Capitolo 1
Alla guerra!
1915. L’Italia in armi.
Ninna nanna, pija sonno/ché se dormi nun vedrai/ tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno/ fra le spade e li fucili/de li popoli civili.
Fa la ninna, cocco bello, / finchè dura sto macello:/fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani/che se scambieno la stima/boni amichi, come
prima.
So cuggini e fra parenti/ nun se fanno comprimenti:/torneranno più cordiali
li rapporti personali. /E riuniti fra de loro/senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso/su la Pace e sul Lavoro/pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!
Trilussa, 1914.
Ho lasciato la mamma mia
Per andare a fare il soldà…
C’è una lunga fila di uomini e ragazzi davanti a un centro di reclutamento.
In una grande stanza un maresciallo è seduto dietro una scrivania. Un soldato è appoggiato pigramente a un muro. Qualcuno spinge e un uomo in borghese è sbattuto fuori dalla fila.
Uomo, con accento milanese. «Cosa c’è vacca boia. Cos’è avete paura che finisca la guerra? Alè, senza complimenti. Guardali lì c’hanno fretta. Pecoroni!
Soldato: «Schhhh, boni. Boni. Schhh, state boni!»
L’uomo si avvicina.
Uomo: «Senti un po’ te, sei di servizio qui?» Soldato: «Me pare»
Uomo: «Sei romano?»
Soldato, con forbicina da unghie: «Perché?»
Uomo: «Eh perché…come si dice, l’italiano in fanteria il romano in fureria».
I due parlottano di un’esenzione dalla guerra per l’uomo.
Soldato: «Va beh, mo’ vedo che posso fa». Si allontana e si china sul maresciallo, bofonchiando qualcosa all’orecchio.
Maresciallo: «Che c’è, che dici? Non ti capisco!»
Soldato: «Marescia’ che posso aprì quella finestra laggiù? Quella vicino a quello spilungone. La finestra laggiù». Il maresciallo annuisce e l’uomo in fila spera.
Con calma indolente, il soldato si riavvicina all’uomo: «Sei a cavallo!»
Cambia scena e l’uomo è arruolato.
È l’inizio di quel capolavoro della cinematografia del 1959, firmato Mario Monicelli, che è “La Grande Guerra”. Gli attori principali sono Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Silvana Mangano, tre colossi del cinema. Senza retorica, con lacrime e sorrisi, il film racconta della guerra al fronte, tra miserie e gesti eroici. In particolare, si narra di due scansafatiche, imboscati e un po’ codardi, che alla fine diventano eroi per caso2. Una lente d’ingrandimento sulla guerra dei “poveri diavoli”, come li definì il regista in più interviste. Un film che ha avuto un successo stratosferico ma che non a tutti è piaciuto, in particolare a Carlo Emilio Gadda. Lo scrittore, in un moto di rabbia, dichiarò: «No, non dovete toccarmi Caporetto!». Gadda, come molti altri, ha partecipato in prima persona alla disfatta tragica di Caporetto. Tra i 300.000 italiani fatti prigionieri a Caporetto c’è stato anche lui. «Il pubblico ride, e non capisco cosa c’è da ridere».
Negli anni ’50 e ’60 il cinema, rappresentato da registi come Monicelli e Comencini, produce una serie di pellicole sul tema della guerra in cui, con ironia sferzante, si raccontano spaccati della nostra storia recente. La “Grande Guerra” e “Tutti a casa” (sulla Seconda guerra mondiale) sono capolavori non solo per le sceneggiature e la regia, ma perché riescono ad arrivare a tutti, raccontando con leggerezza (ma è davvero così?) la storia, in modo semplice. Parlando nello specifico della “Grande Guerra”: siamo sicuri che sia davvero un film comico? La scena in cui i soldati stanno tornando dalla prima linea e vengono accolti in un paesino dalla banda musicale non ha nulla di spassoso. Prima trombe e fanfare, poi, mentre i militari sfilano, cala il silenzio e le donne cominciano a piangere. La scena si conclude con le immagini dei soldati feriti e sporchi che marciano. L’unico rumore è quello del passo stentato dei combattenti. È un attimo congelato nel tempo. È la trasposizione cinematografica di quel che Curzio Malaparte descrive come «i fanti passano gravi e tristi, curvi sotto il peso dell'attrezzatura: il loro passaggio non solleva l'entusiasmo della folla. La folla vuole belle uniformi e cavalli scalpitanti. La fanteria è troppo severa, ricorda troppo gli orrori della guerra: e ciò non piace».3 Al passaggio della miseria si piange. La guerra non edulcorata in pochi minuti di pellicola. E ancora, la scena in cui Alberto Sordi-Iacovacci, appena arrivato in prima linea, vede una mano uscire dalla terra. È la mano di un morto sotto le macerie.
