Homo biologicus
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Homo biologicus

Come la biologia spiega la natura umana

  1. 400 pagine
  2. Italian
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Homo biologicus

Come la biologia spiega la natura umana

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Da millenni ci consideriamo l'unica specie costituita da un'essenza immateriale e un corpo. Da una parte una natura umana volatile, capace di tutto, pronta a morire per la libertà ma che adora la futilità e coltiva l'eccesso. Dall'altra il corpo, una "macchina" programmata da geni immutabili ereditati dai nostri genitori. Ma la scienza del XXI secolo scopre una materia che "finalmente ci assomiglia, una biologia probabilista, scolpita dalle esperienze, che ci spiega chi siamo e perché facciamo quello che facciamo". Una nuova prospettiva che non sminuisce la mente riducendola alla materia, bensì che "eleva" la materia al livello della mente. L'uomo è sempre unico, superiore figlio degli dei ma non a causa di un'immaterialità ormai obsoleta: lo è grazie alla sua biologia. In queste pagine, Pier Vincenzo Piazza ci racconta come la biologia sia alla base delle nostre aspirazioni e dei nostri eccessi, come ci spinga verso attività irrazionali, spaccati in due tra spiritualismo conservatore e progressismo materialista. Un altro tipo di uomo si pone in alternativa "un Sapiens completo, che vede la vita in stereoscopia, senza ideologie". Con lui scopriamo, per esempio, come conciliare ecologia e aspirazioni umane, che diventiamo obesi perché siamo troppo intelligenti e che la tossicomania non è un vizio ma una vera malattia di cui conosciamo ormai la biologia. Homo Biologicus conferisce alla biologia il potere di dare un senso universale alla vita e guidare la nostra specie verso un nuovo futuro.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858698785
III

