Baby gang
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Baby gang

Il volto drammatico dell'adolescenza

  1. 224 pagine
  2. Italian
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Baby gang

Il volto drammatico dell'adolescenza

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Il fenomeno delle baby gang è in costante aumento e la cronaca riporta sempre più spesso episodi di bullismo, di vandalismo, furti e violenze sessuali che hanno per protagonisti adolescenti, ma a volte anche bambini. Non si tratta di un problema circoscritto alle cosiddette "periferie urbane disagiate", ma può riguardare tutte le classi sociali. Che cos'è accaduto? Abbiamo cresciuto una generazione di criminali? La società moderna e le nuove tecnologie hanno travolto i ragazzi davanti agli occhi di genitori assenti o impotenti? E soprattutto: cosa fare di fronte ad atteggiamenti che possono sfociare in azioni che infrangono non solo la legge dello Stato ma anche i princìpi elementari dell'etica umana? Per rispondere a queste domande bisogna capire le dinamiche psicobiologiche che stanno dietro i comportamenti delle baby gang, spiega Vittorino Andreoli in questo libro. Significa parlare di adolescenza, l'età della metamorfosi, dell'insicurezza e della frustrazione, la fase dell'esistenza che segna il distacco dalla famiglia e in cui i coetanei diventano il principale riferimento nel bene e nel male, e in particolare di come il gruppo dei pari età si trasforma in una gang. "Solo considerando il fenomeno in tutte le sue sfaccettature è possibile aiutare gli educatori - in primo luogo genitori e insegnanti - e la società con le sue istituzioni a individuare i modi per prevenirlo e per curarlo." E in questo modo "insegnare a vivere" nel rispetto reciproco e nell'accettazione della fragilità propria e altrui.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2021
ISBN
9788831803373