Monicelli ha preso come riferimento il diario di Carlo Salsa, Trincee4. Lo scritto è una delle cronache più drammatiche e feroci che ci sia giunta. Ma ce ne sono molte altre. Per esempio, il libro di Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano5, redatto in un linguaggio secco, demitizzante. O il diario di Paolo Monelli, Le scarpe al sole6, lirico e onirico. O, ancora, quello di Attilio Frescura, Diario di un imboscato7, ironico e tagliente. Infine, il diario di Giani Stuparich, Guerra del ’15, potente nella sua profonda umanità8. È in particolare a questi diari che farò riferimento. La risata, se sapientemente indirizzata, non manca di rispetto. In tempi più recenti la stessa sorte polemica ha raggiunto altri due capolavori: “La vita è bella”, di Roberto Benigni e “Train de vieUn treno per vivere”, di Radu Mihăileanu. Entrambi parlano della Shoah. Fanno ridere, ma non sono divertenti.
Quindi farò ampio uso di scene della “Grande Guerra”, memore dell’insegnamento di Monicelli che si può comunicare, a volte, più con una risata e un po’ di satira, che con l’eccessiva seriosità. E dunque aspettatevi un libro dove troverete ironia, talora sferzante. Un libro non deve rincuorare, deve far pensare, deve fare da pungolo. Attenzione, ironia, non mancanza di rispetto. Quello c’è, sopra ogni cosa, e non è in discussione. Per voi, ma soprattutto per i milioni di morti nel primo, inutile, grande conflitto mondiale.
Tutto ha un inizio, vero o presunto, palese o celato. Soprattutto le guerre.
È dal 1914, dal quel 28 giugno in cui, a Sarajevo, l’arciduca Francesco Ferdinando viene raggiunto dai colpi di pistola dell’irredentista serbo, Gavrilo Princip, che circola la leggenda contenuta nella frase: “due colpi di pistola, dieci milioni di morti, la fine di un mondo”.99
E dai, no.
Sono frasi a effetto che sembrano racchiudere il mistero dell’origine di una guerra. Sono slogan che si saldano nella mente di generazioni di studenti e non solo, facili da ricordare, ma che azzerano la complessità dei fatti. E così tutti si ricordano della “goccia” e non di come il vaso si sia riempito.
Intanto, ma chi era Francesco Ferdinando? L’erede del trono di Austria-Ungheria. Un erede antipatico all’imperatore Francesco Giuseppe (soprannominato familiarmente Cecco Peppe). Al vecchio imperatore sarebbe piaciuto il principe Ottone, ma il giovanotto si era ammalato e risultava fuori gioco. Ferdinando gli era talmente in urto da dover promettere all’imperatore che i suoi eventuali figli non sarebbero stati eredi al trono.
Dunque, il 25 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando arriva in visita ufficiale in Bosnia, accompagnato dalla moglie, la duchessa Sofia Chotek. In vista di una possibile successione al trono, l’erede ha da tempo iniziato a fare politica e ad interessarsi alla questione balcanica. Egli sostiene, infatti, la necessità di riequilibrare i rapporti politici all’interno dell’Impero ai danni della popolazione ungherese e in favore degli slavi. Sono molte le etnie presenti nell’Impero austro-ungarico. Nei popoli slavi le spinte autonomiste si fanno pressanti e forte è il desiderio di autodeterminazione delle singole etnie.
