La crisi di Cuba
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La crisi di Cuba non fu solo il momento più pericoloso della Guerra Fredda, fu il momento più pericoloso in tutta la storia umana". Con queste parole Arthur Schlesinger, storico, politologo e consigliere del presidente Kennedy descrive quei giorni di autunno che portarono l'umanità sul baratro della guerra termo - nucleare. Per due settimane, nell'ottobre del 1962, USA e URSS si ritrovarono faccia a faccia in un confronto che vide protagonisti il presidente americano John Kennedy e il Premier sovietico Nikita Chrushev. A fare da scenario alla più grave crisi della Guerra Fredda fu l'isola di Cuba, al centro di una partita a scacchi che trascinò il mondo sull'orlo della Terza Guerra Mondiale; una guerra che, a differenza delle precedenti, si sarebbe combattuta con armi atomiche in grado di portare all'olocausto nucleare e di annientare l'intera umanità. L'analisi di quei giorni non è descritta esclusivamente in modo cronologico, ma ampio spazio è dato ai presupposti storici ed alle testimonianze dirette dei protagonisti. Il racconto risulta avvincente e arricchito da colpi di scena che lasciano con il fiato sospeso. Dagli ultimi documenti desecretati emergono particolari e vicende sorprendenti, fino a poco tempo fa ancora top-secret.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9791221400427
1. LA SITUAZIONE GEOPOLITICA PRIMA
DELLA CRISI
1.1 L’America Latina tra USA e URSS – 1.2 La rivoluzione cubana – 1.3 Il nuovo ruolo internazionale di Cuba e la Baia dei Porci
1.1 L’America Latina tra USA e URSS
Tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, durante la fase della guerra fredda nota come coesistenza competitiva1 , gli eventi internazionali vedevano il comunismo in forte avanzata. La supremazia sovietica era ravvisabile sia sul piano economico che dal punto di vista politico. Il tasso di crescita delle economie pianificate, per quanto oggi possa sembrare incredibile, era più alto rispetto a quello dei Paesi capitalisti2 . Inoltre il grande vantaggio sovietico dal punto di vista aerospaziale fu confermato dalle imprese dello Sputnik, il primo satellite in orbita intorno alla terra lanciato il quattro ottobre 1957, e di Jurij Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio il 12 aprile 1961. Dal punto di vista geopolitico, le problematiche emerse nel secondo dopoguerra determinarono un aumento notevole del numero di attori protagonisti del nuovo sistema internazionale. Nel 1960, a causa del processo di decolonizzazione, il numero di Stati presenti sulla scena mondiale era triplicato (solo in Africa nacquero 17 nuovi Stati). Il raggiungimento dell’indipendenza da parte di moltissimi Paesi portò le due superpotenze a competere per estendere la propria influenza su nuovi continenti. La competizione tra USA e URSS si ampliò, dando vita ad una globalizzazione del bipolarismo e spostando l’epicentro dello scontro dall’Europa al resto del mondo. La conseguenza fu che la guerra fredda iniziò a coinvolgere Nazioni inizialmente estranee alla contesa internazionale. Inizialmente i sovietici, condizionati dal problema della successione a Stalin, dimostrarono di non essere pronti ad un cambiamento geopolitico così importante. Consolidatosi al potere il gruppo guidato da Nikita Chruščëv, il governo sovietico comprese l’importanza del momento storico, si rese conto delle nuove occasioni che si prospettavano e ne approfittò per tentare di sostituire, seppur senza pretese coloniali, l’influenza degli Stati Uniti e delle vecchie potenze europee nei nuovi Paesi.