L’età della metamorfosi

L’adolescenza

L’adolescenza, come abbiamo già ricordato, segue l’età della fanciullezza e inizia con l’attivarsi di un processo biologico, la pubertà, durante la quale giungono a maturazione le ghiandole che producono gli ormoni che regolano lo sviluppo della sessualità: il testosterone nel maschio, gli estrogeni nella femmina. Una diversità inscritta nel codice genetico che determina l’identità di genere.
L’adolescenza è legata dunque a una metamorfosi del corpo, della personalità e delle caratteristiche sociali. Da una conformazione «infantile» si passa alla scoperta e alla percezione di una dimensione maschile o femminile.
Ciò comporta la crescita corporea e l’acquisizione di una forma che contribuisce a esprimere la nuova identità. In questo processo è molto importante la sessualità.
La conclusione della fase adolescenziale è invece legata a una consuetudine sociale ed è pertanto variabile a seconda del momento storico e delle culture; in alcune non è nemmeno considerata.
Per fare qualche esempio, nella nostra storia per lungo tempo si è ritenuto che l’adolescenza terminasse con il servizio militare, con l’arruolamento che regolarmente avveniva al compimento dei 18 anni.
Con l’abolizione del servizio di leva e con il ruolo sempre più importante attribuito all’educazione scolastica, si è affermata la convenzione di prolungare l’adolescenza fino al termine del periodo dell’istruzione, che ammette una variabilità a seconda del percorso scolastico.
La fine della scuola superiore o dell’università sfocia nell’impegno lavorativo che, dal punto di vista sociale, dovrebbe corrispondere all’indipendenza economica, segno dell’acquisizione di un ruolo preciso in seno alla società.
Negli ultimi decenni, tuttavia, il confine tra adolescenza ed età adulta è diventato più labile. La difficoltà di trovare un impiego e persino la previsione che le tecnologie – che hanno permesso di sostituire molti lavori pesanti e ripetitivi con le macchine – non consentano di garantire un’occupazione a tutti hanno fatto sì che il tempo dell’adolescenza si sia allungato fino a definire le cosiddette adolescenze «ritardate» e «interminabili». L’inizio dell’adolescenza è, dunque, abbastanza preciso, mentre la sua conclusione ha un tempo variabile e incerto.
Vi sono società fortemente accelerate che incidono sulla progressione dello sviluppo della personalità e del sapere, mentre altre – più legate alla tradizione e più lente – non lo fanno con altrettanta forza.
Nelle civiltà del passato, con la pubertà il maschio assumeva subito un ruolo all’interno della società: diventava cacciatore o soldato e veniva sottratto alla sfera familiare. L’adolescenza, pertanto, non esisteva e questo è un segno inequivocabile che si tratta di un’«invenzione» sociale.
Nelle specie viventi, nei primati in particolare, lo sviluppo della sessualità cambia completamente la percezione sia del maschio che l’ha raggiunta sia della società in cui vive.
Diversa è la condizione femminile ma, anche in questo caso, non vi sono segni di adolescenza: con l’acquisizione della funzione sessuale, la femmina diventa madre.
Oggi questo periodo della vita (mediamente di 8-10 anni) si presenta con caratteristiche comportamentali che hanno portato a distinguere, come già abbiamo ricordato, una prima e una seconda adolescenza. Nella prima, che dura in genere due o tre anni a partire dalla pubertà, il dato rilevante è il ruolo che assume il gruppo dei pari età con la funzione di aiutare il distacco dalla famiglia, che si manifesta in maniera più acuta quando il coinvolgimento nel gruppo è particolarmente forte. In questa fase, il ragazzo è attratto dalle caratteristiche del gruppo nel suo insieme, e non dalla simpatia verso qualche suo componente, i cosiddetti «migliore amico» o «migliore amica».
Nella seconda adolescenza, anche se il gruppo mantiene la sua importanza, si assiste al nascere della simpatia e della preferenza per qualche membro del gruppo, con cui l’adolescente instaura un legame particolare. Spesso questa «novità» è mobile, nel senso che si tratta di legami transitori e con un turn over molto rapido. Il gruppo, tuttavia, perde la propria forza unitaria e diventa il luogo, il contesto, all’interno del quale si sperimentano relazioni di coppia.
