Martin Luther King
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Martin Luther King

Una storia americana

Paolo Naso

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  1. 224 pagine
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Martin Luther King

Una storia americana

Paolo Naso

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La compassione autentica non consiste nel gettare una moneta a un mendicante: ciò non è che superficialità. Essa nasce dall'evidenza che una struttura sociale che produce la povertà ha bisogno di essere riorganizzata da cima a fondo.Martin Luther King

Il grande merito di questo intenso libro di Paolo Naso, che unisce lo spessore di un saggio e la leggerezza di un romanzo, è quello di tenere viva e al tempo stesso rinnovare la memoria storica del patrimonio di ideali e di idee, di valori e di esperienze di cui Martin Luther King e il movimento di massa degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento si fecero interpreti.Enzo Bianchi, "Tuttolibri"

Una biografia che ricostruisce l'azione di Martin Luther King come parte integrante della storia americana senza nascondere il travaglio interiore, le debolezze e il progressivo isolamento di un leader che, denunciando la connessione tra razzismo, ingiustizia sociale e militarismo, firmò la sua condanna a morte.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788858148990

IV.
Un tempo per seminare,
un tempo per raccogliere

Penso che il movimento abbia creato Martin,
piuttosto che Martin abbia creato il movimento.
E non è un discredito per lui.
Ella Baker
Il 1° febbraio del 1960 quattro studenti neri della facoltà di Agraria dell’Università di Greensboro, in North Carolina, entrarono nella caffetteria della popolare catena Woolworth e si sedettero in attesa del cameriere. Come previsto e ben pianificato, questi non arrivò per raccogliere l’ordine ma per intimare loro di andarsene perché in quel locale non si servivano clienti di colore. Di fronte a quella intimazione “i quattro”, come poi vennero apostrofati – Joseph McNeil, Franklin McCain, Ezell Blair e David Richmond –, restarono fermi e impassibili sui loro sgabelli, disobbedendo agli ordini dei gestori del locale prima e dei poliziotti dopo. Se ne andarono solo all’ora di chiusura. Il giorno dopo la storia si ripeté ma con un gruppo più ampio di dimostranti e con una protesta che si estese ad altri esercizi; e così il giorno dopo ancora, fino al 5 febbraio. Nel linguaggio di oggi questa forma di mobilitazione divenne “virale” al punto che si calcola che in quei mesi circa 70.000 studenti si mobilitarono in diversi sit-in; 3600 dimostranti furono arrestati in quella che «Time» definì «una protesta nonviolenta come negli USA non si era mai vista»145. King espresse il suo sostegno a questa mobilitazione, che però, pur ispirandosi ai metodi nonviolenti e alla “scuola di Montgomery”, prescindeva dalla strategia pianificata dalla SCLC e dal suo leader e, soprattutto, nasceva spontanea e indipendente. Il mentore di questa giovanissima generazione di attivisti non fu il reverendo King ma il suo collega James Lawson, Jim per i suoi interlocutori più diretti. Lo accompagnava il carisma dell’obiettore di coscienza e del missionario che aveva vissuto in prima persona l’eredità spirituale e politica del movimento gandhiano. Rientrato in Tennessee nel 1956, tre anni dopo aveva dato vita al Nashville Student Movement, che praticò una forma di protesta del tutto analoga a quella di Greensboro. Il valore aggiunto dell’esperienza acquisita in India consentì a Lawson di animare veri e propri seminari di formazione alla tecnica nonviolenta i cui partecipanti, oltre a ricevere una formazione teorica, imparavano a “resistere” psicologicamente e fisicamente alla violenza esercitata contro di loro. Lo conferma il dettagliato codice di comportamento preparato da Lawson e distribuito ai manifestanti:
Non reagite fisicamente o verbalmente se aggrediti.
Non ridete ad alta voce.
Non attaccate discorso col personale [di polizia, N.d.A.].
Non alzatevi finché non ricevete istruzioni dal leader.
Non bloccate gli ingressi al negozio o alle corsie.
Mostratevi sempre cordiali o cortesi.
Sedete eretti e sempre faccia al banco.
Riferite ogni episodio significativo al vostro leader.
Riferite tutte le informazioni al vostro leader.
Ricordate gli insegnamenti di Gesù Cristo, Mohandas K. Gandhi e Martin Luther King.
Ricordate l’amore e la nonviolenza.
Dio vi benedica tutti146.
Da questi laboratori e grazie alla spinta organizzativa dell’instancabile Ella Baker che operava per conto della SCLC, nel 1960 nacque lo Student Nonviolent Coordinating Committee (SNCC, generalmente pronunciato “Snik”), il quale in breve reclutò altri personaggi che avrebbero assunto un ruolo di primo piano nel movimento per i diritti civili negli anni successivi; tra gli altri James Bevel, come vedremo ispiratore del raduno di Washington del 1963 e delle marce tra Selma e Montgomery nel 1965, e poi, dopo la morte di King, schieratosi con la destra reaganiana e distrutto da una poco edificante vicenda giudiziaria in seguito all’accusa di incesto147; C.T. Vivian, che di lì a poco avrebbe organizzato i freedom buses sui quali bianchi e neri, viaggiando insieme, sfidavano le autorità locali che, contro ogni norma, continuavano a difendere la segregazione nei trasporti; Stokely Carmichael, che da posizioni integrazioniste e nonviolente in breve sposò l’ideologia del nazionalismo nero, diventando uno dei leader del Black Panther Party; Diane Nash, una delle poche donne che riuscirono a entrare nella ristretta leadership molto maschile del movimento e della SCLC in particolare, intellettuale e attivista i cui meriti non sono ancora del tutto stati riconosciuti148; John Lewis, all’inizio di una brillante carriera politica che lo avrebbe portato ad essere una delle personalità di spicco del Partito democratico; Marion Barry, poi controverso sindaco di Washington, finito sotto i riflettori per il consumo di droghe e per altri reati di ordine fiscale.
Queste rapidissime note biografiche sono sufficienti a dare la misura della eterogeneità del gruppo e a spiegare perché, dopo una brillante partenza, lo SNCC scoppiò sotto il peso delle sue contraddizioni interne149.

