Senza rimorso
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Senza rimorso

  1. 780 pagine
  2. Italian
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Senza rimorso

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Veterano del Vietnam ed ex-membro dei Navy Seal, John Kelly è ormai vedovo quando incontra Pam, ex tossicodipendente, di cui si innamora. Insieme riescono a ricominciare, a riprendere in mano le proprie esistenze. Ma il giorno in cui deve testimoniare contro i suoi spacciatori, la ragazza viene rapita, torturata e brutalmente uccisa e John Kelly resta in fin di vita. La morte della donna riaccende nell'ex soldato un istinto predatore e omicida, e in quel momento comincia per lui una feroce caccia all'uomo: contro il cartello della droga, per portare a termine la sua vendetta personale, e in Vietnam, dov'è stato richiamato in missione per salvare dei militari tenuti in ostaggio. John Kelly diventa una macchina da guerra che sfida ogni pericolo ed è pronto a fare tutto senza rimorsi, ed è così che lo nota un agente della CIA, l'uomo che permetterà al soldato John Kelly di morire per far nascere il leggendario e spietato agente John Clark, il lato oscuro dell'eroe e patriota americano Jack Ryan. Tra inseguimenti, operazioni segrete e combattimenti all'ultimo sangue, in Senza rimorso Tom Clancy ci regala un'avventura mozzafiato che racconta di cosa è capace un uomo preso a schiaffi dalla vita, che si muove su un filo sottile in bilico tra giustizia e vendetta.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2021
ISBN
9788831804066
1

Enfant perdu

Maggio

Non scoprì mai che cosa lo spinse a fermarsi. Accostò la Scout quasi senza pensarci. Lei non aveva il pollice alzato per cercare un passaggio. Se ne stava semplicemente lì, in piedi, ferma sul ciglio dell’autostrada, a guardare le macchine che sfrecciavano lasciandosi dietro nuvole di polvere e di fumo. La sua era la classica posa da autostoppista: una gamba tesa, l’altra leggermente piegata. Indossava abiti molto vecchi, e uno zaino le penzolava da una spalla. L’aria spostata dalle auto in transito le scompigliava i capelli in continuazione. Il suo viso sembrava del tutto indifferente, ma Kelly lo notò solo quando aveva già schiacciato il pedale del freno col piede destro e stava ormai svoltando nello spiazzo non asfaltato. Si chiese se non era il caso di immettersi di nuovo in carreggiata, ma poi decise che ormai si era già impegnato a fare qualcosa, anche se non sapeva esattamente che cosa. La ragazza seguì con lo sguardo il veicolo bianco e, come vide Kelly osservarla dallo specchietto retrovisore, fece spallucce e poi, senza dar segno di particolare entusiasmo, si diresse verso la macchina. Il finestrino del passeggero era abbassato; un paio di secondi e lei era già lì.
«Dove sta andando?» domandò.
Kelly fu preso alla sprovvista. Pensava di dover essere lui a fare la prima domanda: «Vuole un passaggio?». Esitò qualche istante, esaminandola. Aveva ventun anni, forse, ma ne dimostrava di più. La sua faccia non era sporca, ma neanche pulita, forse per il vento e la polvere che c’erano in autostrada. Indossava una camicia da uomo che non era stata stirata da mesi, e aveva i capelli in disordine. Ma quello che lo colpì maggiormente furono i suoi occhi... di un grigio-verde bellissimo, sembravano oltrepassarlo con il loro sguardo, per fissarlo su... “Su che cosa?” si domandò. L’aveva già visto quello sguardo, ma solo in alcuni uomini. Uomini stanchi. Si ricordò di averlo avuto anche lui, ma neppure allora era riuscito a scoprire che cosa vedeva. Non gli era mai venuto in mente che anche adesso il suo sguardo non era poi così diverso.
«Torno alla mia barca» rispose infine, senza sapere che altro dire. E, in un baleno, l’espressione degli occhi di lei cambiò completamente.
«Ha una barca?» gli chiese. I suoi occhi si animarono come quelli di un bambino, e il loro sorriso illuminò anche il resto del suo volto, come se lui le avesse appena fornito la risposta a un quesito importantissimo. Kelly notò che aveva un buchino delizioso tra i due incisivi superiori. La domanda della ragazza esigeva una risposta, e questa venne da sé.
