L'ultimo sguardo
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L'ultimo sguardo

Un prequel di Lo stupore della notte

  1. 364 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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L'ultimo sguardo

Un prequel di Lo stupore della notte

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Informazioni sul libro

Milano, 2017. Il commissario capo Rosa Lopez e l'ispettore Giulio Scalisi condividono due segreti. Il primo: un'inchiesta pericolosa e segreta chiamata "Milano Confidential", che indaga i legami nascosti tra criminalità organizzata e alti apparati istituzionali. Il secondo: si amano.
La loro relazione, così come l'inchiesta, è clandestina, perché non si possono più fidare di nessuno, nemmeno dei propri colleghi, dopo aver scoperto che nella loro squadra c'è chi fa il doppio gioco. Scalisi, però, si avvicina troppo alla verità, perché cade vittima di un attentato. E Rosa si trova sola, al centro di una cospirazione che contempla assassini, ricatti, operazioni sporche sotto copertura, e il cuore nero di una città che ha venduto l'anima al diavolo.
Determinata a trovare i responsabili, Rosa Lopez sceglie di percorrere la strada della vendetta. Ancora non sa che la sua inchiesta ha attirato l'attenzione di uomini senza scrupoli, che si muovono per la metropoli impuniti. Per salvarsi, la poliziotta dovrà scendere a patti con la propria anima, ma l'amore si rivelerà l'unico punto cardinale fermo in una bussola morale impazzita.
Con L'ultimo sguardo, Pulixi ci regala un prequel del romanzo Lo stupore della notte, premiato nel 2018 come miglior noir dell'anno dai lettori del Premio Scerbanenco, e torna a raccontarci di Rosa Lopez, una donna forte e insieme fragile, disposta a tutto pur di proteggere quella Milano dove il Male non dorme mai, anche a scendere nei sotterranei più oscuri del Lovers Hotel.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858697740

1

Aprile 2017
Autostrada A8, uscita Baranzate, Milano

Rosa Lopez osservava la città sfilare fuori dal finestrino. I grattacieli parevano grossi alveari di luci che emergevano dalla nebbia. Più si allontanava dalla metropoli, più in lei si acuiva un senso di pericolo, quasi si stesse inoltrando in una terra di nessuno. Scrutò rapita la fauna notturna, mentre Where Are We Now? di David Bowie usciva dalle casse riempiendo l’auto di malinconia.
Pensò che Milano non dormiva proprio mai; lei e quei desideri scagliati come vagoni della metro nel buio di gallerie senza fondo. Verso nessun dove. Senza alcuna certezza. Sprazzi di una vita che non si aveva il coraggio di vivere, che durava il tempo di qualche ora strappata alla notte. L’illusione come un orgasmo. Un’esplosione di vita prima di rituffarsi nel porto rassicurante delle proprie vite anestetizzate. Milano era una cattedrale di esistenze bramate. Di passioni inconfessate. Di desideri irrealizzabili e solitudini feroci. Ma era anche un labirinto di sensi di colpa. Un cimitero di rimpianti. Inghiottiva gli ingenui in un sol boccone. Rosa odiava questa sua doppia anima: materna e carnefice. Nondimeno era la città che aveva giurato di proteggere. Tutte quelle vite, anche quelle più grame e mediocri, valevano quanto e più della sua. Anzi, per certi versi invidiava quelle persone, perché a loro era ancora concesso sognare, illudersi. Lei non poteva permettersi questo lusso. Doveva rimanere ancorata a terra, a quella sporca realtà. Lei e la sua viscida vendetta. Perché per quanto potesse indorare la pillola, inneggiando al suo onore e allo spirito di servizio, era lì per una mera rappresaglia. Un lavoro sporco.
“Smettila di filosofeggiare e concentrati” si disse, riportando gli occhi sulla strada e spegnendo l’autoradio.
L’Alfa imboccò l’uscita verso Baranzate.
«Ehi, tutto ok?» le chiese Michele Diamante, il suo partner.
«Sì» rispose lei, estraendo la Beretta: si assicurò che l’arma fosse a posto. Mania di controllo. Era fatta così.
«Sei silenziosa. Hai cambiato idea?»
«Per niente. Accelera. Non voglio arrivare in ritardo» ribatté, rinfoderando la pistola.
«Siamo ancora in tempo per…»
«Non dire stronzate. Muoviti.»
Il collega le lanciò un’occhiata indagatrice e obbedì all’ordine. Era convinto che stessero facendo una cazzata, ma non glielo disse. D’altronde, il capo era lei.