Gli anni del segretario Chruščëv (1953-1964) furono dominati da una mentalità di esportazione del sistema comunista che rese l’Unione Sovietica, a seguito di un’apertura verso l’esterno dei rapporti diplomatici, per la prima volta presente come soggetto politico globale3 . Nel 1956, durante il ventesimo congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), apparve chiara la nuova linea generale di politica estera del Cremlino, delineata dalla teoria della coesistenza pacifica enunciata da Chruščëv e indirizzata verso un interesse nei confronti dei Paesi del Terzo Mondo, potenzialmente permeabili all’ideologia socialista. L’URSS riuscì ad avere una maggiore influenza in Cina e Asia, mentre gli Stati Uniti cercarono di aumentare la propria autorità in Sud America dove, tramite l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), provarono a limitare l’influenza delle teorie marxiste. Proprio l’America Latina si presentava come una regione politicamente instabile, nella quale i sovietici cercarono di appoggiare i governi che si posero in conflitto con gli Stati Uniti. In realtà i rapporti tra Stati Uniti e Stati sudamericani sono stati costantemente caratterizzati da problemi e politiche equivoche e, per comprenderne la natura, è necessario approfondire le relazioni tra USA e America Latina a partire dalla fine XIX secolo. Già tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, infatti, il capitalismo e l’economia di mercato statunitense si scontrarono con la mentalità conservatrice di regimi militari spesso corrotti. Il presidente Theodore Roosevelt ritenne che, oltre ad evitare l’intervento e le ingerenze delle potenze europee, la dottrina Monroe4 dovesse essere ampliata in modo da consentire agli USA di intervenire in America Latina, al fine di tutelare i propri interessi. Di fatto l’America Latina iniziò ad essere considerata una zona sottoposta all’influenza degli Stati Uniti5 . Nel primo dopoguerra emersero le teorie propugnate dal presidente Woodrow Wilson e dal suo consigliere territoriale alla Conferenza di pace di Parigi Bowman. Tali teorie erano basate sugli ideali del particolarismo americano. Pacifismo, libero commercio e un internazionalismo basato più sulla negoziazione che sul conflitto furono i principi cardine dell’ideale wilsoniano di politica estera. In realtà lo stesso Wilson fu uno dei primi presidenti americani machiavellici, in quanto fu il primo a compiere operazioni segrete e militari nei confronti di altri Paesi6 . Il caso della rivoluzione messicana del 1913, quando il governo americano occupò la città di Veracruz e inviò una spedizione contro il rivoluzionario Pancho Villa, costituisce un esempio dell’equivoca politica di Wilson.
Il fallimento degli ideali wilsoniani, certificato dalla mancata ratifica del Senato americano dell’ingresso degli USA nella Società delle Nazioni, determinò un inasprimento dei rapporti tra USA e Paesi latinoamericani. In effetti, nel primo dopoguerra, le relazioni tra gli Stati Uniti e i governi dell’America Latina furono caratterizzate da crescenti tensioni dovute all’interferenza, anche militare, statunitense a cui si contrapposero le resistenze locali, spesso appoggiate dai Paesi europei. In questo scenario, molti esponenti dei governi sudamericani guardarono con favore al mancato ingresso degli USA nella Società della Nazioni, nella quale entrarono a far parte molti Stati del Sud America per controbilanciare il predominio statunitense sul movimento panamericano7 . La situazione sembrò cambiare con l’elezione del nuovo presidente americano Franklin Delano Roosevelt, che intraprese una politica conciliante e meno interventista, da lui stesso definita “di buon vicinato”. A seguito della Conferenza panamericana di Montevideo del 1933, Roosevelt dichiarò di rinunciare a qualsiasi politica di intervento unilaterale. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, il governo degli Stati Uniti intraprese una politica volta a sviluppare il sentimento del panamericanismo, al fine di creare un blocco unito e pronto a sostenere le forze europee alleate con gli Stati Uniti. A questo proposito fu convocata a Washington una conferenza dei ministri degli esteri dei Paesi americani, a seguito della quale tutti i governi latinoamericani, esclusi Argentina e Cile, ruppero i rapporti con Italia, Germania e Giappone. Quelle di Cile e Argentina furono due defezioni importanti, in particolare l’Argentina fu la Nazione meno sensibile ai richiami di Washington e la più incline a farsi permeare dalla propaganda fascista e nazista.
