La dieta del cervello
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La dieta del cervello

Prendiamoci cura del nostro benessere mentale attraverso il cibo

  1. 512 pagine
  2. Italian
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La dieta del cervello

Prendiamoci cura del nostro benessere mentale attraverso il cibo

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A prima vista, alimentazione e psichiatria non sono la più ovvia delle accoppiate. Se pensiamo a Freud, con tanto di pipa e divano in pelle, non lo immaginiamo certo a scrivere sul suo taccuino la ricetta del salmone al forno.
Eppure, dieta e salute mentale sono inestricabilmente legate. E il rapporto funziona in entrambi i sensi: scelte alimentari sbagliate portano a un aumento di problematiche psicologiche, che a loro volta conducono a cattive abitudini in fatto di cibo. Finché non risolveremo i problemi di alimentazione, non ci sarà farmaco né psicoterapia in grado di aiutarci davvero. E non si parla solo di patologie gravi: a chiunque può capitare di sentirsi triste o nervoso, anche se non gli è mai stata diagnosticata una condizione di depressione o ansia. Tutti noi abbiamo sofferto di ossessioni e affrontato traumi, grandi o piccoli. Tutti desideriamo una memoria di ferro e grandi capacità di concentrazione. Tutti vogliamo dormire bene e avere una vita sessuale soddisfacente.
In La dieta del cervello la dottoressa Uma Naidoo, pioniera della psichiatria nutrizionale, oltre che chef qualificata, ci mostra in modo semplice e chiaro come sfruttare l'alimentazione per raggiungere il pieno benessere in ogni aspetto della salute mentale. E, nella parte finale del volume, affianca alla teoria la pratica: sia fornendo alcune informazioni di base per scegliere gli alimenti da comprare e organizzare al meglio la nostra cucina, sia presentando un menu specifico - con tre pasti principali e spuntini intermedi - per combattere alcuni tra i più comuni disturbi del nostro tempo.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2021
ISBN
9788831803557
CAPITOLO 1

INTESTINO E CERVELLO: UNA STORIA D’AMORE

Non sono molte le cose che mi tengono sveglia la notte. Amo dormire. Di tanto in tanto, però, mi trovo a rigirarmi nel letto pensando che nella psichiatria, e più in generale nella medicina, abbiamo perso di vista il quadro complessivo per concentrarci sui particolari.
È vero che abbiamo fatto molta strada dalle barbarie del Seicento e Settecento, quando la “pazzia” era considerata una colpa e chi soffriva di turbe psicologiche era rinchiuso in vere e proprie prigioni, tra catene e docce fredde. Il progredire della società ha portato ad affidare agli ospedali i pazienti affetti da malattie mentali.1 Il problema è che, focalizzandoci sempre più sui complicati processi cognitivi ed emozionali legati a quei disturbi, abbiamo smesso di considerare quanto essi coinvolgano il resto del corpo.
Non è sempre stato così. Nel 2018 lo storico Ian Miller ha evidenziato che nel Settecento e nell’Ottocento i medici erano ben consapevoli della connessione tra i vari apparati del corpo.2 Per questo parlavano di «simpatia nervosa» tra i vari organi. Tuttavia, alla fine dell’Ottocento ci fu un cambio di prospettiva. Man mano che l’approccio medico si andava specializzando perdemmo la visione d’insieme: iniziammo a esaminare i singoli organi per stabilire cosa non funzionasse e andasse curato.
Nessuno, ovviamente, negava che un tumore potesse diffondersi da un organo all’altro, o che malattie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico interessassero addirittura apparati diversi; quel che non si riusciva più a riconoscere era che organi in apparenza separati potessero influenzarsi profondamente l’un l’altro. Che, per dirla con una metafora, una certa malattia potesse venire da lontano!
Ad aggravare il problema era il rapporto tra specialisti di branche differenti: anziché collaborare, medici, anatomisti, fisiologi, chirurghi e psicologi erano in competizione tra loro. Come scrisse un medico inglese nel 1956: «C’è un tale clamore tra quanti competono in cerca di una cura che il paziente desideroso di informarsi si ritrova assordato più che illuminato».3 Purtroppo, questo è ancora l’atteggiamento prevalente in campo medico. Ecco perché in tanti ignorano che, quando viene intaccata la salute mentale, la radice del problema non va cercata esclusivamente nel cervello. Anzi, quel disturbo è il segnale che una o più connessioni tra corpo e cervello hanno smesso di funzionare.
Eppure sappiamo che tali connessioni sono reali. La depressione può danneggiare il cuore; le patologie della ghiandola surrenale possono gettarci nel panico; alcune infezioni che si diffondono nel flusso sanguigno possono farci sembrare degli squilibrati. Senza considerare che molte patologie “del corpo” si manifestano attraverso uno stato di confusione mentale.
Quindi una malattia può causare sintomi psichiatrici, ma ora sappiamo che il legame è molto più profondo. Minimi cambiamenti nella condizione degli organi possono influire sulla nostra mente. La più profonda di queste relazioni a distanza è quella tra intestino e cervello. Già secoli fa Ippocrate, il padre della medicina moderna, riconobbe questo legame, notando che «una cattiva digestione è alla base di tutti i mali» e che «la morte risiede nell’intestino». Adesso cominciamo a capire quanto avesse ragione. Anche se siamo solo agli inizi di questo percorso d’indagine, negli ultimi anni una delle aree di ricerca più ricche e fertili della scienza medica è stata quella che esamina il rapporto tra intestino e cervello, mettendo in evidenza l’affascinante nesso con il campo della psichiatria nutrizionale.

