Numerose sono le fonti disponibili per la ricostruzione storica dei tragici avvenimenti del 1915-16, nonostante la distruzione o la scomparsa di un gran numero di documenti turchi alla fine della seconda Guerra mondiale. Nel corso degli anni Ottanta, la Turchia iniziò a rendere accessibili materiali d’archivio e, da allora in poi, autori turchi e armeni hanno reperito e pubblicato una gran quantità di documenti. Disponiamo sia dei rapporti del personale consolare statunitense, tedesco e austriaco, sia dei racconti dei missionari protestanti testimoni diretti delle deportazioni avvenute in Anatolia. Molti componenti della missione militare tedesca hanno fornito alcune ricostruzioni dei fatti e numerosi armeni sopravvissuti alle deportazioni hanno scritto le loro memorie. Tutto ciò offre un ricco mosaico di informazioni e, in molti casi, il confronto tra le fonti consente di verificarne l’attendibilità. Com’è abbastanza normale, l’informazione disponibile è caratterizzata da diversi gradi di attendibilità, e alcuni aspetti degli accadimenti che qui interessano risultano piú illuminati di altri. Nelle pagine seguenti prenderò in considerazione utilità e importanza delle fonti dirette ai fini dell’analisi di deportazioni e massacri1.
Archivi turchi.
Davanti al rinnovato interesse per i massacri degli armeni manifestatosi nell’ultimo ventennio e al moltiplicarsi delle richieste d’accesso alla documentazione turca avanzate da studiosi occidentali, la Turchia, nel 1982, iniziò la traslitterazione (in turco moderno) e la pubblicazione dei documenti relativi alla questione armena. Tre volumi di documenti sono stati anche tradotti in inglese e pubblicati nel 1982-83 e nel 19892. La traduzione lascia molto a desiderare e la pubblicazione risponde a un evidente intento politico. Come osserva il curatore nell’introduzione al secondo volume della serie:
I documenti qui pubblicati costituiscono un lungo catalogo delle atrocità e dei massacri di popolazione turca perpetrati dagli armeni negli anni della prima Guerra mondiale. Questi stessi documenti mostrano chiaramente quale giusto e leale trattamento sia stato riservato dalle autorità ottomane a tutti i cittadini, indipendentemente dalla religione, dall’etnia e da qualsiasi altra considerazione3.
I documenti in questione riguardano pressoché esclusivamente l’attività ribellistica degli armeni. Non c’è in pratica documento che accenni a trasferimenti coatti o a requisizioni delle proprietà degli armeni.
Nel gennaio 1989, il ministro degli Esteri turco annunciò l’imminente apertura degli archivi turchi; in primo luogo, spiegava, per smontare le accuse di genocidio lanciate dagli armeni. Il ministro dichiarò, inoltre, che vi era l’intenzione di rendere disponibile su microfilm, per le biblioteche occidentali, il materiale d’archivio riguardante il trattamento degli armeni. Al momento di questo annuncio, solamente il nove per cento dei documenti era stato catalogato, il che rendeva problematico, per l’eventuale ricercatore, farsi un’idea di che cosa potesse trovare negli archivi aperti al pubblico. Gli studiosi di tutto il mondo accolsero positivamente questa decisione; alcuni si dissero, però, preoccupati dell’atteggiamento marcatamente di parte degli storici incaricati di gestire il nuovo programma, anche per il timore che potessero in qualche modo sparire i documenti contrastanti il punto di vista turco sulle deportazioni4. Il ritardo nell’apertura degli archivi, ha sostenuto Dadrian, non fu dovuto a inettitudine; semplicemente consentí di «bonificare la documentazione»5.