Tutti gli altri Paesi appoggiarono la politica USA, il Brasile contribuì militarmente in Italia e il Messico si impegnò nella guerra nel Pacifico.8 Nell’immediato dopoguerra le relazioni internazionali tra Stati Uniti e Paesi dell’America Latina si svilupparono verso una collaborazione che permise a questi ultimi di essere coinvolti all’interno delle Nazioni Unite. La Conferenza di Rio De Janeiro del 1947 e la Conferenza di Bogotà del 1948 andarono in questa direzione e furono volte ad attuare gli art. 51 e 54 della Carta delle Nazioni Unite che prevedevano la possibilità di stipulare accordi regionali di autodifesa. Proprio a Bogotà, le diplomazie latinoamericane crearono l’Organizzazione degli Stati americani (OSA), segnando il punto più importante negli sforzi di creare una politica comune tra gli Stati americani. Un progressivo deterioramento tra USA e alcune Nazioni sudamericane fu determinato prima dal sorgere di nuovi regimi dittatoriali, poi dalle infiltrazioni comuniste in Sud America. Il 24 febbraio 1946 il generale Juan Domingo Peròn venne eletto Presidente dell’Argentina, appoggiato dai gruppi proletari di descamisados affascinati dalle sue promesse di giustizia sociale. Peròn governò l’Argentina per circa dieci anni, molto spesso in contrapposizione con gli USA e la Gran Bretagna, ponendosi come principale spina nel fianco degli Stati Uniti, in un contesto in cui governi simili nacquero in Cile, Ecuador, Colombia, Bolivia e Brasile. In realtà l’ascesa di Peròn e degli altri governi sudamericani, le loro riforme e la deriva populista e autoritaria, non preoccupavano eccessivamente il governo di Washington, in quanto non erano ravvisabili infiltrazioni marxiste. Le preoccupazioni statunitensi iniziarono ad aumentare con le prime avvisaglie di infiltrazioni sovietiche e comuniste. La Conferenza interamericana di Bogotà del 1948 aveva approvato una risoluzione che dichiarava il comunismo incompatibile con il concetto americano di libertà. Con il nuovo presidente Dwight Eisenhower, gli USA si impegnarono in una politica più attiva verso l’America Latina, in particolare dopo aver constatato l’infiltrazione di elementi comunisti all’interno del governo democratico del Guatemala. Il presidente guatemalteco Jacopo Arbenz aveva avviato una politica di riforma agraria volta a sottrarre alla multinazionale statunitense United Fruit Company alcuni territori, per distribuirli ai piccoli proprietari guatemaltechi. Tra i soci della multinazionale figurava il segretario di Stato americano John Foster Dulles, fratello del capo della CIA Allen Dulles. Eisenhower si schierò immediatamente contro Arbenz, convinto che il presidente guatemalteco fosse comunista o comunque sotto il controllo dei comunisti. Nel gennaio del 1954 il Presidente statunitense ordinò alla CIA di preparare quanto necessario a far cadere Arbenz, per sostituirlo con il colonnello Carlos Castillo Armas. Il pretesto per l’intervento degli USA ci fu il 15 maggio 1954, quando un mercantile svedese sbarcò in Guatemala con un carico di armi di marca cecoslovacca, con le quali il Presidente Arbenz intendeva armare una milizia popolare da contrapporre all’esercito. In questo modo fu infranta la dottrina Monroe e il piano statunitense poté entrare in atto. Furono inviate armi ai gruppi anticomunisti presenti nei Paesi confinanti con il Guatemala e venne ordinato un blocco navale del Paese centroamericano. L’Unione Sovietica si preparò ad inviare soccorsi ad Arbenz, ma la situazione si risolse in breve tempo a favore degli
USA che autorizzarono il dittatore del Nicaragua Anastasio Somoza a bombardare Città del Guatemala, costringendo il Presidente guatemalteco ad arrendersi. Castillo Armas, appoggiato dall’esercito, entro in città del Guatemala e la United Fruit Company ricevette indietro i terreni confiscati. Fu chiaro così il collegamento tra la tutela degli interessi della multinazionale statunitense e la lotta al comunismo.9 Negli anni successivi, la dittatura militare di Armas portò ad una guerra civile che causò migliaia di morti e accuse di genocidio e pulizia etnica. Fu questo il periodo in cui la CIA divenne una sorta di braccio armato segreto del governo americano, una creatura tipica della guerra fredda nata per contrastare le politiche sovietiche e capace di forti