesa, nel periodo di massima capacità del suo corpo. È filiforme, leggermente sottopeso per la sua altezza, ma ha un metabolismo velocissimo e un corpo sempre in movimento che ha bisogno di nutrirsi continuamente. Ed Elisa lo nutre. Mangia molto, non lascia mai nulla nel piatto, critica le compagne di squadra che per perdere mezzo chilo prima di una gara si mettono a dieta, perché se non mangi, dice, gli allenamenti non li reggi. Le atlete si pesano in palestra nei giorni precedenti alle gare. E quel vociare di ragazzine che parlano di etti, quella sensazione di essere privilegiata ed estranea alla questione, le si depositano addosso.
È un pensiero svelto, quello che le passa per la testa. Se volesse, lei potrebbe farlo senza problemi. Perdere peso, in fondo, è solo una questione di volontà. Ma è un pensiero che crea un solco pericoloso.
Comincia così, come una sfida personale. Una sfida senza ragione. Una sfida che ha il solo obiettivo di dimostrare che volere è potere. Lei, che vince in tutto, sa che vincere è solo una questione di volontà. E sa che lei stessa è l’unica persona alla sua altezza, l’unica a cui possa davvero lanciare una sfida.
Quello che ignora è che mettersi a giocare contro se stessa è una battaglia a perdere. Perché, in un modo o nell’altro, a essere sconfitta sarà comunque lei.
«A cena» racconta Annarita «quella sera mi dice che mangia solo il secondo.»
Il giorno dopo non mangia la frutta, e il giorno dopo ancora lascia da parte il pane. La prima settimana perde due etti. Ed è una vittoria che la inebria, soprattutto perché si accorge che il controllo è totale e proporzionale. Lei toglie cibo, il suo corpo toglie peso.
La seconda settimana perde altri due etti. Annarita comincia a inquietarsi, le chiede spiegazioni, lei risponde: «Va bene così, è tutto a posto».
Ha vinto la sfida. Ora sa che può farcela. E tutto torna come prima. Tranne una scia di nervosismo, di malessere, di cupezza. Che Annarita percepisce. Ma ci sono le gare, ed Elisa sotto gara è sempre nervosa.
A fine marzo 2014 c’è la seconda fase del campionato di specialità. La prima fase, quella regionale, Elisa l’ha vinta. La seconda è l’interregionale tra Liguria, Lombardia, Val d’Aosta e Piemonte. Una cinquantina di atlete in tutto. Le prime tre passano alle gare nazionali.
Elisa, negli ultimi tre anni, è sempre arrivata sul podio. È una delle ginnaste più brave del Nord Ovest. Unica tra le altre, gareggia sempre con due attrezzi, e si classifica sul podio sempre con entrambi. Non c’è storia, non c’è gara. È un diamante. Elisa ogni anno porta il Legnano in nazionale.
Anche quel giorno gareggia per due specialità.
Quando si prepara per entrare in pedana con la fune, Annarita è lì sugli spalti, insieme a Matteo, il fratello di Elisa, che segue ogni competizione, e insieme al padre, che come ogni volta è attrezzato per girare un video. Perché dopo ogni gara Elisa riguarda tutto, studia gli errori, ripercorre secondo per secondo ogni passaggio dell’esercizio.
Tutta la famiglia è lì a sorreggerla a proteggerla. Ma è solo Annarita che se ne accorge: quando Elisa entra in pedana, quando punta il piede, quando alza il braccio per salutare la giuria, non è Elisa. «Quel saluto non era il suo solito saluto. Non c’era la grinta della mia Elisa, non c’era la sua sicurezza, non c’era la sua adrenalina.»
Lo percepisce lei sola, per quel legame che le madri si portano dalla nascita, che le tiene legate ai figli anche dall’altra parte del mondo. Sente che Elisa non è lì. Il suo corpo è lì, le sue braccia, le sue gambe sono lì. Ma lei non è lì. La spavalderia è sparita dal suo viso. «In lei vedo solo ansia, e la ricerca spasmodica della perfezione.»
Elisa arriva quarta per uno scarto di 0,5 centesimi. Un’inezia, un soffio. Che però le costano il passaggio alla fase nazionale.
La squadra resta fuori.
Ed Elisa crolla.
Si chiude nel bagno del palazzetto, è disperata e, affogata nel pianto, comincia a dire quella frase che ritornerà per anni nelle sedute con gli psichiatri, gli psicologi, gli psicoterapeuti. Dice che ha deluso tutti: la squadra, la sua allenatrice, la sua famiglia. Piange in bagno e non vuole vedere nessuno. Non vuole comprensione.
Annarita le parla da dietro la porta, la ascolta, la consola. Le dice che non è niente. Che non è nulla, che sbagliare va bene, che dagli errori si impara, si cade e ci si rialza. Che lo sport è anche questo. Non solo vincere. Che lei è sempre lei. Una sconfitta è una sconfitta e nient’altro. Nulla che abbia a che fare con l’amore, con la stima. Una sconfitta è solo una sconfitta.
I giorni successivi sono di solitudine. Elisa non vuole parlare, e loro rispettano il suo silenzio. Sperano che il confronto con l’allenatrice la riporti in equilibrio.
E così è. O almeno pare. La motivazione le arriva da una gara in programma per maggio, il Campionato d’insieme, una gara di squadra. Elisa riprende ad allenarsi. La squadra è forte perché, oltre ad essere cinque ginnaste di altissimo livello, sono anche cinque amiche inseparabili, e questo le rende ancora più coese. Elisa si allena, si ricarica, si risolleva. Il ricordo della sconfitta di marzo è alle spalle. La squadra lavora duro, e lei è il sostegno di tutte.
Ma qualcosa, di nuovo, va storto. Una delle ginnaste si fa male poche settimane prima della gara. L’allenatrice, dopo averci a lungo riflettuto, decide di non partecipare. Mettere una sostituta in pedana a questo punto non avrebbe senso. Le ragazze non sono d’accordo, spingono per provarci comunque, ma l’allenatrice non vuole sentire ragioni. Alla fine, in un modo o nell’altro, tutte accettano la sua decisione. Ma non Elisa. Elisa tenta in tutti i modi di farle cambiare idea. Le garantisce il suo aiuto per mettere in squadra una riserva in pochi giorni, si arrabbia, discute, arriva a litigare con lei e infine crolla nella disperazione. Perché per tutto l’anno non ha fatto nemmeno una gara importante, e quella era la sua occasione per tornare in pedana, per far vedere che c’era, che la sua grinta era di nuovo lì.
Le vecchie...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le cose giuste
  4. Marisa. LA COSA GIUSTA
  5. Marica. DUE SCIMMIE E UN PANDA
  6. Cristina. LA TUA COLPA
  7. Annarita. LA MIA ELISA
  8. Valeria. LEI
  9. Ringraziamenti
  10. Copyright