C’è poi uno stadio ulteriore, che si caratterizza per la formazione di una vera e propria coppia. Questo momento, in genere verso i 17-18 anni, segna però anche l’uscita dal gruppo e può, per questo, rappresentare una modalità di vivere l’adolescenza dentro un rapporto affettivo e non una fase propriamente adolescenziale.
Allentare il rapporto di dipendenza dalla famiglia è un risultato difficilissimo da raggiungere, se non esiste un allargamento della propria forza con quella che si ottiene, per riflesso, dal gruppo dei pari età.
Uno dei primi segni è dato dalla critica che la pubertà promuove nei confronti del padre e della madre, ma anche dell’insieme familiare e che si estende all’abitazione, alla condizione economica e ai più piccoli aspetti che possono definire quell’ambito che, fino alla pubertà, era gradito e coinvolgente.
Il gruppo si pone proprio come una struttura alternativa, un riferimento sostanziale, e la famiglia finisce per ridursi a uno spazio banale, una sorta di B&B prolungato (e gratuito).
Rimane per qualche aspetto il conflitto con il padre o con la madre che tende, però, a diluirsi. L’adolescente diventa sempre di più una presenza assente, e la famiglia un luogo di attesa per raggiungere il gruppo o per rimanere collegati con gli strumenti digitali.
È solo con la formazione della coppia che l’adolescente percepisce nuovamente la famiglia, anche se in totale funzione delle esigenze proprie e del partner.
In questo «ritorno» in cui il gruppo dei pari età non ha più una forza di guida, si può parlare di terza fase dell’adolescenza.
Il tema dell’adolescenza mi ha affascinato e impegnato a lungo. Gli ho dedicato scritti come Lettera a un adolescente e La fatica di crescere, e ho analizzato con attenzione e nel dettaglio i conflitti di questo importante periodo della crescita.
Tuttavia, non è adeguato allo scopo di questo volume condurre il discorso al livello di approfondimento di quelle opere. Qui, parlare dell’adolescenza e dei minori ha il senso di un preambolo per affrontare il tema delle baby gang.
Ci dobbiamo perciò limitare a un quadro di riferimento, a una cornice, in cui però l’universo dell’adolescente deve risultare in tutte le sue complesse sfaccettature, per evitare che il grave fenomeno della criminalità di gruppo in età adolescenziale venga, come accade molto spesso, riportato tutto alla dimensione punitiva che, in sostanza, rappresenta soltanto una risposta violenta a un comportamento di gruppo violento. Una modalità che ha una sola variabile: l’intensità della pena commisurata alla gravità dell’azione. Si dimostra così che non si è capito nulla, perché si è dimenticata proprio la complessità di questa fase della vita che non può essere letta soltanto considerando i componenti del gruppo ma anche l’ambiente in cui vivono, il livello di benessere o quello di degrado sociale delle loro famiglie. E bisogna tener anche conto del funzionamento dei sistemi educativi.
Per avvicinarci a questa comprensione, che non equivale a giustificare e ad assolvere per principio, ma significa cercare di individuare gli elementi che portano a compiere un gesto definito inaccettabile dalla legge o dalla morale, occorre scoprire le dinamiche comportamentali, non i gesti. Il compito delle psicologie è proprio indagare il processo mentale e soprattutto affettivo che ha come exitus un’azione in molti casi assimilabile al reato e al crimine.
L’adolescente è influenzato, potremmo persino dire mosso, dagli stimoli che provengono dal gruppo dei pari età, dalla scuola, dal comportamento della famiglia di fronte al suo distacco, dallo status economico, dalla sessualità e dal mondo virtuale.
Tutti questi «influencer» e «promoter» del comportamento adolescenziale hanno una presa immediata su una personalità in metamorfosi e, pertanto, priva ancora di un’identità forte e fondata su costanti. L’adolescente rischia di essere sommerso da un mondo che lo ingloba, come se si trovasse in un mare agitato da tifoni, tsunami e onde gigantesche quando ancora non ha imparato a nuotare.
La personalità è sempre legata alle esperienze, al luogo dove accadono, al bisogno di aiuto, e il pensiero va ai barconi dei migranti o agli imperativi di una società che si rifiuta persino di soccorrerli nel Mediterraneo.
Anche tutto ciò che proviene, colorato e pieno di fascino, dal mondo digitale colpisce la mente di un adolescente senza essere elaborato e sistematizzato. È un’invasione di mostri. Sul piano della formazione di un adolescente, l’eccesso di colore non si differenzia dalle tinte plumbee di un mare in tempesta.