ingerenze nella sovranità degli altri Stati. Casi emblematici sono quello dell’Iran, del Congo e in Sud America, oltre al Guatemala, anche Cile e, come vedremo in seguito, Cuba. L’episodio del Guatemala dimostrò come gli americani fossero pronti a reagire e a intervenire direttamente in America Latina nel caso in cui fosse percepito un timore di infiltrazioni sovietiche, anche con il rischio di creare forti instabilità e di favorire regimi militari. Allo stesso tempo l’Unione Sovietica non intendeva lasciare campo libero agli americani in Paesi che potevano dimostrarsi ottimi alleati dal punto di vista strategico e geografico. L’evoluzione della situazione cubana tra gli anni Cinquanta e Sessanta e le cause della crisi del 1962 possono essere comprese, analizzando il ruolo del governo americano e della CIA, già con la vicenda guatemalteca. Dai rapporti del Dipartimento di Stato USA sulla visita in America Latina del vicepresidente Richard Nixon, tenutasi dal 27 aprile al 15 maggio 1958, emerge che l’instabilità politica ed i problemi economici presenti in gran parte delle repubbliche sudamericane, convinsero il Cremlino ad interessarsi fortemente alla situazione degli Stati latinoamericani, cercando di estendervi la propria influenza. La preoccupazione statunitense riguardava in particolare alcuni Paesi che guardavano con favore alla politica di Mosca e alle nuove imprese aerospaziali sovietiche. In queste zone, la crescita di sentimenti fortemente nazionalisti ed antiamericani si accompagnava all’ attività di propaganda svolta dall’Unione Sovietica. In particolare in Brasile e Venezuela i movimenti comunisti iniziarono, tra la fine del 1957 e l’inizio del 1958 ad avere un forte ascendente sui governi ma anche su sindacati, università e stampa. Inoltre le attività e la presenza sovietica si intensificarono in Paesi come Messico, Argentina e Uruguay. Oltre alle infiltrazioni politiche e di propaganda, il Cremlino aumentò i propri sforzi al fine di migliorare le relazioni commerciali e i rapporti culturali con i Paesi latinoamericani. In un contesto del genere, l’attenzione statunitense nei confronti dello scenario sudamericano aumentò notevolmente. Emblematica, a riguardo, è la nota del 29 dicembre 1959, indirizzata dal segretario di Stato americano Christian Herter ad Eisenhower, con la quale veniva espresso apprezzamento riguardo l’intenzione del Presidente di recarsi in visita in America Latina e si raccomandava di non escludere dal viaggio Paesi chiave, come Brasile e Cile, che erano già stati esclusi dalla precedente visita di Nixon. La visita in Sud America del Presidente Dwight Eisenhower, dal 26 febbraio al 7 marzo 1960, era volta a migliorare l’immagine degli USA nella regione tramite il dialogo con i governi sudamericani e a ribadire la presenza statunitense in America Latina. In un incontro con il Comitato per gli Affari Interamericani, Eisenhower sottolineò che il suo viaggio avrebbe evidenziato il supporto della Casa Bianca a tutti i popoli liberi, con chiaro riferimento al comunismo, e avrebbe rassicurato i governi amici che erano in attesa di una sua visita.10 .
La globalizzazione del bipolarismo determinò un’estensione della guerra fredda a tutto il mondo e l’America Latina divenne protagonista, per la prima volta, all’interno del nuovo sistema di relazioni internazionali, restando spesso in bilico tra le sfere di influenza delle due superpotenze. L’isola di Cuba sembrava un’eccezione rispetto al contesto generale del Sud America. Qui la forte influenza statunitense non sembrava vacillare e il dittatore Fulgencio Batista appariva come un alleato fedele degli USA. Ma fu proprio nell’isola caraibica che prese forma il peggior incubo della Casa Bianca, un incubo che ossessionò a lungo la CIA e i presidenti USA, un incubo che porta il nome di Fidel Alejandro Castro Ruz.
1.2 La rivoluzione cubana
L’isola di Cuba fu il principale teatro di scontro tra USA e URSS durante la guerra fredda in America Latina. L’influenza statunitense su Cuba fu molto forte alla fine dell’Ottocento e per tutta la prima metà del Novecento, al punto che prima dello scoppio della guerra civile americana fu coltivata la speranza, in particolare da parte dei proprietari terrieri, di annessione alla Repubblica nordamericana come Stato schiavista.