Il modo in cui è stato regolato l’accesso agli archivi dal 1989 non ha certo placato queste preoccupazioni. Il ricercatore statunitense Ara Sarafian, per esempio, ha potuto lavorare per sette mesi, nel 1991-92, in alcuni archivi turchi, vedendosi, però, negare l’accesso a documenti resi disponibili ad altri ricercatori piú vicini al punto di vista turco, quali, per esempio, Stanford Shaw, Justin McCarthy, Kemal Karpat6. Ismet Binark, direttore degli archivi di Stato turchi, negò qualsiasi diversità di trattamento tra Sarafian e gli altri ricercatori7. In occasione di una successiva consultazione degli archivi nel gennaio 1995, Sarafian dichiarò di non avere incontrato «alcuna difficoltà d’accesso al materiale catalogato» e di aver potuto «consultare documenti che [gli] erano stati negati in occasione delle precedenti ricerche». Nello stesso tempo, però, affermò che ad «autori di parte è garantito un accesso esclusivo e privilegiato a queste collezioni anni prima che i materiali siano resi disponibili al vaglio di altri studiosi»; creando in tal modo un «sistema di doppia corsia» che rende impossibile la ricerca scientifica8. Il direttore degli archivi di Stato replicò nuovamente alle accuse di Sarafian insinuando che «motivo della sua insoddisfazione potrebbe essere il non ritrovamento di documentazione favorevole alla sua tesi preconcetta, essendo egli di origine armena»9. La faccenda si concluse nell’estate del 1995 allorché Sarafian denunciò di non aver potuto consultare documenti già citati da autori turchi e fu malmenato da un guardiano. Minacciato di espulsione, Sarafian abbandonò precipitosamente la Turchia e fu informato, poco dopo, da colleghi, di esserne stato espulso in contumacia. Pure il suo collega tedesco Hilmar Kaiser fu espulso con rito sommario per «motivi disciplinari». Secondo Sarafian, le autorità turche «sembrano voler applicare una linea di apertura degli archivi ma, in realtà, limitano l’accesso agli studiosi su posizioni critiche e incoraggiano gli autori favorevoli a sostenere il punto di vista nazionalistico turco»10. Personalmente, non ho avuto modo di conoscere la versione turca della faccenda che condusse all’espulsione di Sarafian e Kaiser.
Lo stato maggiore dell’esercito turco ha pubblicato una storia in ventisette volumi, definita da Erickson «comprensiva e attendibile»11, nella quale si documenta la funzione avuta dall’esercito ottomano durante la prima Guerra mondiale. Nei primi anni Settanta, Dyer ebbe la possibilità di lavorare proficuamente nell’archivio dello stato maggiore turco ad Ankara. Nel 1996, però, Zürcher affermava che gli archivi dello stato maggiore «sono pressoché chiusi agli stranieri (e anche alla maggior parte degli studiosi turchi)»12. Erikson ebbe accesso a questo archivio, ma non fu proprio entusiasta di com’era gestito, in generale, l’accesso ai documenti turchi. «Solamente una parte limitata del notevole patrimonio archivistico turco è accessibile ai ricercatori, peraltro sotto stretta sorveglianza delle autorità turche»13. Un giudizio che sembra riassumere bene la situazione attuale.
L’archivio politico del ministero degli Esteri tedesco.
L’archivio del ministero degli Esteri tedesco è interamente catalogato e i suoi fondi sono aperti ai ricercatori. L’archivio politico contiene la documentazione dell’ambasciata tedesca in Turchia e le relazioni dei consoli tedeschi in Anatolia; materiali che costituiscono una delle fonti piú importanti degli avvenimenti del 1915-1916. Alcune informazioni presenti nelle relazioni consolari sono di provenienza armena, ma la maggior parte di quanto scritto dai consoli è frutto di osservazione diretta e personale.
Nel 1919, il tedesco Joahnnes Lepsius pubblicò una raccolta di 444 documenti tratti dall’archivio del ministero degli Esteri tedesco con il titolo Deutschland und Armenien 1914-1918: Sammlung diplomatischer Aktenstücke (Germania e Armenia 1914-18: raccolta di documenti diplomatici)14. Lepsius, notoriamente amico degli armeni, aveva già scritto, nel 1897, un libro in cui denunciava i massacri di armeni compiuti sotto il regno di ‘Abd ul-Hamīd II negli anni Novanta del XIX secolo15. Nel luglio-agosto 1915 trascorse tre settimane a Istanbul, e qualche altra a Sofia e Bucarest, dove raccolse materiale relativo ai massacri piú recenti. L’anno successivo pubblicò Bericht über die Lage des armenischen Volkes in der Türkei (Rapporto sulla situazione del popolo armeno in Turchia)16. In seguito alle proteste del governo turco, e per venire incontro alle richieste dell’alleato, il censore tedesco limitò il numero delle copie commerciabili e, infine, vietò l’ulteriore stampa e distribuzione del libro. Nel 1918, Lepsius chiese al ministero degli Esteri tedesco di accedere alla documentazione in suo possesso allo scopo di far luce sulle accuse, mosse da Alleati e da molti armeni e turchi, secondo cui la Germania sarebbe stata responsabile di deportazioni e massacri di armeni durante la prima Guerra mondiale. Il ministero degli Esteri tedesco, già intenzionato a pubblicare un libro bianco in proposito, accolse prontamente la richiesta e, l’anno successivo, Lepsius pubblicò i citati 444 documenti. Gli fu garantito l’accesso all’intera documentazione posseduta dal ministero degli Esteri e il ...