Il gruppo dei pari età

Ci sono una serie di concetti che in queste pagine ho ribadito più volte e non mi stancherò di ripetere. Uno di questi è che il gruppo dei pari età è utile al processo di crescita dell’adolescente. È su questo gruppo che il ragazzo organizza la sua nuova proiezione, spostandola dal gruppo famiglia. Si tratta di un passaggio delicato, ma necessario affinché il singolo entri a far parte di una dimensione sociale più ampia. Il gruppo dei coetanei rappresenta un luogo transitorio e, come tale, temporaneo.
Questo aspetto presenta alcune analogie con la famiglia: se l’adolescenza si rifugiasse totalmente nell’ambito familiare, rappresenterebbe una continuazione dell’età infantile, una fucina per rimanere sempre bambino, un «bamboccione» incapace di affrontare le difficoltà e le responsabilità.
Allo stesso modo, se la fase adolescenziale centrata sul gruppo dei pari età si stabilizzasse, ciò comporterebbe un blocco della crescita, si resterebbe sempre adolescenti senza passare mai alle successive fasi dell’adolescenza né all’età che abbiamo chiamato del giovane adulto.
Nel periodo in cui il gruppo dei pari età diventa il principale punto di riferimento di un ragazzo, deve essere chiaro ai genitori che si tratta di uno spostamento mentale dell’affettività e del pensiero: si spostano i legami significativi e si comincia a organizzare una visione della realtà che non è più quella familiare. Non è un distacco fisico. Il corpo resta in famiglia, ma è come se fosse disanimato. La mente è altrove.
Ne consegue che a poco a poco l’adolescente si identifica con il gruppo dei coetanei. Il padre e la madre devono capire che criticare il gruppo equivale a criticare il proprio figlio, combatterlo significa fare guerra al proprio figlio.
Ciò non si traduce affatto nell’idea che il gruppo debba essere esaltato o accettato, ma semplicemente richiede di venire conosciuto per avere elementi da usare qualora lo si voglia sostenere o criticare di fronte al proprio figlio.
I genitori dovrebbero prendere a esempio la figura del «consulente», che guida la persona a cui si dedica, facendo in modo che l’indirizzo da lui suggerito appaia come una scelta autonoma.
È evidente che la famiglia, inconsapevolmente, tende a procrastinare l’atmosfera dell’età infantile e ciò predispone a una critica negativa e persino disfattista.
Se l’adolescente in questa fase segue l’imperativo dell’«essere contro», davanti all’opposizione dei genitori tale tendenza si acutizza. Il risultato è che il clima in casa diventa ancora più teso perché si finisce per rispondere alla violenza con la violenza, cadendo così in una spirale di aggressività reciproca.
Deve essere chiaro che tutto ciò che si sostiene contro il gruppo viene vissuto dal figlio come un attacco personale.
La strategia da adottare può fondarsi solo sulla conoscenza del gruppo e sulla posizione del ragazzo al suo interno.
E c’è un unico modo per metterla in atto: consentire al gruppo e ai suoi componenti singolarmente di frequentare la casa, non solo come espressione di apertura ma anche come modalità di conoscenza diretta. Se si accolgono gli amici, si incoraggia il ragazzo a raccontare della vita del gruppo, e questa diventa la via per capire il grado della sua integrazione. Non è facile, ma nessuno ha mai sostenuto che educare un adolescente lo sia.
Se questo avviene, allora è possibile monitorare due paradigmi comportamentali di fondamentale importanza.
Il primo è il grado di dipendenza che il proprio figlio vive nel gruppo dei pari età. Il secondo è la comparazione tra lo stile di vita nel e del gruppo con quello in famiglia.
La dipendenza ha come conseguenza l’accettazione acritica di tutto ciò che il gruppo fa. Se c’è un leader, di tutto ciò che egli ordina.
Il secondo paradigma è ancor più significativo, poiché attesta il doppio comportamento del ragazzo.
Nel gruppo si comporta in modo apparentemente inconciliabile con la sua condotta al di fuori di quel contesto. Può per esempio assumere droghe oppure compiere atti ai limiti della delinquenza, come quelli delle baby gang.
La duplicità è l’indice inequivocabile che un adolescente non ha ancora raggiunto un’identità, lo stadio che comporta una certa coerenza nel rispettare convinzioni che diventano automaticamente principi guida in ogni iniziativa.
Non è in sé un elemento drammatico, poiché l’adolescenza rappresenta un percorso teso proprio a definire una visione del mondo e le regole del comportamento sociale. Diventa grave quando il ragazzo conduce una vera e propria «doppia vita», che non indica un processo di identificazione, ma si fonda semplicemente su una falsificazione, un vero processo psicopatologico che porta alla «doppia personalità» o al quadro della «personalità multipla».
Ecco perché la strategia che conduce alla conoscenza della dinamica del gruppo dei pari età del proprio figlio passa sempre attraverso la comunicazione diretta, che va mantenuta, nella consapevolezza del contrasto in cui la famiglia è posta dal processo di crescita.
Questa strada è esattamente opposta a ogni genere di atteggiamento inquisitorio, che in alcuni casi arriva persino a servirsi di investigatori privati o di sistemi digitali che permettono di seguire come segugi i movimenti del proprio figlio. Sono mezzi ambigui che vengono facilmente scoperti dai ragazzi e causano divisioni ancora più profonde e baratri nella comunicazione tra genitori e figli.
Altrettanto inutile è cercare di impedire all’adolescente di frequentare gli amici promuovendo alternative sostitutive attraenti e gratificanti o cercando di tenerlo in casa.
È un tentativo che fallisce sempre, e induce l’adolescente a ogni sorta di falsificazioni, fino alle menzogne più incredibili.
Il modo peggiore per cercare di tenerlo in casa è certamente quello di controllare i compiti assegnati a scuola, e sollecitarlo a prepararsi per le interrogazioni programmate o a offrirsi volontario per recuperare un’eventuale insufficienza. C’è sempre tempo per studiare le materie in cui si è più deboli, mentr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Baby gang
  4. Introduzione
  5. Il gruppo
  6. L’età della metamorfosi
  7. Le azioni delle baby gang
  8. Cosa fare?
  9. Copyright