PARTE PRIMA
L’immobilismo della Francia
| Quando, superata la collina, non scorse più il campanile della chiesa del suo villaggio, il coscritto Daniel Duffard, di Pierre-Buffière, scoppiò a piangere e voleva tornarsene a casa. |
Archivi dipartimentali dell’Haute-Vienne
La Francia di Napoleone è ancora – e lo rimarrà per svariati decenni – un paese a maggioranza contadina: oltre l’85% degli abitanti vivono in campagna. L’agricoltura rappresenta la principale risorsa. Scrive Pradt: «Nel caso della Francia non succede come in tante altre nazioni in cui l’industria, lottando ininterrottamente contro la solita inclemenza delle stagioni e contro il rigore del clima, è rinchiusa entro limiti che non riesce a oltrepassare. Là, la natura cede soltanto a uno sforzo congiunto della ricchezza e dell’arte, mentre in Francia, sotto gli sguardi di un sole costantemente pronto alla fecondazione, la coltivazione fiorisce spontaneamente e senza sforzi su un suolo dotato degli attributi della fertilità».
Alla base della società rimane la terra. Il possesso di terre, e non la proprietà urbana o il deposito bancario, determina la considerazione sociale. I diritti feudali sono stati aboliti, sono scomparsi i privilegi legati al possesso della terra, ma è rimasto intatto il prestigio sociale.
Questa Francia rurale è una Francia immobile, cioè una Francia il cui orizzonte si limita al campanile della chiesa e ai confini territoriali. Pur senza sottovalutare l’incidenza delle migrazioni stagionali e la durezza dell’essere strappati al suolo natio a causa della coscrizione, notiamo come questa Francia non si muova e viva ripiegata in se stessa.
Una Francia immobile, ma pur sempre una Francia che muta: la proprietà contadina è aumentata e il catasto sancisce tale espansione; i diritti feudali sono scomparsi e l’imposta diventa più equa, mentre un’alta congiuntura favorisce l’arricchimento delle campagne e – nonostante le requisizioni e gli arruolamenti di uomini – lascerà il ricordo di un’«età dell’oro» per il mondo contadino francese.
Un mondo immobile, ma di una sorprendente varietà. Occorrerebbe distinguervi le pianure, che si estendono dal settentrione della Francia all’Alta Normandia: campi incolti e vallate paludose, vaste fattorie e piccole proprietà, le cui risorse vengono integrate dall’artigianato rurale; gli altipiani orientali ricoperti di boschi; le piccole proprietà occidentali tenute a prato e delimitate da siepi di alberi, dove continuano ad annidarsi ex vandeani e chouans1 diventati briganti; la Valle della Loira, con diversa fertilità; le campagne del Rodano, influenzate dall’agglomerato di Lione in pieno sviluppo; la parte sud-occidentale, dove domina la mezzadria; le regioni montuose del centro, che sembrano avere ignorato la Rivoluzione; il litorale mediterraneo, infine, dove la minaccia dei barbari ha ceduto il posto ai pericoli di sbarco da parte dell’Inghilterra.
Anziché descrivere tutte queste varietà regionali, si è preferito presentare i tratti comuni alla massa rurale che costituisce la popolazione della Francia dell’epoca.2
1 Insorti antirepubblicani, che operarono dal 1793 al 1796 specialmente in Bretagna e in Vandea. (N.d.T.)
2 Alla ricerca dell’identità del Francese, l’amministrazione promuove un’inchiesta dietro l’altra (cfr. M.-N. Bourguet, Race et Folklore. L’image officielle de la France en 1800, «Annales», 1976, pp. 802-823). Per chi voglia avere un’idea del Francese sotto Napoleone segnaliamo, oltre agli archivi della coscrizione utilizzati da Le Roy Ladurie, Houdaille, Bois ecc., l’interesse che presentano i passaporti, i quali forniscono segnalazioni complete (colore degli occhi e dei capelli, statura, forma del viso, ecc.).
I
Il tempo
La vita contadina scorre seguendo il ritmo delle stagioni, scandito dagli almanacchi1 venduti dai venditori ambulanti.
Ecco il quadro che ne propone l’Annuaire du département de l’Ardèche nell’anno XI:
Inizio dell’autunno, il 1° vendemmiaio, alle 7,26 di sera, tempo apparente al meridiano di Privas.
Inizio dell’inverno, il 1° nevoso, a mezzogiorno e nove minuti. Inizio della primavera, il 30 ventoso, all’1,38 di sera.
Inizio dell’estate, il 3 messidoro, alle 11,20 del mattino.
Ai contadini questo quadro non serve, dal momento che si affidano prevalentemente ai cambiamenti della vegetazione. Ma l’almanacco indica anche le eclissi. «Quest’anno» annuncia per l’anno XI l’Annuaire du département de l’Ardèche «ci saranno due eclissi di sole, una il 2 ventoso, l’altra il 29 termidoro. Non ci sarà nessun’eclissi di luna».
È indicata anche qualche semplice previsione meteorologica:
Le circostanze in cui arriveranno i noviluni del 2 ventoso, del 2 germinale, e del 1° fiorile sono tali da provocare forti maree. I venti non sono, in sostanza, se non le maree atmosferiche, modificate per effetto del caldo, dell’evaporazione, ecc. È perciò molto probabile che i noviluni saranno seguiti da forti venti del Nord, che potranno dar luogo a freddo e a gelate tardive.