Movimentismo e separatismo

I primi mesi del 1960 furono intensi e produttivi, ma politicamente molto complicati. La SCLC sosteneva le proteste, che però si avviavano in autonomia e secondo uno schema tipicamente “movimentista”, incoraggiato dalla Baker ma avversato dalla “vecchia guardia” della SCLC. King e Lawson si posero in una posizione intermedia, evitando di porre il cappello della SCLC su un’iniziativa che era nata in autonomia e mettendo in campo energie nuove. Questo atteggiamento prudente si riflesse nel fatto che al raduno SNCC convocato a Raleigh (North Carolina), presso la Shaw University il 15 aprile, il relatore di punta fosse Lawson e non King, che pure era in città. King si tenne qualche passo indietro, ma non rinunciò ad esprimere pieno sostegno pubblico a un movimento che giudicava «espressione dell’anelito del nuovo nero alla libertà e alla dignità umana [...]. Una generazione di giovani – plaudiva – è emersa da decenni di oscurità per affrontare a mani nude il potere dello Stato; ha abbandonato le sue paure, ha sperimentato la solenne dignità di una lotta per la propria liberazione»150. Con i pochi mezzi a disposizione – un budget di 800 dollari151 – la Baker organizzò la conferenza in ogni dettaglio, cercando di bilanciare esigenze diverse, prima tra tutte quella di strutturare un evento politico nel rispetto delle sensibilità e delle intenzioni degli studenti che «non erano pagine bianche» sulle quali lei o King avrebbero potuto o dovuto imporre un marchio152.
Nonostante l’abile regia e il passo indietro di King, le polemiche esplosero comunque a seguito dell’intervento di Lawson che, inaspettatamente, ebbe toni molto critici nei confronti delle componenti “moderate” del movimento. «Questo movimento non è solo contro la segregazione. È contro i neri alla zio Tom, contro la fiducia eccessiva che la NAACP ripone nei tribunali e contro la futile tecnica della classe media di mandare lettere ai centri di potere». Ridicolizzando «la via mediana dell’adattamento al male sociale», invocò la strada di una «rivoluzione nonviolenta»153.
La critica al moderatismo della NAACP suscitò un terremoto e mise seriamente a rischio la strategia di King, tesa a evitare la contrapposizione frontale con la più antica e – almeno al Sud – organizzata associazione afroamericana. Roy Wilkins, segretario esecutivo della NAACP, arrivò a scrivergli una lettera di fuoco nella quale si dichiarava «disorientato e grandemente angosciato» dall’«immotivato attacco» subito da parte di uno degli uomini di punta della SCLC154.
Infuriato contro King anche un altro esponente dell’establishment afroamericano, il pastore e congressman Adam Clayton Powell, una delle icone più celebrate della Black Harlem di quegli anni155. Powell fu infastidito dal progetto di alcuni esponenti della SCLC di organizzare delle manifestazioni in occasione delle imminenti conventions repubblicana e democratica per attirare l’attenzione dei partecipanti e degli osservatori sul tema del diritto di voto ai neri156. Il parlamentare nero non gradiva una mobilitazione promossa da altri soggetti che avrebbe messo in ombra la sua personale azione politica e il suo ruolo all’interno del Partito democratico. Le critiche a King furono frontali e violente, sino all’accusa – invero non originale – di essere condizionato da «interessi socialisti» e di essere manipolato da una persona «come» Stanley Levison che, nel linguaggio rude di certa politica, significava un ebreo e un comunista. King provò a moderare i toni della polemica, ma lo spregiudicato Clayton Powell arrivò a minacciarlo che, se non avesse licenziato Bayard Rustin e cancellato ogni dimostrazione alla convention democratica, era pronto a spiattellare in pubblico quella che lui riteneva una relazione omosessuale tra i due: il leader della SCLC e il suo impiegato notoriamente gay157. Tra le accuse a King questa appare la meno plausibile, eppure produsse almeno uno degli effetti auspicati da Clayton Powell: le “forzate” dimissioni di Rustin accolte da King che, forse troppo frettolosamente, inten...

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