2

Via Aquileia, Baranzate, Milano

Bateau Joola. Così i senegalesi chiamavano quel palazzone, paragonandolo a un traghetto che una decina di anni prima si era inabissato sulle coste del Senegal con duemila persone a bordo. L’analogia era perfetta, rifletté Rosa: quel gigante di cemento di dodici piani, che si affacciava sull’autostrada dei Laghi, sembrava una nave sul punto di affondare nell’oceano notturno del quartiere ghetto, crivellato da una pioggia rabbiosa che persisteva da giorni. Del centinaio di famiglie di ogni etnia che vivevano lì fra degrado, abusivismo e microcriminalità, ne erano rimaste al massimo due; tutte le altre, quando le pareti e i soffitti dello stabile fatiscente avevano iniziato a sgretolarsi, per poi crollare a causa dell’incuria e dell’assenza cronica di manutenzione, avevano tagliato la corda, cercando un altro alloggio. Niente di più facile: a Baranzate, duecento metri dal confine della Zona 8 di Milano, poco lontano dall’area espositiva di Expo, eppure periferia abbandonata a se stessa, gli appartamenti da occupare non mancavano.
“Un posto perfetto per uno scambio di droga” si disse la poliziotta, impugnando l’arma.
Michele Diamante, acquattato al suo fianco nell’ombra di un sottoscala, strabuzzò gli occhi e le fece cenno di aspettare. Dall’interno della casa che stavano tenendo d’occhio provenivano le voci dei due sospettati. Parlavano in arabo. Questo significava che l’informatore le aveva venduto una buona soffiata. Meglio per lui.
C’era solo un “piccolo” problema: ufficialmente non dovevano essere lì. Quell’operazione non rientrava nei limiti dell’autorità della polizia giudiziaria e nessuno, in questura – e tantomeno in procura –, era al corrente di quell’appostamento. Nessun team di rinforzo. Nessuna attività di intelligence. Zero copertura. Soltanto lei e Diamante – il suo braccio destro all’Antiterrorismo – e un’operazione sporca all’orizzonte. Ma Rosa non aveva avuto scelta. Tutte le altre piste si erano rivelate infruttuose. Mesi di indagini serrate, di notti insonni e false speranze finite nel cesso. Ora, finalmente, uno spiraglio di luce.
«Aspetta, non fare cazzate» sussurrò il vicecommissario Diamante.
Rosa nemmeno lo sentì. La sua attenzione era del tutto rivolta ai due soggetti all’interno dell’abitazione diroccata. A livello istintivo era certa che Mohamed Salem, l’egiziano che ora stava trattando una cassa di fucili in cambio di una partita di eroina afghana, fosse implicato nell’attentato. Il suo nome era comparso nelle carte di Giulio: l’aveva fotografato col cellulare prima che i colleghi della DIGOS facessero piazza pulita di quei documenti riservati, che in seguito erano stati insabbiati chissà dove; l’ispettore non era entrato nel merito di quel nominativo – non ne aveva avuto il tempo – ma da una ricerca negli archivi informatici della Polizia, Rosa aveva scoperto che Salem era stato legato in passato a dei reclutatori europei dell’Isis. Questo non lasciava adito a dubbi: era l’uomo che stava cercando. L’unico che potesse condurla alla verità.
“Ci siamo, Giulio. Sento che sono vicina” disse mentalmente la poliziotta al suo vecchio partner che aveva giurato di vendicare.
Quando le voci dei trafficanti crebbero d’intensità, i due funzionari si scambiarono un’occhiata preoccupata. Non erano ufficiali di primo pelo, tutt’altro: avevano alle spalle anni di esperienza nell’Antiterrorismo, un addestramento di alto livello all’uso di armi tattiche e nella gestione di eventi critici; ma in quel momento erano soli, fuori dalla loro giurisdizione e in completa violazione del protocollo procedurale. Che fare? Intervenire e correre il rischio di mandare tutto a monte, e subire nel migliore dei casi un procedimento disciplinare? Non ne avevano idea.
«Sta’ calma, meglio lasciarli…»
Un’imprecazione silenziò le parole di Diamante. Salem. Stava minacciando il faccendiere svizzero.
Rosa agì d’impeto: trasse un respiro profondo e schizzò in piedi, disinserendo meccanicamente la sicura dell’arma che afferrò a due mani, puntandola in direzione dell’appartamento. La porta era socchiusa. Quando la suola del suo anfibio destro impattò con violenza sul legno, spalancandola, vide che Salem stringeva in pugno una pistola. La tacca di puntamento della Beretta inquadrò la testa dell’egiziano. Rosa gli gridò in arabo di non muoversi.
Il rilascio di adrenalina e l’improvviso sovraccarico sensoriale quasi la paralizzarono, mandando al diavolo gli anni di preparazione tattica.
Quasi…
Mohamed Salem le puntò contro l’arma.
Un’immagine le attraversò la mente: l’ultimo sguardo di Giulio, sorridente, radioso…
Ci vediamo, commissario, le parve di udire le sue parole, il suo inconsapevole addio.
Un battito di cuore più tardi, lo stabile riecheggiò di due assordanti detonazioni.
Poi, un grido.
«Rosaaa!»