Si indicano infine con precisione anche le ore in cui sorge e tramonta il sole.
L’ora
In realtà, nelle campagne, «la stragrande maggioranza della popolazione vive al di fuori del tempo misurato e diviso in ore. I tre scampanii bastano a ritmare il lavoro, l’angelus del mattino e della sera servono da punti di riferimento fondamentali».2
L’orologio è un oggetto raro, riservato alla gente di città; comincia a diffondersi nel mobilio dei contadini quello a muro, ma le meridiane restano le più usate. Ci si serve anche di orologi idraulici:
Queste clessidre consistono in una scatola rotonda di stagno, suddivisa in sette scomparti, le cui pareti divisorie presentano un foro, da cui si fa uscire l’acqua a goccia a goccia. La caduta successiva dell’acqua da un compartimento all’altro fa scendere gradatamente la scatola tra due montanti, lungo i quali sono incise le ore che, appunto, essa indica progressivamente.3
Ai ritmi naturali dei giorni e delle stagioni si aggiunge quello delle settimane. Nel complesso, il riposo domenicale è accuratamente rispettato e, del resto, è diventato ufficiale dopo la firma del Concordato. La domenica è giorno di riposo, quello dei giochi e dei balli, in cui si fanno conoscenze di fattoria in fattoria, di villaggio in villaggio. Il rispetto delle festività religiose non è intaccato dalla scristianizzazione e costituisce un indispensabile momento di respiro, di cui nella sua saggezza la Chiesa aveva compreso la necessità. Anche le fiere sono occasioni per brevi momenti di distrazione: la loro importanza è consacrata dal posto che riservano loro almanacchi e fogli regionali.
La giornata lavorativa
La giornata lavorativa comincia con il sorgere del sole. Secondo alcune indagini, però, l’usanza vuole che i lavoratori agricoli si sveglino prima che faccia giorno per battere i cereali nel granaio. Il lavoro dei campi termina perlopiù quando scende la sera, dopo una pausa verso mezzogiorno.
Certo, l’inverno comporta un rallentamento delle attività, anche se la piccola industria rurale, soprattutto quella tessile, interviene a fornire risorse supplementari. Comunque, nel periodo della mietitura o in quello delle vendemmie, la durata della giornata lavorativa risulta eccessiva, per ammissione di molti. Mezzadri e fittavoli debbono compensare col loro lavoro la routine delle tecniche. Se l’uomo non è mai disoccupato, non bisogna dimenticare la donna, la quale aggiunge al lavoro dei campi l’attività di casalinga (anche se meno gravosa che in città). La scarsità di dipendenti agricoli, dovuta alla crescente richiesta di soldati, costringe infatti la donna ad aiutare il marito nelle incombenze più dure. Anche i bambini, fin dalla più tenera età, vengono utilizzati per custodire gli armenti, per dar da mangiare al pollame e per altre attività minori.
«L’età in cui i bambini cominciano a essere utili dipende dal loro addestramento fisico» scrive l’abate Marchand, il quale prosegue:
Nelle due comunità di Rahay e di Valennes i bambini vengono occupati fin dall’età di sei anni; nei primi anni si affidano loro le mandrie da condurre al pascolo, si fa loro raccogliere erba e fogliame, trasportano piccoli pesi, portano a spasso i fratellini più piccoli e badano a essi finché le madri sono occupate nelle faccende domestiche. Dai dieci fino ai quattordici-quindici anni essi aggiogano le bestie, mentre il padre ara, oppure lo aiutano a fare le siepi, o i fossi, a raccogliere le stoppie, a portare il letame e a spargerlo, a custodire il bestiame nella buona stagione lungo i maggesi che attorniano i campi seminati. Se, dopo i quindici anni, risultano abbastanza forti, portano l’aratro in luogo dei rispettivi padri.
E più avanti:
È facile accorgersi di quando l’uomo comincia a lavorare e seguire i progressi dei suoi lavori fino all’età che va dai quindici ai diciotto anni. Da quell’età fino ai cinquant’anni lo si vede eseguire sempre le stesse operazioni. Dai cinquanta ai sessant’anni, o meglio fino alla morte, comincia a declinare, le forze diminuiscono, le malattie lo assalgono e infine i figli ne prendono il posto.4
È raro trovare una descrizione più semplice e più precisa, nella sua sinteticità, dei rapporti del contadino con il tempo.
1 Il calendario repubblicano francese venne istituito dalla Convenzione nazionale il 24 novembre 1793. L’anno incominciava all’equinozio di autunno (22 settembre) e il primo dell’era repubblicana iniziò il 22 settembre 1792, giorno dell’istituzione della Repubblica (1° vendemmiaio). L’anno era diviso in dodici mesi tutti di trenta giorni, più cinque giorni complementari che dovevano essere consacrati alla celebrazione di feste repubblicane. Fabre d’Églantine attribuì ai mesi i nomi seguenti: per l’autunno vendemmiaio, brumaio, frimaio (del gelo); per l’inverno nevoso, piovoso, ventoso; per la primavera germinale, fiorile, pratile; per l’estate messidoro, termidoro (del caldo e dei bagni), fruttidoro. (N.d.T.)
2 G. Thuillier, Pour une histoire du quotidien en Nivernais au XIXe siècle, Mouton, Paris-La Haye 1977, p. 205.
3 Ibidem, p. 213.
4 P.L. Marchand, Mém...