Gli eccessi

7

Norme e normalità, vizi e malattie

Nel corso della storia, la concezione dualistica che vede l’essere umano composto da un corpo biologico e da un’essenza immateriale ha reso il giudizio sul comportamento della nostra specie molto complesso. Il risultato è che in molti casi la logica dei provvedimenti che adottiamo per guidare le nostre azioni diventa indecifrabile e suscita controversie senza fine, soprattutto quando si cerca di modificare regole di condotta preesistenti. I progressi nelle conoscenze delle basi biologiche del comportamento hanno complicato ulteriormente la situazione provocando lo scontro fra due discipline che fino al XIX secolo erano nettamente separate: la morale e la medicina.
Durante un lungo periodo della nostra storia le cose erano in generale piuttosto semplici: avevamo un’essenza immateriale responsabile delle nostre azioni e un corpo, il suo contenitore biologico, che gli permetteva di muoversi nel mondo fisico in attesa di migrare nella dimensione immateriale. La medicina si occupava del corpo, mentre la morale – religiosa o laica che fosse – si occupava dell’essenza immateriale (anima, mente, spirito… a seconda del referente culturale). Morale e medicina avevano quindi oggetti differenti ma scopi simili: preservare il corpo o l’essenza immateriale nella norma e intervenire qualora l’uno o l’altro se ne allontanassero.
Tuttavia, le deviazioni dalla norma identificate dalla medicina e dalla morale, avevano e hanno tuttora due connotazioni molto diverse. La medicina diagnostica le malattie, mentre la morale identifica i vizi, i peccati o i crimini. Così, di primo acchito, i vizi e le malattie potrebbero sembrare due facce della stessa medaglia, in quanto rappresentano le deviazioni delle due componenti dell’uomo, quella materiale e quella spirituale. Tra i due c’è però una differenza abissale: la maniera diametralmente opposta con cui vengono trattati dalle nostre società. Se le malattie vengono curate, i vizi e i crimini sono puniti. E chiaramente non è la stessa cosa. Se siete affetti da una malattia, ci si prenderà cura di voi e la collettività è pronta a spendere delle somme non indifferenti per liberarvi dalla patologia di cui soffrite. Se invece avete dei vizi, o commettete peccati o crimini, sarete emarginati, verrete sbattuti in prigione in questa vita o all’inferno nella prossima.
Quali sono le origini di questa differenza profonda e a dir poco paradossale di trattamento? Infatti, è un po’ come se, dopo un incidente stradale, la squadra di soccorso cercasse unicamente di riparare i danni subiti dal veicolo, provando ad aggiustarlo con tutti i mezzi possibili, e portasse il conducente dallo sfasciacarrozze senza troppe cerimonie. Nel contesto culturale giudeo-cristiano, una delle cause principali di questo comportamento – che può sembrare assurdo – l’abbiamo analizzata nel capitolo dedicato alla libertà. Il merito (o la colpa) del fato opposto riservato ai vizi e alle malattie risale a sant’Agostino e alla sua idea luminosa del «libero arbitrio», la facoltà che Dio ha dato all’uomo di fare, a suo piacimento, il bene o il male. Una capacità postulata per preservare l’idea di un Dio buono e perfetto malgrado il fatto che abbia creato degli esseri capaci di ogni male possibile. Per effetto della volontà e del libero arbitrio, l’uomo diventa il solo responsabile dei propri vizi sdoganando completamente Dio. Ma se l’uomo, in teoria, può fare quel che vuole in pratica non è libero di farlo. Se non segue le leggi divine lo aspetta l’inferno. Questo approccio non si è realmente evoluto con il passaggio dai precetti divini alle leggi laiche. Se non seguiamo le leggi, siamo responsabili dell’infrazione e ci aspetta la prigione. In conclusione, questo trattamento diverso riservato alle malattie da un lato e ai vizi, crimini e peccati dall’altro è il risultato diretto della visione dualista della natura umana che non ci considera responsabili delle malattie del corpo, ma solo delle azioni compiute dalla nostra essenza immateriale. Il che è normale, visto che il corpo è solo il contenitore che la nostra essenza materiale prende in prestito durante il suo soggiorno su terra, ma non determina la nostra natura né le nostre azioni. Noi siamo la nostra essenza immateriale, il corpo è solo un rivestimento.
Fino a quando il campo dell’essenza immateriale e del corpo erano chiaramente separati la divisione tra il terreno d’azione della medicina e delle leggi e morali, religiose o laiche era netta. Tuttavia, più le conoscenze della biologia hanno fatto progressi, più i confini tra i vizi dell’anima e le malattie del corpo, e in particolare quelle del cervello, sono diventati labili. Ciò ha generato una certa confusione tra le malattie del comportamento che bisogna curare e i vizi della mente che invece bisogna punire. Questa incertezza su cosa considerare vizi e cosa malattie diventa ancora più grande se si integrano le scoperte fatte dalla biologia nel XXI secolo, che ci mostrano che tutte le azioni umane hanno origini biologiche. Ci si potrebbe addirittura chiedere se questo implichi che tutti i vizi si sono improvvisamente trasformati in malattie, facendo scomparire il libero arbitrio. In pratica, non siamo più responsabili delle nostre azioni ma mere vittime di una «malattia biologica», qualunque cosa facciamo? La risposta, ovviamente, è no. Considerare la natura umana come biologica non ci porta ad abbandonare il concetto di volontà e di libero arbitrio, ma ad avere una visione diversa del substrato che li mantiene e delle ragioni delle nostre azioni. Paradossalmente considerare il comportamento e la natura umana come biologici ci permette di comprendere meglio cosa dobbiamo considerare dei vizi e cosa delle malattie.
La prima tappa di questo processo di chiarificazione è quella di comprendere la differenza tra due dimensioni che sono spesso confuse: le norme e la normalità.