C’ERA UNA VOLTA…

Osservare lo sviluppo di un embrione è come guardare attraverso un caleidoscopio.
C’era una volta uno spermatozoo che si fece strada fino a un ovulo. I due non si limitarono a passarsi accanto come navi nella notte: si unirono. E poiché quell’unione riuscì, voi foste concepiti. Annidatosi al calduccio nell’utero di vostra madre, quell’ovulo fecondato (chiamato zigote) cominciò a evolversi.
All’inizio la superficie esterna dello zigote era liscia, ma presto cominciò a segmentarsi come quella di una mora. Con il passare del tempo quell’uovo – incantato dalle istruzioni biologiche – cominciò a modificarsi fino a dar forma a un corpicino. E alla fine, dopo nove lunghi mesi, voi eravate dotati di cuore, intestino, polmoni, cervello, arti e altri ingegnosi ammennicoli necessari alla vita.
Prima però – prima che foste pronti a nascere e prendere posto nel mondo, e prima che i vostri organi diventassero entità distinte – intestino e cervello erano un tutt’uno: parte del medesimo ovulo fecondato che ha dato origine a ogni parte del vostro corpo.
Infatti il sistema nervoso centrale, composto da cervello e midollo spinale, è costituito dalle cellule di una particolare struttura nota come cresta neurale; queste cellule migrano all’interno dell’embrione in via di sviluppo e vanno anche a formare il sistema nervoso enterico, posto nell’intestino. Esso contiene tra i cento e i cinquecento milioni di neuroni, ed è uno dei più ampi insiemi di cellule nervose di tutto il corpo, tanto da essere chiamato secondo cervello. Ecco perché intestino e cervello si influenzano reciprocamente in modo tanto profondo: per quanto diversi possano sembrare, hanno la medesima origine.

UNA RELAZIONE A DISTANZA

Una volta una mia paziente mi disse che non capiva perché, avendola in cura per problematiche psicologiche, le stessi parlando dell’intestino. Le pareva che non fosse rilevante. «Dopotutto non sono nemmeno vicini.»
Intestino e cervello si trovano in parti diverse del corpo, ma la loro relazione non è solo storica: sono fisicamente connessi. Il nervo vago – dal latino vagus, che significa “vagabondo” – ha origine nel tronco encefalico e si snoda fino a collegare il sistema nervoso centrale all’intestino. Lì si dirama in filamenti che avvolgono l’organo dell’apparato digerente, rivestendolo come un complicato lavoro a maglia e penetrando nelle sue pareti. Il nervo vago svolge un ruolo essenziale nella digestione, ma la sua funzione primaria è assicurare lo scambio di informazioni vitali tra intestino e cervello. I relativi segnali nervosi, che si muovono in entrambe le direzioni, fanno dei due organi dei veri e propri partner. Ecco cosa c’è alla base della loro “storia d’amore”.

