Rebus era parcheggiato in Gayfield Square, dall’altro lato rispetto alla stazione di polizia, con una buona visuale sulle troupe dei notiziari: secondo l’orario d’arrivo, c’era chi montava le telecamere e chi le smontava. I giornalisti percorrevano il marciapiede con i telefonini incollati alle orecchie, tenendosi a rispettosa distanza gli uni dagli altri per non essere tentati di origliarsi a vicenda; i fotografi, invece, si chiedevano come trarre qualcosa di guardabile dalla tetra facciata della stazione. Rebus aveva visto un discreto numero di colleghi salire gli scalini ed entrare alla spicciolata: alcuni li aveva riconosciuti – Charlie Reynolds, per esempio – mentre altri gli erano nuovi ma avevano comunque facce da Investigativa, quindi erano stati aggregati alla squadra. Diede un morso al panino bacon e salsiccia e masticò piano. Con il sandwich aveva comprato anche caffè, succo d’arancia e giornale; sfogliandolo aveva trovato notizie fresche del povero Litvinenko – l’avvelenamento rimaneva avvolto nel mistero – ma nemmeno una parola su Todorov e solo un trafiletto su Charles Riordan, che in calce rimandava alla pagina dei necrologi. Apprese così che negli anni ’80 Riordan aveva partecipato a diverse tournée di gruppi rock, tra i quali i Big Country e i Deacon Blue; secondo il virgolettato di un musicista, «Ray era capace di missarti una cosa dolcissima in un hangar dell’aeroporto.» E prima ancora aveva fatto il session man, suonando in dischi dei Nazareth, di Frankie Miller e dei Sutherland Brothers: quindi Rebus possedeva sicuramente qualche vinile con il suo nome sul retro.
L’avessi saputo, si disse.
Con lo sguardo rivolto al circo giornalistico, si domandò chi avesse fatto trapelare la notizia che i decessi di Todorov e Riordan erano collegati: ma non era poi così importante, presto o tardi sarebbe venuto fuori. Certo lui ci aveva perso in influenza: gli serviva un piccolo favore, e poter offrire in cambio quel bocconcino gli avrebbe fatto comodo…
Ancora nessun segno della sua preda, comunque. Però si era avvicinata una macchina dall’aria ufficiale e ne era spuntato Corbyn, che poi si era fermato per un paio di scatti in alta uniforme, berretto rigido e guanti di pelle nera. La scusa era quella di rialzare il morale della truppa, ma Rebus sapeva che Corbyn era al corrente della presenza mediatica: niente ravvivava l’umore di un capo della polizia come un raduno di giornalisti famelici. Gli avrebbero mangiato in mano. Compose il numero di Siobhan sul telefonino.
«Allarme Alte Sfere» la avvisò.
«Chi e dove?»
«Corbyn in persona, in posa per la stampa. Dagli due minuti e te lo ritrovi addosso.»»
«Quindi sei qui sotto anche tu…»
«Non preoccuparti, non mi vede. Come vanno le cose?»
«Dovremo parlare con Nancy Sievewright per l’ennesima volta.»
«Il bancario la tormenta ancora?».
«Non che io sappia.» Siobhan s’interruppe un istante. «E tu che altro combini, a parte il servizio di sorveglianza mattutina!»
«A dirti la verità sono contento di non dover venire in ufficio, stamani… così non devo competere con inquirenti del calibro di Rodi-culo Reynolds.»
«Taci.»
«Mi è parso di veder entrare anche il giovane Todd, abito stirato e tutto quanto…»
«Infatti.»
«Pensavo lo avessi mollato, ora che c’è di mezzo anche suo fratello.»
«Phyl la pensa come te, ma Todd ha il suo daffare con duecento ore di sedute della Commissione incise su nastro da Charles Riordan, il che dovrebbe tenerlo fuori dai guai.»
«E il capo, hai informato anche lui?»
«Questi sono fatti miei e non tuoi.»
Rebus fece un fischio e osservò Corbyn che guadagnava l’ingresso dopo un ultimo saluto ai cronisti. «È entrato» disse al microfono.
«Allora devo fare la faccia sorpresa.»
«Piacevolmente sorpresa, Shiv. Magari sono altri dieci punti.»
«Parlerò con lui della tua sospensione.»
«Non servirà a niente.»
«Comunque sia…» Siobhan prese fiato. «Parli del diavolo…» Il cellulare tacque. Rebus lo chiuse e si mise a tamburellare le dita sul volante.