Nei primi mesi del 1899 gli Stati Uniti insediarono a
Cuba un governo di occupazione che favorì il capitalismo americano. Una vera e propria riduzione della sovranità nazionale cubana fu sancita in modo netto nel 1901 con l’emendamento Platt. Nello specifico l’emendamento Platt, inserito nella Costituzione cubana come condizione del ritiro delle truppe americane dall’isola in seguito alla guerra ispano-americana11 , prevedeva una forte ingerenza degli Stati Uniti negli affari militari cubani. Infatti agli americani fu concesso il diritto di intervenire sull’isola al fine di garantirne l’indipendenza e di acquistare siti cubani per installarvi basi militari, tra cui un’area di 11 mila ettari a Guantanamo. Quando l’isola acquisì la sua indipendenza nel maggio del 1902 era ormai lapalissiano che, di fatto, Cuba fosse divenuta un protettorato statunitense. L’emendamento Platt giustificò ben tre interventi armati statunitensi in poco più di dieci anni, al fine di risolvere crisi politiche interne. Dall’inizio degli anni venti le interferenze divennero meno cruente ma la presenza statunitense sull’isola fu a lungo ingombrante e rivolta a dettare ai governi cubani le politiche da seguire dal punto di vista economico e sociale.
I primi anni di indipendenza furono caratterizzati dalla corruzione e dall’avidità dei governanti cubani, in una scenario che fu scosso fortemente dalla crisi economica degli anni trenta. Il presidente cubano Gerardo Machado cercò di rispondere alla nascente conflittualità sociale con una forte repressione, ma la situazione si deteriorò ulteriormente fino a sfociare in una lotta politica segnata da attentati e atti banditismo. Ancora una volta l’ingerenza della Casa Bianca fu inevitabile, il nuovo presidente Franklin Delano Roosevelt appoggiò uno sciopero generale che spinse Machado alle dimissioni. Il nuovo governo di Ramòn Grau San Martìn varò un programma riformista, concesse il diritto di voto alle donne, ma ebbe anche un impronta nazionalista che portò all’abrogazione unilaterale dell’emendamento Platt suscitando l’ostilità di Washington12 .
Fu da questo momento che l’ex sergente Fulgencio Batista divenne l’arbitro del destino di Cuba, diventando interlocutore privilegiato degli USA e governando l’isola prima attraverso presidenti fantoccio, poi come presidente legittimo dal 1940 al 1944.
Dopo due parentesi governative di Grau e Priò Socarras, Batista riuscì a tornare al potere con un colpo di Stato nel marzo del 1952. La Casa Bianca si affrettò a riconoscere il nuovo governo, che restò in carica fino al 1959. In questo periodo l’economia cubana conobbe una buona crescita grazie soprattutto all’esportazione di zucchero e tabacco.
Tuttavia, Batista impose una dittatura molto dura, contraddistinta da una repressione poliziesca alla quale la popolazione provò a reagire con una serie di rivolte. Una vera e propria ribellione contro la dittatura prese forma tra gli studenti universitari. Il 26 luglio 1953 un gruppo di 150 ribelli, guidati dall’avvocato ventisettenne Fidel Castro, attaccò la caserma di Moncada a Santiago. Il piano dei rivoltosi prevedeva la distribuzione di armi alla popolazione, la diffusione via radio del programma degli insorti e l’invito rivolto al popolo a battersi per rovesciare Batista. L’operazione fallì e circa 70 ribelli vennero uccisi a sangue freddo o in seguito a torture. Tali efferatezze provocarono forti proteste e spinsero il vescovo di Santiago ad intervenire e a garantire l’incolumità dei superstiti. Fidel Castro e suo fratello Raul si consegnarono a Batista e vennero condannati a 15 anni di carcere. Durante il processo Fide...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Introduzione
  6. I principali protagonisti del confronto militare e diplomatico
  7. Cronologia essenziale
  8. 1 La situazione geopolitica prima della crisi
  9. 2 La crisi dei missili
  10. 3 A un passo dall’Armageddon
  11. 4 La risoluzione della crisi
  12. Conclusioni
  13. Note
  14. Bibliografia