3

Sei mesi prima
Uffici della Guardia di Finanza, porto di Gioia Tauro, Reggio Calabria

Mentre i vertici della Sezione antiterrorismo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria cercavano di capire cosa diavolo stesse succedendo, sbraitando contro gli uomini del II Reparto della Guardia di Finanza di Reggio, che parimenti non sapevano nulla, a pochi metri da loro l’ispettore Giulio Scalisi stava vomitando nel cesso di uno dei gabbiotti dei finanzieri nel porto calabrese.
Scalisi lavorava presso l’Unità speciale contro il terrorismo di matrice islamica dell’Antiterrorismo milanese, agli ordini diretti del commissario capo Rosa Lopez. Trentotto anni, un passato da fuciliere della Marina prima di entrare in Polizia, era il ritratto della salute: fisico atletico, viso dai tratti affilati ma regolari, occhi di un azzurro limpido. Eppure, quando fissò la tazza, vide le tracce di sangue scivolare sulla ceramica bianca. Sangue scuro. Di nuovo.
«Merda» sussurrò, tamponandosi le labbra con un fazzoletto.
Un brutto caso di ulcera peptica, avevano sentenziato i medici.
«Sta affrontando un periodo stressante, ispettore?» aveva domandato lo specialista. Giulio gli aveva riso in faccia.
«Lavoro all’Antiterrorismo» aveva risposto dopo l’attacco di risa. Il medico aveva annuito e gli aveva prescritto una dose da cavallo di antiacidi, consigliandogli di chiedere un trasferimento prima che lo stress se lo mangiasse vivo. Scalisi gli aveva detto che ci avrebbe pensato. Puttanate. Erano mesi che stava dietro a quella pista e non poteva tirarsi indietro proprio ora che era a un passo dalla risoluzione del caso.
Il poliziotto si ricompose e uscì dal bagno. I due magistrati e i tre finanzieri lo fissarono col sangue agli occhi.
«È inutile che continuiate a discutere e a prendervela l’uno con l’altro» disse Scalisi. «L’operazione è stata autorizzata direttamente dal dottor Marra.»
Cesare Marra era il procuratore nazionale antimafia con delega al coordinamento delle inchieste sul terrorismo di matrice islamica. Più in alto di lui c’era solo qualche ministro. Ufficialmente, perlomeno.
«E perché noi non siamo stati avvertiti?» si lamentarono gli uomini della DDA reggina.
«Vi ho avvertiti io, no?»
«Un’ora prima dell’operazione?! Ci prende per il culo?»
Scalisi si esibì nel suo miglior sorriso conciliante. Rosa era stata perentoria: «Massimo riserbo sulla missione» aveva detto.
«Cosa significa?» aveva domandato Scalisi.
«Che non ne devi parlare con nessuno. E quando dico nessuno, intendo nessuno. Ne siamo al corrente io, te e Marra. Punto.»
Giulio non aveva investigato oltre. Stavano accadendo cose strane negli ultimi tempi. Informatori spariti nel nulla. Irruzioni frutto di soffiate blindate che non portavano a niente. Documenti che scomparivano. Fughe di notizie… L’elenco avrebbe potuto continuare a lungo. Rosa sospettava che qualcuno si fosse venduto al nemico. All’inizio non aveva voluto crederci nemmeno lei, ma dopo un blitz a Lorenteggio pianificato in modo certosino per settimane, rivelatosi invece un buco nell’acqua, era stata costretta a rivedere le proprie posizioni. Qualcuno tra loro stava facendo il doppio gioco. Polizia, magistratura, servizi di intelligence… La talpa poteva essere ovunque.
Rosa gli aveva dato un incarico delicatissimo, che non era apparso su nessuna relazione di servizio né su qualsivoglia documento ufficiale per non correre il rischio di essere intercettato da mani nemiche. “Milano Confidential”, l’avevano nominato.
«Parti dal presupposto che non puoi fidarti di nessuno, nemmeno di me.»
«Sei pazza?» le aveva risposto.
«No. Se accetti, devi entrare nell’ordine delle idee che sarai solo. I frutti dell’indagine te li devi tenere per te, finché non capisci cosa sta succedendo e da dove stanno arrivando i soldi. So che è qualcosa di pazzesco, ma convinciti del fatto che ci stanno tenendo d’occhio. Non so chi. E fino a quan...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’ultimo sguardo
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. Copyright