ATTRAZIONE CHIMICA

Ma come fanno, in pratica, cervello e intestino a scambiarsi messaggi tramite il nervo vago? È facile raffigurarsi i due organi che “parlano” grazie a una sorta di telefono biologico, ma quest’immagine non rende giustizia all’eleganza e alla complessità del sistema di comunicazione del nostro corpo.
La base di tale sistema di comunicazione è la chimica. Quando dovete prendere una compressa contro il mal di testa, di solito la inghiottite: la pillola entra dalla bocca, si fa strada fino allo stomaco e viene scomposta, poi i principi attivi in essa contenuti raggiungono l’intestino, che li assorbe. Da lì viaggiano verso il cervello attraverso il flusso sanguigno, e giunti a destinazione possono combattere un’infiammazione o ridurre la tensione dei vasi sanguigni. Una volta compiuto il loro dovere il dolore si attenua. Allo stesso modo, anche le sostanze chimiche prodotte dall’intestino possono raggiungere il cervello, e viceversa. Insomma, è una strada a doppio senso.
Per quanto riguarda le sostanze chimiche che partono dal cervello, esse sono prodotte nelle componenti principali del sistema nervoso (con l’assistenza di quello endocrino): il sistema nervoso centrale (che comprende il cervello e il midollo spinale); il sistema nervoso autonomo, o SNA (che comprende i sistemi simpatico e parasimpatico); l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, o HPA, dall’inglese hypothalamic-pituitary-adrenal axis (che comprende appunto l’ipotalamo, la ghiandola pituitaria – o ipofisi – e la ghiandola surrenale).
Il sistema nervoso centrale produce ad esempio la dopamina, la serotonina e l’acetilcolina, fondamentali per la regolazione dell’umore e l’elaborazione di pensieri ed emozioni. E la serotonina – sostanza chimica di cui sono carenti le persone depresse e ansiose – svolge un ruolo importante anche nel regolare il rapporto intestino-cervello. Se ne sente spesso parlare per via dell’influsso su umore ed emozioni, ma in pochi sanno che oltre il 90 per cento dei suoi recettori si trova nell’intestino. In effetti, alcuni ricercatori ritengono che la carenza di serotonina nel cervello sia fortemente influenzata proprio dall’organo dell’apparato digerente, un’idea che approfondiremo più avanti.
Il sistema nervoso autonomo è responsabile di una vasta gamma di funzioni fondamentali, gran parte delle quali involontarie: dobbiamo ringraziare lui se il nostro cuore batte, se respiriamo e digeriamo. È merito dell’SNA anche il fatto che le nostre pupille si dilatino per ricevere più luce in una stanza buia. E, cosa forse più importante ai fini del nostro discorso, è lui che regola la reazione di attacco o fuga, una risposta istintiva che scatena nel corpo una serie di meccanismi ormonali e fisiologici in situazioni di pericolo o di minaccia alla nostra incolumità. Come vedremo in seguito, l’intestino gioca un ruolo importante nella reazione di attacco o fuga, in particolare regolando due ormoni: l’adrenalina e la noradrenalina (anche chiamati epinefrina e norepinefrina).
L’asse HPA è fondamentale nei meccanismi legati allo stress. Esso produce ormoni che stimolano il rilascio di cortisolo, detto appunto ormone dello stress. Il cortisolo aiuta il corpo a gestire tale condizione, fornendo energia supplementare per affrontare situazioni difficili; poi, quando la minaccia è passata, i suoi livelli tornano normali. L’apparato gastrointestinale svolge un ruolo importante nella fase di rilascio del cortisolo, ed è determinante nel far sì che il corpo reagisca efficacemente allo stress.
In un corpo sano, questi messaggeri chimici assicurano che intestino e cervello lavorino insieme in armonia. Ma, come in tutti i sistemi delicati, le cose possono anche andare storte. Quando una produzione eccessiva o insufficiente di tali sostanze incrina il legame tra intestino e cervello, l’equilibrio viene sconvolto. Se i loro livelli sono sballati, l’umore ne risulta turbato, si perde la concentrazione e il sistema immunitario crolla. La barriera protettiva dell’intestino viene compromessa e i metaboliti – ovvero i prodotti del metabolismo – e le sostanze chimiche che dovrebbero star lontani dal cervello lo raggiungono, seminando il caos.
Nelle pagine seguenti vedremo come questo caos chimico dia origine a sintomi psichiatrici quali depressione, ansia e perdita di libido, fino a disturbi devastanti quali la schizofrenia e il bipolarismo.
Di certo starete immaginando che per correggere lo squilibrio chimico e ripristinare l’ordine – nel cervello come nel resto del corpo – sia necessario un bombardamento di medicinali complessi e altamente sofisticati. E, in un certo senso, avete ragione! In effetti, molti dei farmaci utilizzati per la cura dei disturbi mentali mirano ad alterare i livelli di queste sostanze, così da riportare il cervello a una condizione di equilibrio. Avrete forse sentito parlare, giusto per fare un esempio, degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (meglio noti come SSRI, dall’inglese selective serotonin reuptake inhibitors), che aumentano la produzione di tale sostanza per combattere la depressione. I moderni psicofarmaci possono essere una manna per i pazienti che lottano contro varie tipologie di disturbi, e non ho alcuna intenzione di minimizzarne l’importanza terapica in diverse circostanze.
A volte, però, nelle discussioni sulla salute mentale si trascura una semplice verità: ciò che mangiamo può avere sul cervello un effetto profondo quanto quello dei farmaci. Com’è possibile che qualcosa di tanto basilare e naturale come l’alimentazione sia potente quanto un medicinale la cui creazione e sperimentazione costa milioni di dollari? La prima parte della risposta ce la danno i batteri.