Il risentimento nei confronti degli Asburgo è tenace soprattutto tra gli irredentisti bosniaci e serbi tanto che, alla fine del 1913, quando viene annunciata la visita di Francesco Ferdinando in Bosnia, un giornale serbo incita gli irredentisti affinché si diano una mossa ed entrino in azione: “Serbi, prendete tutto ciò che potete: coltelli, fucili, bombe e dinamite. Compite una giusta vendetta. Morte alla dinastia degli Asburgo, un pensiero eterno agli eroi che alzano la mano contro di essa”. A raccogliere l’appello è lo studente Gavrilo Princip con due amicicomplici, Nedeljko ýabrinoviü e Trifko Grabež. I tre studenti sono armati di sei bombe a mano e quattro pistole, concesse, con gli omaggi, dalla società segreta serba “La Mano Nera”10. Il 28 l’arciduca viaggia in un’auto scoperta e una bomba viene lanciata contro l’auto; l’ordigno rimbalza sulla cappotta ed esplode vicino a una delle auto di scorta facendo una ventina di feriti. Poi partono i colpi di pistola. La giustizia rincorre veloce l’attentatore e i suoi complici e si dimostra durissima, ma con qualche falla nelle indagini. Dall’inchiesta, fatta a tempo di record, emergono varie domande senza risposta. Perché il governatore di Sarajevo Potjorek non ha curato meglio la sicurezza? Perché quel giorno la macchina ha preso una strada sbagliata? Perché la macchina rallenta e fa marcia indietro per riprendere un nuovo tragitto, avvicinandosi troppo al marciapiede di destra? Perché circolavano liberamente serbi ostili alla corona?11
Perché non si sono fatti adeguati controlli? La tensione era nell’aria, c’erano già stati degli attentati contro l’arciduca. Se da me vi aspettate una risposta rimarrete delusi. Però mi ricorda qualcosa successo a Dallas qualche decennio dopo… Ma poi la verità interessa davvero a qualcuno? L’incidente è quello che ci vuole, è il casus belli per tensioni che hanno radici lontane.
La Prima guerra, Francesco Ferdinando a parte, è stata una lotta tra stati nazionali (che fanno leva sugli orgogli patriottici) per il controllo economico dell’Europa, per il potere di uno stato sugli altri. La guerra, per quasi tutti i paesi coinvolti, è stata un evento inatteso ma segretamente auspicato; è stata una tragedia, certo, ma anche l’occasione per risolvere vecchi rancori e l’opportunità di completare progetti di unità nazionale, romanticamente vagheggiati ma non ancora concretizzati.
La parola d’ordine è imperialismo. Se l’Italia con le sue poche e scarne colonie è un fanalino di coda, Gran Bretagna, Germania, Russia e Francia ampliano, con successo e in modo considerevole, i rispettivi imperi. Sono prime donne che concorrono al medesimo premio: la supremazia in Europa. L’ostilità e la violenza tedesca -che vengono sempre chiamate in causasono vere sì, ma fino a un certo punto. Dietro si nascondono interessi economici e mire espansionistiche che coinvolgono, in vario modo, tutte le nazioni. Germania e Gran Bretagna si guardano in cagnesco, l’una controllando le conquiste coloniali dell’altra. La Francia, dal canto suo, medita vendetta contro la Germania e sogna di riprendersi l’Alsazia e la Lorena, perse nel conflitto del 1870-’71. La Russia tiene d’occhio la Germania e l’Impero austro-ungarico per il controllo sui Balcani, dei Dardanelli e delle pianure orientali. L’Italia sogna (una piccola parte, in verità) di portare a termine il processo di unificazione di risorgimentale memoria, e annettere Trento e Trieste. “Guerra di difesa!” viene gridato dai paesi alle proprie genti. In realtà si tratta solo di un alibi messo in circolazione a suon di propaganda. Del resto, per mobilitare milioni di persone e mandarle a combattere bisogna che un nemico e una motivazione ci siano. Ma che succede se tutti sono nemici di tutti? Se tutti si difendono chi è che attacca?
Quello alla vigilia della guerra non è solo un mondo attraversato da forti tensioni: è una società brillante. È lo scintillio della Belle Époque, della fiducia nel progresso infinito, dei quarant’anni di pace in Europa, del rombo delle macchine a motore e di Carl Marx. Un mondo che solo ieri ha avuto Mazzini e Garibaldi, gli eroismi e i sogni di unità risorgimentali. È una società in continuo movimento, in cui la tecnologia ha fatto ...