Norme e normalità

La relazione tra norme e normalità è forse ancor meno chiara di quella tra vizio e malattia. Perché? La ragione è che spesso utilizziamo le norme per definire la normalità, creando le condizioni per un classico ragionamento circolare fallace. In altri termini, ci troviamo spesso a definire un comportamento normale come quello che rispetta le norme e uno anormale quello che non le rispetta. In realtà, norme e normalità sono due cose ben diverse, e comprenderne la differenza è fondamentale per definire in seguito quella tra vizio e malattia. Infatti, come vedremo nelle prossime pagine, i vizi o i crimini sono deviazioni dalle norme mente le malattie sono deviazioni dalla normalità.
Cominciamo dalle norme. Le norme tracciano dei confini, dei limiti che il nostro comportamento non deve oltrepassare. Determinano cosa è bene e cosa è male dal punto di vista della morale, ma non dicono cosa sia normale o patologico dal punto di vista medico. Le norme possono variare enormemente in numero e natura da una società all’altra, ma per quanto alcune società siano più normative di altre, non esiste società che non sia regolamentata da una serie di norme.
In linea di massima, siamo propensi a credere che le campionesse indiscusse dell’approccio normativo siano le religioni, i cui lunghi testi sacri contengono una ricca serie di regole e precetti. Si va dai dettami generali, come «ama il prossimo tuo», a direttive molto precise su cosa è permesso mangiare, in che modo vestirsi, o quali sono le occupazioni consentite o meno nei diversi giorni della settimana. Queste direttive se definiscono la norma accettabile dalla comunità che le emette non hanno niente a che vedere con la normalità. Infatti, tutte le religioni riconoscono che la natura umana “normale” ci spinge ad allontanarci dagli insegnamenti divini, portandoci ad appagare vizi e a commettere peccati. Le norme religiose esistono quindi per guidarci e farci evitare alcuni comportamenti che sono normali per la nostra specie ma che dispiacciono al Dio che onoriamo.
Il pensiero laico, al contrario di ciò che si può credere, non è meno normativo di quello religioso. Le società laiche si fondano su una serie di regole, più o meno esplicite, che è necessario seguire per essere accettati nel gruppo. Come quelle religiose, le principali norme laiche sono riportate per iscritto in grossi libri dedicati a questo effetto, come il codice civile e penale. Esistono inoltre intere categorie professionali che hanno il compito di stabilire e fissare queste norme, di assicurarsi che siano rispettate, di decidere le punizioni da infliggere ai trasgressori e in seguito di eseguirle. Nei Paesi laici, una parte significativa del bilancio dello Stato è destinata alle istituzioni politiche che preparano e approvano le leggi, alla polizia e ai gendarmi che le fanno rispettare, ai magistrati, ai giudici e agli avvocati che decidono le punizioni per i trasgressori e al sistema penitenziario che esegue le pene. Anche in questo caso è dunque abbastanza evidente che le norme non descrivono il comportamento normale della nostra specie, se lo facessero non ci sarebbe bisogno di un sistema così complicato per elaborarle e soprattutto per farle rispettare, sarebbe «normale» farlo.
Dal momento che le norme non sembrano definire la normalità, come possiamo determinare quando un comportamento è «normale» cioè non patologico dal punto di vista medico? In medicina, la normalità consiste semplicemente in quello che facciamo e che possiamo fare quando il nostro cervello o il nostro corpo funzionano come dovrebbero. Seguendo il medesimo ragionamento, si considera un comportamento «patologico», cioè sintomo di una malattia, quando è il risultato di un cervello che non riesce più a svolgere le sue consuete funzioni fisiologiche. Questa definizione ci dà le chiavi per capire più facilmente se un comportamento apparentemente anomalo è da ritenersi immorale, perché vietato da una norma, ma normale in termini medici perché non implica un malfunzionamento del cervello. Volendo riassumere, la normalità, non consiste nell’agire correttamente, così come la patologia non consiste nel fare ciò che non si dovrebbe. La normalità è ciò che siamo in grado di realizzare quando il nostro cervello funziona correttamente; se invece il cervello smette di funzionare come dovrebbe, siamo di fronte a un comportamento patologico.
