1.
Mirko aveva raccontato la verità a Mauro: suo padre era stato ucciso, e non era l’autore dell’incendio. E l’unico modo per trovare il responsabile era collaborare con chi li aveva mandati in carcere. Moi. Mirko non disse di Ferolli e non cercò di difendermi in alcun modo, sapendo che sarebbe servito solo ad aumentare le discussioni tra i detenuti.
Parlandosi lontano dai microfoni – almeno si sperava – i ragazzi del Can/Nolo ricostruirono le ore che precedevano l’incendio, e prepararono un elenco delle persone che avevano curato. I nomi erano pochi, le descrizioni scarse, e nessuno di loro sembrava aver conosciuto Albero ed essere entrato in contatto con lui. Quando ricevetti la lista da Mirko, però, potei fare una cernita veloce. Scartai i vecchi e i mingherlini, perché non sarebbero mai stati in grado di sollevare Albero. Scartai i clandestini egiziani arrivati a bordo di una due cavalli tenuta assieme con il nastro adesivo, perché se n’erano andati molto prima della litigata. Scartai chi era tornato a farsi visitare dopo l’incendio, perché se l’assassino di Albero aveva combinato tutto quel casino voleva cancellare le tracce, non lasciarne di nuove.
Rimaneva un gruppo di italiani e rumeni, senzatetto, fuggitivi, misantropi. Tra questi una donna al settimo mese di gravidanza con un rischio di aborto, accompagnata da un uomo massiccio, taciturno e più vecchio di lei. Era la prima volta che si avvicinavano al Circo, e i ragazzi non sapevano chi fossero o da dove arrivassero. La donna non presentava tracce visibili di violenza, anche se non mangiava abbastanza e si lavava anche meno. Quelli del Circo l’avevano curata ed erano passati ai pazienti successivi. L’ipotesi che circolava era che fossero due homeless, probabilmente stranieri.
Visto che nessuno aveva la minima idea di chi fossero o di come rintracciarli, potevo solo rimestare nello stagno e sperare che qualcosa venisse a galla. Mi infilai il finto Armani e tornai a Sorate.
2.
Il paesino non era cambiato molto, stessa puzza e stessa aria di mesta desolazione. Il mio Socio vibrava sottopelle, aspettandosi agguati a ogni angolo e comunicandomi il disagio che provava nel muoversi alla luce del sole in un ambiente che percepiva ostile.
Lasciai l’auto all’imbocco della via principale, di fronte a un palazzo in demolizione, e raggiunsi a piedi la merceria dove mi ero fermato la prima volta. La proprietaria stava scuotendo lo stesso zerbino dalla polvere, e mi chiesi se non fosse un pupazzo animato come quelli di Disney World, che ripetevano all’infinito i medesimi gesti.
Mi riconobbe e fece un ghigno. «Allora, è riuscito a fregare qualcuno qui attorno?»
«No, voi soratesi siete troppo intelligenti per un poveretto come me.»
«Non mi faccia ridere.»
Le offrii una sigaretta e accesi per entrambi. «Già che ci siamo… Si ricorda quando mi diceva che i capannoni incendiati erano frequentati da gente poco raccomandabile?»
«Non lo dico solo io. Non ha visto il telegiornale?»
«Ho visto che hanno arrestato un po’ di persone. Lei conosceva qualcuno?»
«Neanche per idea.» Gettò la sigaretta ed entrò nel negozio. «Non frequento drogati ed extracomunitari.»
Le andai dietro. L’odore di naftalina cozzava con quello della carne marcia. «E conosce qualcuno che li frequenta, da queste parti?»
Mi puntò contro un ago da materassaio. «Lei non me la conta giusta. Non è un assicuratore, vero?»
«Nossignora» risposi posando il culo su una sedia rococò.
«Un poliziotto neanche, con quella faccia. E allora?»
«Mia figlia è scappata di casa, la sto cercando nei posti peggiori.»
Corrugò la fronte guardandomi da sopra gli occhiali. «E come si chiama sua figlia?»
«Ortensia.»
Scosse la testa. «Lei non sa neanche inventare bugie credibili. Vada a parlare col parroco.»
«Quale?»
«Ce n’è solo uno. Don Alfio. Gli piace fare il buon samaritano, se c’è un delinquente in giro, lui gli rimbocca le coperte.»
3.
L’abitazione del prete era una casetta a un piano, dai muri bianchi scrostati e con le finestre protette da inferriate.
Don Alfio venne ad aprire in canottiera. Era sulla quarantina, la barba malfatta, piccolo di statura. Dall’appartamento usciva il suono di una radio a basso volume. «Stavo riposando» disse sfregandosi gli occhi. «Desidera signor…?»
«Bergoglio. Parente alla lontana del suo capo. Ho bisogno di un consiglio spirituale.» Alzai la bottiglia di Chianti che avevo comprato al bar di fronte. «E di un bicchiere pulito.»