«Ma dove sei, Mairie?» borbottò. Non appena ebbe pronunciato quelle parole, tuttavia, ecco Mairie Henderson sbucare dall’angolo di East London Street, diretta a passo elastico verso la stazione di polizia: con un bloc-notes in una mano, penna e dittafono nell’altra, una grossa cartella nera a tracolla. Rebus suonò il clacson ma lei non ci badò. Lui ci riprovò, ancora una volta invano; non volendo attirare l’attenzione si arrese, smontò dalla macchina e ci si piazzò accanto con le mani in tasca. Mairie si era messa a parlare con un collega; poi bloccò un reporter e gli chiese che foto aveva fatto. Rebus lo riconobbe, gli pareva di ricordare che si chiamasse Mungo o qualcosa di simile, sapeva che aveva già lavorato con Mairie in passato. Le arrivò un messaggio sul cellulare e lei lo controllò mentre stava ancora parlando col paparazzo, poi premette due tasti ed effettuò una chiamata. Col telefonino all’orecchio si allontanò dalla ressa per andare verso il fazzoletto d’erba al centro di Gayfield Square dove, parlando, si mise a guardare di traverso l’immondizia abbandonata a terra: bottiglie vuote e incarti di fast-food. Poi alzò gli occhi e vide Rebus. Che sorrideva. Gli tenne gli occhi addosso finendo di parlare e, a conversazione terminata, fece il giro dell’aiuola. Lui era risalito in auto; inutile farsi vedere da altri. Mairie Henderson prese posto accanto a lui, posandosi la cartella sulle ginocchia.
«Come butta?» gli chiese.
«E buongiorno anche a te, Mairie. Come va l’industria della stampa quotidiana?»
«A rotoli» confessò lei. «Tra la “free press” e internet, le persone disposte a pagare per sapere le ultime notizie stanno scomparendo.»
«E con loro gli introiti pubblicitari, eh?» dedusse Rebus.
«Risultato: tagli ovunque.» Mairie fece un sospiro.
«Quindi i freelance come te non trovano da lavorare.»
«Le storie da raccontare ci sono e sono tante, John, solo che i direttori dei giornali non vogliono più pagarle. Non so se hai notato che i tabloid, adesso, chiedono ai lettori di inviare notizie e fotografie…» Posò il capo sul poggiatesta e chiuse gli occhi un istante.
Rebus sentì un improvviso moto di comprensione: conosceva Mairie da anni, durante i quali si erano scambiati dritte e informazioni, ma prima di quel momento non l’aveva mai vista così abbattuta. «Forse posso darti una mano» le disse.
«Todorov e Riordan?» fece lei, aprendo gli occhi e voltandosi.
«Risposta esatta.»
«Com’è che sei qui fuori, anziché là dentro?» chiese lei, indicando la stazione di polizia.
«Perché mi serve un favore.»
«Cioè vuoi che io mi metta a scavare?»
«Tu mi conosci troppo bene, Mairie.»
«Be’, di certo so che in passato ti ho fatto un mucchio di favori, John, e che lo scambio non è mai stato alla pari.»
«Stavolta potrebbe essere diverso.»
Lei fece una risatina stanca. «Altra battuta che ripeti invariabilmente.»
«E va bene, allora diciamo che sarà il tuo regalo di pensionamento per l’amico John.»
Lei lo guardò più attentamente. «Mi ero dimenticata che tra poco sarai fuori.»
«Sono già fuori. Corbyn mi ha sospeso.»
«E perché?»
«Perché ho sparlato di un suo amichetto, tale Sir Michael Addison.»
«Il banchiere?» Il tono di Mairie si risollevò insieme al suo umore.
«C’è un legame – flebile, bada – tra lui e Todorov.»
«Quanto flebile?»
«Tutti e sei i gradi canonici.»
«Interessante comunque.»
«Lo sapevo che avresti detto così.»
«E tu mi racconti tutto?»
«Io ti racconto quello che posso» precisò Rebus.
«In cambio di cosa, per l’esattezza?»
«Di uno che si chiama Andropov.»
«L’industriale russo.»
«Seconda risposta esatta.»
«Che di recente è stato qui con una delegazione commerciale.»
«Sono tornati tutti a casa, ma lui è rimasto.»
«Questo non lo sapevo.» Lei corrugò le labbra. «Allora, cos’è che vorresti sapere?»
«Chi è e come ha fatto i soldi. Anche qui c’è un nesso con Todorov.»
«Perché sono tutti e due russi?»
«Ho saputo che si conoscevano, due o tre vite fa.»
«E…?»
«E la notte che è morto, Todorov aveva bevuto nello stesso bar del suo ex compagno di scuola.»
Mairie Henderson cacciò un fischio basso e prolungato. «Giura, l’hai detto solo a me?»
Rebus confermò con un cenno del capo. «C’è dell’altro, e non poco.»
«Se esco sui giornali, i tuoi capi non potranno non indovinare chi è la fonte.»
«Tra due giorni la fonte tornerà a essere un privato cittadino.»
«Niente ritorsioni, quindi?»
«Niente ritorsioni» confermò lui.
Lei socchiuse gli occhi. «Scommetto che potresti servirmi un piatto ben più ricco.»
«Mi tengo da parte qua...