Sulla base di questi principi generali come fare a distinguere i vizi dalle malattie? La risposta è alquanto semplice. Per fare la differenza basta spostarsi nello spazio e nel tempo. Infatti, un comportamento normale in termini medici è obbligatoriamente transculturale e transtorico allorché le norme e vizi, crimini e peccati che definiscono non lo sono affatto. Il nostro cervello non si evolve da almeno cinquemila anni, cioè dall’invenzione della scrittura a oggi, ed è praticamente identico per tutta la specie umana. Ne consegue che ciò che è «normale» oggi lo era anche tremila anni fa, e che ciò che è «normale» a Roma e a Parigi deve esserlo anche a Riad o New York. Allo stesso modo, un comportamento patologico, una malattia del comportamento che deriva da un funzionamento alterato del cervello, rimane tale nel corso della storia e in ogni angolo del pianeta.
Se adottiamo tale prospettiva temporale e geografica, risulta evidente che le norme non permettono neanche lontanamente di definire la normalità. Negli ultimi millenni, ma anche negli ultimi due tre secoli della storia dell’uomo, le norme hanno avuto delle enormi evoluzioni e ai tempi odierni variano ancora enormemente da una cultura all’altra. Basta andare un po’ a ritroso nel tempo per rendersi conto che alcuni comportamenti che oggi consideriamo crimini erano giudicati normali fino a non molto tempo fa; viceversa, altri comportamenti che oggi consideriamo normali, come l’omosessualità, fino a poco tempo fa erano ritenuti vizi innominabili. Proviamo a spostarci anche un po’ nello spazio. Ci si rende immediatamente conto che quello che oggi a Riad è considerato normale, come la lapidazione, a Parigi o a Roma viene visto come un castigo barbaro e disumano; per contro, un comportamento come l’adulterio, che nelle capitali europee lascia del tutto indifferenti, a Riad è punibile con la pena di morte. Eppure, come si è detto, il normale funzionamento del cervello non ha subito nessuna evoluzione negli ultimi millenni e ancor meno negli ultimi secoli. Allo stesso modo, il cervello di un francese o di un italiano non è fondamentalmente diverso da quello di un saudita, o almeno non ce n’è uno dei due che funziona bene mentre l’altro si trova in uno stato patologico. Alcuni comportamenti stigmatizzati come crimini o vizi in un caso e accettati in un altro sono quindi normali, cioè generati da un cervello che funziona perfettamente, ma più o meno compatibili con le norme della società che li accoglie in base ai propri dettami culturali e/o religiosi.
In poche parole, la normalità è transtorica e transculturale, mentre le norme e i vizi, e i crimini e peccati che definiscono, sono profondamente variabili a seconda del momento storico e del contesto culturale. Basta fare questo tipo di verifica per distinguerle facilmente.
Alcuni di voi diranno che ancora una volta esagero e penseranno che ci sono delle norme basilari che non si sono realmente evolute nel tempo, e che si ritrovano in ogni cultura. Queste norme fondamentali rifletterebbero cosa siamo veramente dandoci un’immagine fedele di cosa è realmente la normalità dell’essere umano. Si tratta di un ragionamento logico e rassicurante, ma che ha il grande difetto di essere totalmente falso, perché queste norme «universali» che rifletterebbero la normalità semplicemente non esistono.