Ne tirò fuori due, e ci sedemmo nel cucinino con il lavello pieno di piatti sporchi. «Non forniscono più le perpetue?» chiesi.
«Da queste parti, solo una volta la settimana.» Stappò il vino e riempì i bicchieri. «Come posso aiutarla, signor Bergoglio?»
«Sto cercando un tizio grande e grosso che va in giro con una donna molto incinta. Sono stati curati nei capannoni qui vicino, prima che andassero a fuoco.»
«Non li conosco.»
«Così, senza pensarci un attimo?»
Ruttò nel pugno. Una mosca morì per le esalazioni. «Adesso ci ho pensato. Non li conosco.»
«Oltre a lei chi mandava la gente da quelli del Circo?»
Esitò solo mezzo secondo. «Perché crede che io lo facessi?»
«Magia. E poi sembra stare sulle palle a metà del paese. Secondo il padrone del bar lei è comunista.»
«E secondo me lui è un asino, siamo pari.» Si versò dell’altro vino. «Mettiamo le carte in tavola. Forse ho capito chi è lei. Se anche sapessi qualcosa, non gliela direi.»
«Neanche se le persone che cerco fossero responsabili dell’incendio? E della morte del guardiano notturno?»
Rimase con la bottiglia a mezz’aria. «Non sapevo di nessun guardiano morto.»
«Perché è caduto dalle scale di casa sua un paio di settimane dopo l’incendio. E adesso è accusato di aver dato fuoco a tutto e di essersi suicidato per il rimorso. Ma è una cazzata. Qualcuno l’ha spinto, qualcuno che lui conosceva e che aveva paura di essere denunciato.»
«Ha qualche prova?»
«Se ce l’avessi, non sarei qui.»
«Ah.»
«Mi ascolti, don Alfio. Non pretendo che si fidi di me, ma se ho ragione c’è un assassino in circolazione, e ha ucciso una gran brava persona.»
«Lei crede?»
«Lei no, invece.»
Alzò le spalle.
«Mi lasci incontrare questi signori in un luogo a sua scelta. Verrò da solo e lei potrà essere presente.»
«Piuttosto che aiutarla mi taglierei una gamba. E comunque non so davvero niente.»
Non sono un granché a leggere nel pensiero, ma le persone normali quando mentono sono sempre un po’ in imbarazzo. Lui non lo era. «Immagino che lei non sia stato l’unico da queste parti a tenere i contatti con quelli del Circo. Può farmi incontrare almeno loro?»
«No.»
Il mio Socio mi mandò l’immagine del prete legato nudo sull’altare di una messa nera. Mi risollevò il morale per qualche secondo. «Don Alfio. Se ho ragione, quell’uomo gira qua attorno ed è pericoloso. Si metta una mano sulla coscienza.»
«Non credo che lei sia qualificato per parlare di coscienza, Gorilla.» Si tirò in piedi poggiandosi al tavolo. «Adesso avrei un impegno, se non le dispiace. Grazie per il vino.»
«Come vuole.»
Uscii tenendo buono il Socio e andai al bar di fronte ad aspettare, chiedendomi se fossi riuscito almeno a trasmettergli un dubbio. Quando il prete uscì, mezz’ora dopo, dalla sua espressione giudicai di sì.
4.
Seguii don Alfio mescolandomi tra gli operai della fabbrica della puzza che rientravano a casa e i giovani che sciamavano al bar. Raggiunse la chiesa, un edificio degli anni Sessanta brutto come li costruivano allora, e aprì la porticina laterale della parrocchietta sparendo all’interno.
Aspettai. Intorno alle diciannove arrivarono un ventenne emo, una sessantenne con una borsetta decorata con dei disegni di gatti, e un egiziano che avevo visto servire dietro il banco del fruttivendolo. Passarono altri dieci minuti e una Panda 4x4 parcheggiò sul marciapiede. Scesero un uomo e una donna sulla quarantina, stile centro sociale ma con la croce di san Francesco al collo. Aspettai ancora per essere sicuro che fossero gli ultimi, poi entrai anch’io.
All’interno vi era un corridoietto buio che conduceva a una sala dalla quale provenivano i suoni di una discussione animata. Mi fermai ad ascoltare dietro la porta come l’ispettore Clouseau, spiando dalla fessura del battente.
La stanza rettangolare aveva le pareti coperte di manifesti cattolici di corsi prematrimoniali e altri con frasi sul pane dei poveri. Era illuminata da un neon, e dalla luce di un faro stradale che proveniva da due finestroni con i vetri dipinti di bianco per dare un minimo di intimità. Seduti in circolo a ciarlare tutti assieme c’erano quelli che avevo visto arrivare. Don Alfio stava in piedi e cercava di riportare la calma. «Uno alla volta, per favore. Uno alla volta. Su!» disse spazientito.
«E se la polizia viene ad arrestarci?» ch...