«Allora, com’erano gli Who?» chiese Siobhan. Era domenica mattina tardi e aveva invitato Rebus per il brunch. Il contributo di lui: una confezione di salsicce e quattro panini farinosi. Lei li aveva messi da parte e aveva preparato le uova strapazzate, guarnendo ciascuna porzione con fettine di salmone affumicato e capperi.
«Fantastici» rispose Rebus, esiliando con la forchetta i capperi sul bordo del piatto.
«Uno almeno dovresti provarlo» lo sgridò lei.
Lui arricciò il naso e ignorò il consiglio. «Anche i Floyd» disse invece. «Non hanno nemmeno litigato.» Erano seduti l’uno di fronte all’altra al tavolo pieghevole del soggiorno. Siobhan abitava in un palazzo in una traversa di Broughton Street, a cinque minuti a piedi da Gayfield Square. «E tu?» chiese lui guardandosi intorno. «Nessun segno di bisboccia del sabato sera.»
«Magari!» Il sorriso si fece pensoso. Gli raccontò di Niddrie.
«Sei stata fortunata a uscirne intera» commentò Rebus.
«C’era anche la tua amica Mairie, sta scrivendo un pezzo su Tench, il consigliere. Ha detto qualcosa a proposito di certi fogli che ti ha mandato.»
«Richard Pennen e Ben Webster» confermò lui.
«Ne hai ricavato qualcosa?»
«Come no, Shiv. Ho anche cercato di telefonare a qualche Guest e Keogh… solo buchi nell’acqua. Era meglio se mi mettevo a correre anch’io dietro alle felpe nere.» Svuotato il piatto, capperi a parte, si era rilassato contro lo schienale della sedia. Aveva voglia di una sigaretta, ma sapeva di dover aspettare che anche lei finisse. «Ah, e si dà il caso che anch’io abbia fatto un incontro interessante.»
Così le raccontò di Cafferty e, quando ebbe finito, il piatto di lei era vuoto.
«Quell’uomo è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno» sentenziò Siobhan alzandosi.
Rebus fece il gesto di offrirsi per sparecchiare, ma lei gli indicò la finestra. Allora sorrise e andò ad aprirla. Mentre si chinava per accendere, l’aria fresca si insinuò all’interno. Ebbe cura di dirigere il fumo rigorosamente verso la fessura, e fra un tiro e l’altro tenne la sigaretta fuori dal davanzale.
Regole di Siobhan.
«Altro caffè?» chiese lei dalla cucina.
«Versa, versa.»
Lei tornò con una caffettiera appena fatta. «Più tardi c’è un altro corteo. Quelli di Stop the War.»
«Un po’ tarduccio per fermarla, mi verrebbe da dire.»
«E il G8 Alternativo… Parla George Galloway.» Rebus sbuffò col naso e spense la sigaretta. Nel frattempo Siobhan aveva sgombrato il tavolo e preso una delle scatole che gli aveva chiesto di portare.
Il caso Cyril Colliar.
L’offerta di paga doppia – approvata da James Corbyn – aveva convinto quelli della Scientifica a mettere insieme una squadra, già partita alla volta del Clootie Well. Siobhan li aveva pregati di non dare troppo nell’occhio: «Non fatevi fiutare dall’Investigativa di zona». Dopo aver saputo che quelli di Stirling avevano già lavorato sul sito due giorni prima, uno dei tecnici di Edimburgo si era fatto una risata.
«Quindi adesso tocca ai grandi» aveva detto.
Siobhan non nutriva molte speranze. Però, se venerdì non avevano fatto altro che raccogliere prove di un solo delitto, adesso tutto indicava che i delitti erano tre, e dunque valeva la pena di ripassare il luogo al setaccio.
Cominciò a sfilare dossier e faldoni dalle scatole. «Questa roba l’hai già guardata?» gli domandò.
Rebus chiuse la finestra. «Sì, ma ho scoperto solo che Colliar era veramente un bastardo. Facile che avesse più nemici che amici.»
«E quante probabilità di cadere vittima di un omicidio casuale?»
«Poche, lo sappiamo tutti e due.»
«Eppure sembra essere successo proprio questo.»
Rebus alzò un dito. «Ehi, forse stiamo dando troppo peso a questa maglietta e a questi pantaloni: non sappiamo nemmeno di chi siano.»
«Ho cercato Trevor Guest nel registro degli scomparsi.»
«E?» Siobhan scosse il capo. «Niente.» Buttò la scatola vuota sul divano. «È una domenica mattina di luglio, John… non c’è molto che possiamo fare prima di domani.» Lui annuì. «Il bancomat di Guest?»
«È della HSBC. A Edimburgo hanno un’agenzia sola, e comunque poche filiali in tutta la Scozia.»
«E questo è un bene o un male?»
Lei sospirò. «Sono riuscita a parlare con uno dei centralini. Mi hanno detto di chiamare in agenzia lunedì mattina.»
«Non c’è un qualche codice di filiale sulla carta?»
«Certo, ma non è il tipo di cosa che ti dicono al telefono.»
Rebus sedette al tavolo. «Il Keogh’s Garage?»