I vizi: comportamenti devianti purtroppo assolutamente normali

Chi, come me, ritiene che le norme non definiscano un comportamento normale ma che facciano l’esatto opposto, può evitare di leggere i paragrafi che seguono. Chi invece pensa che, nelle linee essenziali, le norme descrivano la normalità, dovrebbe leggerli, anche se il loro contenuto potrà sembrargli molto provocatorio e in alcuni casi raggelante. Sfortunatamente queste non sono delle caratteristiche delle mie parole ma purtroppo di quello che ci apparirà come la «normalità» della natura umana.
Per verificare la presunta universalità delle norme e la loro capacità di descrivere la normalità, cominciamo col prendere dei comportamenti «anormali» emblematici, il genere di comportamenti che ci aspetteremmo essere regolamentati da sempre e in modo stabile in tutte le culture. In seguito, passiamoli al vaglio della storia e della geografia. Un buon punto di partenza sono sicuramente i comportamenti che riguardano la sfera della preservazione della specie e dell’individuo.
Cominciamo con la preservazione della specie e più particolarmente la sfera riproduttiva, scegliendo un comportamento che è considerato, non solamente anormale ma talmente odioso da essere passibile di detenzione: imporre un atto sessuale a una persona non consenziente. Le relazioni sessuali forzate sono di vario tipo e gli esempi principali che coinvolgono un atto completo, cioè che può dare luogo a una fecondazione, sono lo stupro e il matrimonio coatto. A essere sincero, non vedo molta differenza tra le due cose, se non in alcuni particolari:
  • il numero di persone coinvolte nell’imposizione di una relazione sessuale, che è generalmente più alto nel caso dei matrimoni coatti;
  • il tipo di mezzo di coercizione utilizzato: più comunemente violenza fisica nel caso dello stupro e psicologica nel caso del matrimonio forzato;
  • il tempo concesso alla vittima per prepararsi a subire l’atto non consensuale, che è molto più lungo nel caso del matrimonio coatto che dello stupro;
  • infine, il numero di atti sessuali imposti alla vittima, di norma basso nel caso dello stupro e alto dopo le nozze obbligate.
Le relazioni sessuali forzate sono vietate in un gran numero di Paesi e sono certamente orribili. Dobbiamo quindi considerarle come appartenenti a questa rara categoria di comportamenti in cui le norme e normalità coincidono? Come avrete già capito, la risposta alla domanda precedente è no. Si tratta di atti immorali, di vizi terribili, di crimini, ma si tratta di devianze dalla norma e non di patologie generate da un cervello malfunzionante. Se non ne siete convinti, analizziamo meglio lo stupro e il matrimonio forzato dal punto di vista storico e geografico.
Prendiamo l’esempio della legislazione francese, cioè del Paese che è una delle culle dei diritti umani e che dovrebbe quindi costituire un esempio da seguire nella materia. Lo stupro e le aggressioni sessuali sono entrati nel codice penale della Francia a partire dal 1810, nella sezione Attentats aux mœurs («violazioni del buon costume»). Nell’articolo 331 si parla dello stupro come un crimine punibile con la detenzione o con i lavori forzati, fino all’ergastolo in funzione di alcune circostanze aggravanti. Per esempio, se il colpevole è un individuo che ha potere o autorità sulla persona che subisce lo stupro o un funzionario dello Stato, un istitutore, un ministro di un culto. Tuttavia, il crimine di stupro non è chiaramente definito dall’articolo di legge e la giurisprudenza dell’epoca mostra che viene considerato come tale dai giudici solo se il sesso dell’uomo penetra quello della donna e se vi è stato un ricorso alla violenza. Inoltre, si considera che le penetrazioni anali, orali e digitali sono un oltraggio al pudore e non un crimine e vengono punite con sanzioni pecuniarie e una reclusione da tre mesi a un anno.
Prima del 1810 lo stupro veniva condannato, però non si puniva l’atto in ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo. Tutto è cambiato, ma niente è davvero differente
  4. I. LA MATERIA
  5. II. LE ASPIRAZIONI
  6. III. GLI ECCESSI
  7. Epilogo. Niente è davvero cambiato, ma tutto è differente
  8. Ringraziamenti
  9. Piccolo vademecum della biologia. Per gli intrepidi che vogliono navigare nei meandri delle scienze biologiche
  10. Riferimenti bibliografici
  11. Copyright