«Un dodici metri da diporto, a motore.» Indicò il bagagliaio della Scout, stipato di scatoloni di provviste. «Vuol venire con me?» le domandò, sempre senza riflettere.
«Certo!» Senza aspettare che lui aggiungesse altro, aprì la portiera con uno strattone e buttò lo zaino sul tappetino davanti al sedile del passeggero.
Immettersi di nuovo in carreggiata non fu un’impresa facile. La Scout non era fatta per la guida in autostrada, e sia il passo sia la potenza del motore erano troppo ridotti; inoltre, Kelly teneva sempre la trazione integrale inserita, e anche questo non aiutava molto. Non gli rimase altro da fare che aspettare che si aprisse un varco e infilarcisi, maledicendo in cuor suo il minuscolo motore a quattro cilindri e le pessime sospensioni. Si concentrò sulla guida. Doveva farlo, dato che la macchina era così lenta che poteva andare solo sulla corsia di destra, e a ogni svincolo c’era gente che usciva o entrava: doveva stare attento perché la Scout non era abbastanza scattante da riuscire a evitare tutti gli idioti diretti al mare o chissà in quale altro diavolo di posto dove si può trascorrere un weekend di tre giorni.
La sua mente gli ricordò che lui aveva chiesto alla ragazza “vuol venire con me”, e che lei aveva risposto “certo”, poi gli domandò: Perché cavolo l’hai fatto? Kelly, che non aveva una risposta valida, sfogò la sua frustrazione sbuffando per via del traffico. Era una domanda semplicissima, e qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto conoscere anche la risposta. Ma... ma non gliene fregava niente di quella domanda, anzi, di nessuna domanda. A dire il vero, non era neppure sicuro di quali fossero le cose che gli importavano (o se ci fosse qualcosa che gli importasse davvero), e così zittì la sua voce interiore e si mise a badare alla guida, mentre il suo cervello continuò a rimuginare sull’accaduto (dopotutto, la nostra mente non ubbidisce quasi mai agli ordini che lei stessa ha impartito), producendo un rumore di sottofondo fastidioso quanto quello del traffico.
Il weekend del Memorial Day, pensò Kelly. Le altre auto erano piene di gente che stava tornando dal lavoro, o che era già passata da casa a prendere il resto della famiglia. Volti di bambini si affacciavano ai finestrini posteriori. Qualcuno faceva anche “ciao” con la mano, ma lui fingeva di non accorgersene. Era duro essere soli, specialmente quando ci si ricordava di non esserlo sempre stati.
Kelly si passò la mano sul mento, e l’impressione di toccare della carta vetrata che provò gli disse che non si era rasato. Anche la mano era sporca. Non c’era da meravigliarsi che i commessi del supermercato l’avessero trattato in quel modo. Ti stai lasciando andare, Kelly.
Be’, e chi se ne frega?
Si voltò per guardare la sua ospite. Si ricordò che non conosceva neppure il suo nome. Era incredibile, pensò. Lei sarebbe andata con lui, sulla sua barca (o no?), e lui non sapeva neppure come si chiamasse. Ma era poi così incredibile? Confessò a se stesso che non ne era sicuro. Lei se ne stava lì e guardava davanti a sé con un’espressione serena, diversa da quella di prima perché adesso stava osservando lo scorrere regolare delle colonne di auto. Aveva un bel viso, di profilo. Certo, aveva bisogno di darsi una ripulita, ma anche lui, del resto. Era magra (forse snella era il termine più adatto, pensò Kelly, rimettendosi a guardare la strada), e il colore dei suoi capelli era tra il biondo e il castano. Indossava un paio di jeans sdruciti e bucati in più punti. Li aveva sicuramente comprati in uno di quei negozi dove vendevano jeans già scoloriti o trattati sa il diavolo come e te li facevano anche pagare più cari. La moda femminile era sempre stata un mistero per lui, ma un mistero che non lo aveva mai affascinato, neppure ai tempi in cui il mondo gli interessava ancora, a differenza di adesso.