«Il servizio informazioni abbonati ha fatto il possibile, ma neanche sul web c’è niente.»
«Nome irlandese.»
«Sugli elenchi ne compare una decina.»
Lui la guardò e sorrise. «Hai controllato anche tu?»
«Subito dopo aver congedato la squadra della Scientifica.»
«Complimenti.» Rebus aprì un faldone, ma dentro non c’era nulla che non avesse già visto.
«Ray Duff mi ha promesso che oggi andava in laboratorio.»
«Be’, non vuole perdersi il premio…»
Lei gli scoccò un’occhiataccia e cominciò a svuotare l’ultima scatola. Di fronte a quella mole di carte fu presa dallo sconforto.
«Giorno di riposo, eh?» ironizzò Rebus. Un cellulare si mise a squillare.
«È il tuo» disse Siobhan.
Lui raggiunse il divano e recuperò il telefonino dalla tasca interna della giacca. «Rebus» rispose. Rimase in ascolto un istante, rabbuiandosi. «È perché non ci sono…» Di nuovo in ascolto. «No, vengo io. Dov’è che devi andare?» Occhiata all’orologio. «Tre quarti d’ora?» Sguardo a Siobhan. «Ci sarò.»
Richiuse il telefono con uno scatto.
«Cafferty?» indovinò lei.
«Come fai a saperlo?»
«Non so, ti fa qualcosa… alla voce e alla faccia. Che voleva?»
«È a casa mia. Dice che deve assolutamente mostrarmi una cosa, e qui non lo faccio venire di certo.»
«Te ne sono grata.»
«Ha in ballo un affare immobiliare, sta andando a vedere un terreno.»
«Allora ti accompagno.»
Rebus sapeva che era inutile opporsi.
Queen Street… Charlotte Square… Lothian Road. La Saab di Rebus, Siobhan seduta dalla parte del passeggero e aggrappata alla maniglia con la sinistra. Erano stati fermati a diverse barriere, costretti a mostrare i tesserini ai vari agenti in uniforme. In città stavano arrivando rinforzi: la domenica era il giorno previsto per il grande esodo delle forze dell’ordine verso nord. Siobhan lo aveva appreso nei due giorni passati con Macrae e aveva riferito nei dettagli a Rebus.
«Splendida materia per uno di quei noiosissimi quiz televisivi, Shiv» aveva ribattuto lui.
Mentre in Lothian Road aspettavano il verde a un semaforo, scorsero un assembramento davanti alla Usher Hall.
«Il summit alternativo» disse Siobhan. «Quello in cui dovrebbe parlare Bianca Jagger.»
Lui levò gli occhi al cielo. Lei ricambiò con un cazzotto sulla coscia.
«Ma l’hai almeno vista in tivù, la marcia? Duecentomila persone!»
«Sono contento che si siano godute un po’ d’aria» commentò lui. «Ma questo non cambia il mondo in cui vivo io.» La guardò. «E a Niddrie, ieri sera? Le vibre positive sono riuscite ad arrivare fin lì?»
«Erano solo una decina, John, contro duemila degli altri accampati.»
«Comunque io so su chi punterei…»
Dopo di che rimasero in silenzio fino a Fountainbridge.
Era il vecchio quartiere di fabbriche e distillerie in cui Sean Connery aveva passato l’infanzia, ma ormai stava cambiando. Le industrie erano praticamente scomparse e al loro posto si allungavano i tentacoli del centro direzionale e finanziario cittadino. Nuovi bar di tendenza aprivano, uno degli abbeveratoi preferiti di Rebus era già stato demolito e presto forse sarebbe toccato anche all’adiacente sala bingo, il Palais de Danse. Il canale, un tempo una semplice fogna a cielo aperto, era stato ripulito e adesso ci andavano allegre famigliole in bici a dare il pane ai cigni. Non lontano dalla multisala Cine World c’erano i cancelli sbarrati di una distilleria inattiva. Rebus si fermò e diede un colpo di clacson. Da dietro un muro sbucò un giovanotto in giacca e cravatta, che aprì il lucchetto e un battente del cancello, giusto quanto bastava per far passare la Saab.
«Il signor Rebus?» si informò attraverso il finestrino del conducente.
«In persona.»
Il giovanotto attese, nel caso volesse presentargli anche Siobhan. Poi fece una risatina nervosa e gli porse un dépliant. Prima di passarlo alla collega, Rebus lo scorse velocemente.
«Lei è un agente immobiliare?»
«Lavoro per lo Studio Bishops, signor Rebus. Immobili commerciali. Questo è il mio biglietto…» Si infilò una mano in tasca.
«Cafferty dov’è?»
Quel tono rese il giovanotto ancora più nervoso. «Ha parcheggiato dietro.»
Rebus non aspettò di sentire altro.
«Ovviamente pensa che tu sia uno dei suoi» commentò Siobhan. «E dal sudore che gli imperlava il labbro direi che sa perfettamente chi è il nostro.»
«Comunque sia, la sua presenza qui è un bene.»
«Perché?»
Rebus si voltò a guardarla. «Perché significa che è meno probabile che sia una trappola.»
L’auto di Cafferty era una Bentley GT blu scuro. Chino sul cofano,...