L’IMPORTANZA DELLE PICCOLE COSE

Dietro le quinte della relazione tra cervello e intestino si muove un enorme insieme di microrganismi differenti che risiedono in quest’ultimo, il microbiota.4 Il microbiota intestinale – nell’uomo come negli altri animali – è l’incarnazione di un altro tipo di amore, nel quale entrambe le parti contano sull’altra per la propria sopravvivenza. Il nostro intestino fornisce ai batteri un luogo in cui vivere e prosperare, e in cambio loro eseguono per noi mansioni fondamentali che il corpo da solo non sarebbe in grado di svolgere.
Il microbiota è costituito da differenti tipi di batteri, e tale biodiversità è maggiore nell’intestino rispetto a qualsiasi altra parte del corpo. Quest’organo può contenere fino a mille specie diverse di batteri, anche se molte di esse appartengono a due gruppi – il phylum Firmicutes e il genere Bacteroides – che da soli costituiscono circa il 75 per cento dell’intero microbiota.
In questo libro non perderemo troppo tempo a descrivere le singole specie di batteri, basti sapere che ne esistono di buoni e cattivi. Di norma i microrganismi che vivono nell’intestino sono di quelli buoni, ma è inevitabile che nel gruppo si intrufoli anche qualcuno dei cattivi. La cosa non deve necessariamente preoccuparci: di solito il corpo si assicura che il rapporto tra i due schieramenti mantenga il giusto equilibrio. Ma se dieta, stress o altri problemi fisici o mentali causano cambiamenti nella flora intestinale, ciò può scatenare una reazione a catena che ha diverse conseguenze negative sulla nostra salute.
L’idea che il microbiota svolga un ruolo essenziale nel corretto funzionamento del corpo è relativamente nuova in medicina (pensate a tutte le volte in cui i batteri vi sono stati presentati come germi che causano malattie anziché come un’utile squadra di microrganismi che ci offre un servizio fondamentale), in particolare quando si parla della sua influenza sul cervello. Negli ultimi anni, però, la scienza sta arrivando alla conclusione che i batteri buoni possono incidere sulle funzioni mentali.
Circa tre decenni fa fu pubblicato uno degli studi più avvincenti in materia, che per primo ci fece comprendere l’influenza delle alterazioni della flora intestinale sui meccanismi cerebrali. I ricercatori presero in esame alcuni pazienti affetti da una specie di delirio (detto encefalopatia epatica) dovuto a un’insufficienza nelle funzionalità del fegato. In tale condizione alcuni batteri cattivi producono particolari tossine, e lo studio dimostrò che il comportamento dei pazienti tornava normale una volta somministrati loro degli antibiotici per via orale. Era il segno evidente che un’alterazione dei batteri intestinali poteva produrre uno scompenso mentale.
Da allora le nostre conoscenze sul modo in cui il microbiota intestinale influisce sulla salute mentale sono aumentate a dismisura, e le approfondiremo meglio nel corso del libro. Ma, per fare un esempio: sapevate che i disturbi funzionali intestinali come la sindrome dell’intestino irritabile e le malattie infiammatorie che colpiscono tale organo si manifestano anche con cambi dell’umore, dovuti all’alterazione de...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. 1. Intestino e cervello: una storia d’amore
  5. 2. Depressione: probiotici, omega-3 e dieta mediterranea
  6. 3. Ansia: alimenti fermentati, fibre e il mito del triptofano
  7. 4. PTSD: glutammati, mirtilli e i batteri “vecchi amici”
  8. 5. ADHD: glutine, caseine e polifenoli
  9. 6. Demenza e annebbiamento: microgreens, rosmarino e dieta MIND
  10. 7. Disturbo ossessivo-compulsivo: NAC, glicina e i pericoli dell’ortoressia nervosa
  11. 8. Insonnia e stanchezza: capsaicina, camomilla e diete antinfiammatorie
  12. 9. Disturbo bipolare e schizofrenia: L-teanina, grassi buoni e la dieta chetogenica
  13. 10. Libido: ossitocina, fieno greco e la scienza degli afrodisiaci
  14. 11. Cucinare e mangiare per il cervello
  15. MENU
  16. Appendice A – Carico glicemico dei carboidrati
  17. Appendice B – Fonti comuni di vitamine e di alcuni minerali
  18. Appendice C – Antiossidanti e ORAC
  19. Ringraziamenti
  20. Note
  21. Copyright