Cristo, come hai fatto a ridurti così? si chiese. Aveva una risposta, ma era solo una spiegazione incompleta. Parti diverse di quell’essere che rispondeva al nome di John Terrence Kelly conoscevano aspetti diversi dell’intera faccenda, ma in qualche modo le varie tessere non volevano ricomporsi in un unico mosaico, e così, quello che una volta era un uomo forte, intelligente, deciso, adesso era ridotto a pezzi e brancolava nel buio, confuso... e disperato? Un pensiero lo rassicurò: si ricordò dell’uomo che era un tempo, ricordò tutte le disavventure a cui era sopravvissuto, quando non avrebbe mai pensato di farcela. Forse il peggio era non riuscire a capire che cosa si fosse inceppato, in lui. Certo, sapeva benissimo che cos’era successo, ma quelli erano stati tutti eventi esterni. Poi, in qualche modo, la sua capacità di comprendere e decifrare il mondo lo aveva abbandonato, lasciandolo vivo, frastornato e senza uno scopo nella sua esistenza. Aveva inserito il pilota automatico, e lo sapeva, ignorando però dove l’avrebbe portato il destino.
La ragazza taceva, non gli raccontava niente di sé e di quello che voleva da lui e dalla vita. Non che questo gli importasse, si disse, però aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che doveva sapere. Una sensazione che lo colse di sorpresa; un inquietante segnale d’avvertimento lanciato da quella parte del suo cervello che aveva la precedenza rispetto alle funzioni intellettuali, e di cui lui si fidava ciecamente. Un noto brivido premonitore gli percorse la schiena e arrivò fino agli avambracci, ma l’unico pericolo che Kelly riuscì a individuare, guardandosi attorno, fu qualche auto dal motore troppo potente e dal guidatore con troppo poco cervello. Scrutò in tutte le direzioni, senza riuscire a trovare nulla, ma quella strana impressione non voleva abbandonarlo, e si sorprese a controllare lo specchietto retrovisore senza un motivo apparente, mentre la sua mano sinistra scivolò giù, tra le sue gambe, sotto il sedile, finché non incontrò il calcio striato della Colt automatica nascosta lì sotto. Prima ancora di accorgersene, lo stava già accarezzando.
Ma che diavolo stai facendo? Ritrasse la mano e scacciò l’idea, contraendo il viso in una smorfia che esprimeva tutta la sua rabbia per quelle sensazioni confuse e quelle reazioni illogiche. Tuttavia, continuò a controllare lo specchietto retrovisore per un’altra ventina di minuti: normale routine quando si guida, si disse, mentendo a se stesso.
Il porticciolo era un brulichio di attività. Per via del weekend di tre giorni, naturalmente. Le auto schizzavano per il piccolo parcheggio male asfaltato, dato che tutti volevano evitare di restare intrappolati nel traffico del venerdì, quello stesso traffico che anche loro, ovviamente, contribuivano a creare. Perlomeno, qui la Scout si trovava a proprio agio. L’abitacolo alto e l’ottima visibilità furono di grande aiuto al suo conducente nelle manovre necessarie per arrivare fino alla poppa della Springer: Kelly curvò, mise la retro e si fermò proprio davanti al posto dove aveva lasciato la sua barca sei ore prima. Parcheggiare, alzare i finestrini e chiudere a chiave la macchina fu per lui un vero e proprio sollievo. La sua avventura in autostrada era terminata, e la salvezza – un oceano senza corsie – era ormai vicina.
La Springer era un’imbarcazione da diporto a motore diesel, un dodici metri fuoriserie, con scafo e interni simili a quelli di un Pacemaker Coho. Non era una barca particolarmente bella, ma aveva due cabine piuttosto grandi e, volendo, se ne sarebbe potuta ricavare facilmente anche una terza dal salone principale. Kelly non era certo il tipo che faceva economie sui suoi attrezzi da lavoro: i diesel erano potenti, ma non sovralimentati, perché preferiva un motore grande a regime regolare a uno piccolo sotto sforzo; c’erano anche un radar, ogni sorta di apparecchiature radio consentite dalla legge, e tutti gli strumenti di navigazione di cui in genere sono dotate le barche per la pesca d’altura. Lo scafo, in vetroresina era immacolato, e sulla battagliola cromata non c’era neppure la più piccola traccia di ruggine, anche se Kelly aveva deliberatamente evitato di lucidarla (come amavano invece fare molti altri proprietari di barche) perché trovava che non ne valesse la pena. Dopotutto, la Springer era un’imbarcazione da lavoro o, perlomeno, avrebbe dovuto esserlo.
Kelly e la sua ospite scesero dalla macchina. Lui aprì il bagagliaio, tirò fuori gli scatoloni e incominciò a caricarli a bordo. Come vide subito, la sua giovane amica aveva abbastanza buon senso da starsene alla larga.
«Ehi, Kelly!» gridò all’improvviso una voce proveniente dalla plancia.
«Allora, Ed, hai scoperto cos’era?»
«L’indicatore funzionava male. Le spazzole del generatore erano un po’ consumate, e così le ho sostituite, Jtta penso che fosse tutta colpa dell’indicatore. Ho cambiato anche quello.» Ed Murdock, il capomeccanico del cantiere, incominciò a scendere la scaletta, e si accorse della presenza femminile quando era ormai giunto quasi alla fine; dalla sorpresa inciampò sull’ultimo gradino e ci mancò poco che non finisse lungo disteso. Squadrò velocemente la ragazza con uno sguardo d’approvazione.
«Nient’altro?» chiese Kelly, seccamente.
«Ho riempito i serbatoi e scaldato i motori» rispose Murdock, voltandosi verso il suo cliente. «Ti ho messo tutto in conto.»
«Bene, grazie Ed.»
«Ah, Chip mi ha detto di avvisarti che qualcun altro ha fatto un’offerta, in caso tu ti sia deciso a vendere...»
Lui non gli lasciò terminare la frase: «Sai benissimo che non lo farò mai».
«È un gioiello, Kelly» fece allora Murdock, che intanto stava raccogliendo i suoi attrezzi. Poi se ne andò, sorridendo soddisfatto per il doppio senso.
A Kelly ci volle qualche secondo per capire la battuta. Emise una specie di tardivo grugnito per segnalare il suo moderato apprezzamento mentre caricava l’ultimo scatolone.
«Che cosa posso fare?» chiese la ragazza. Era rimasta lì in piedi tutto il tempo, e Kelly aveva l’impressione che stesse tremando leggermente, e che stesse cercando di nasconderlo.
«Si metta a sedere lassù» le disse, indicando la plancia. «Mi ci vorranno un paio di minuti per mettere in moto.»
«D’accordo» fece lei, e gli rivolse un sorriso che avrebbe sciolto anche un iceberg, con l’aria di sapere benissimo quello di cui aveva bisogno il suo ospite.
Lui andò a poppa, verso la sua cabina, felice di essere il tipo che amava tenere sempre in ordine la sua barca. Anche la cabina del capitano, a prua, era a posto, e Kelly si sorprese a osservare la propria immagine riflessa nello specchio e a domandarsi: “Okay”, e adesso che cazzo vuoi fare?
La risposta non fu immediata, ma le convenienze gli suggerirono che forse era il caso di darsi una rinfrescata, cosa che fece subito. Due minu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Senza rimorso
  4. Prologo. Luoghi d’incontro
  5. 1. Enfant perdu
  6. 2. Incontri
  7. 3. Prigionia
  8. 4. Prima luce
  9. 5. Impegni
  10. 6. Imboscata
  11. 7. Guarigione
  12. 8. Maschera
  13. 9. Fatica
  14. 10. Patologia
  15. 11. Fai da te
  16. 12. Preparativi
  17. 13. Appuntamenti
  18. 14. Lezioni di teoria
  19. 15. Lezioni di pratica
  20. 16. Esercitazioni
  21. 17. Complicazioni
  22. 18. Interferenze
  23. 19. Pietà e rischi
  24. 20. Depressurizzazione
  25. 21. Possibilità
  26. 22. Cariche
  27. 23. Altruismo
  28. 24. Saluti
  29. 25. Partenze
  30. 26. Spostamento
  31. 27. Penetrazione
  32. 28. Primo a entrare
  33. 29. Ultimo a uscire
  34. 30. Agenti di viaggio
  35. 31. Il cacciatore è a casa
  36. 32. La preda è a casa
  37. 33. Fascino mortale
  38. 34. Caccia per appostamento
  39. 35. Riti di passaggio
  40. 36. Pericolo droga
  41. 37. Il giudizio di Dio
  42. Epilogo. 12 febbraio 1973
  43. Copyright