L'occasione mancata
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L'occasione mancata

Mani pulite trent'anni dopo

  1. 272 pagine
  2. Italian
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L'occasione mancata

Mani pulite trent'anni dopo

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Mani pulite ha segnato una rottura senza precedenti nella recente storia italiana. A distanza di trent'anni, Piercamillo Davigo ne ripercorre le tappe, ricostruisce tutti i tentativi messi in atto per indebolire i processi, traccia un bilancio – decisamente amaro – dei frutti di quella stagione.

«Le difficoltà che i miei colleghi e io abbiamo incontrato sono state enormi per una ragione semplice: non si può processare un sistema prima che sia caduto. All'inizio delle indagini sembrava che i guasti fossero limitati ai partiti politici (neppure tutti) e alle imprese che avevano rapporti esclusivi o prevalenti con la pubblica amministrazione. Strada facendo ci siamo accorti che il malaffare era dilagato ben oltre questi limiti». Quello che emerse a partire dalle inchieste avviate nel 1992 fu, infatti, un quadro gravissimo. Le dimensioni e la natura degli illeciti scoperti, il fatto che esponenti di partiti, pubblicamente contrapposti, di nascosto si spartivano le tangenti, la collocazione ai vertici della politica e dell'economia di molti dei soggetti sottoposti a indagini, lo sconcerto creato nell'opinione pubblica da quanto emerso ebbero conseguenze dirompenti. Se il lavoro del pool venne inizialmente accolto dall'opinione pubblica con entusiasmo, poi lentamente i legami di potere si rinsaldarono e da allora l'Italia è teatro di uno scontro tra il tentativo di far osservare la legge anche ai detentori del potere politico ed economico e la tentazione di questi poteri di sottomettere gli organi giudiziari alla volontà politica. Poteva essere l'inizio di un positivo rinnovamento per l'Italia. Ma fu un'occasione persa.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858147665
Argomento
Economics

1.
Una pianta dalle radici antiche:
prima di Tangentopoli

1. Dov’erano prima i magistrati?

Non è sempre facile riconoscere di avere compiuto azioni contrarie alla legge o alla morale (le due categorie, per inciso, hanno estese aree di sovrapposizione ma non coincidono mai perfettamente). I criminologi chiamano “tecniche di neutralizzazione” le attività che i colpevoli pongono in essere per giustificare verso sé stessi e verso gli altri le azioni compiute. Quando a compiere degli illeciti sono i cosiddetti “colletti bianchi” poi, i tentativi di minimizzazione del proprio operato sembrano moltiplicarsi, quasi che i colpevoli non accettino di perdere la loro immagine esteriore di “rispettabilità”.
Durante le indagini di Mani pulite, una delle frasi che più di frequente gli imputati di corruzione ripetevano era: “E gli altri?”, lamentando il fatto che solo loro erano stati scoperti mentre “gli altri” no. Affermazione decisamente singolare! In Italia è possibile sapere dalle statistiche giudiziarie quante autovetture vengono rubate ogni anno, dal momento che in genere tutti, o quasi, i furti d’auto vengono denunciati. Se si confronta tale dato con quello delle condanne per furto d’auto si scopre che – purtroppo – solo un’esigua percentuale degli autori di tali furti viene scoperta e condannata. Tuttavia, in oltre quarant’anni di magistratura non ho mai sentito ladri d’auto protestare per essere stati presi solo loro. In ogni caso, la risposta corretta – sia per il ladro d’auto sia per il colpevole di corruzione – è la medesima: “Da qualcuno dobbiamo pur cominciare; comunque se poi vuole indicarci i suoi colleghi processeremo anche loro!”.
Vale per tutti, il fatto che altri avessero commesso reati simili ai propri non è certamente una giustificazione.
Un’altra domanda che ci veniva ripetuta era: “Dov’erano prima i magistrati?”, sottintendendo che in passato questi reati non erano stati adeguatamente repressi.
Nemmeno questa provocazione serve ad attenuare la gravità dei comportamenti scoperti, ma comunque proverò a rispondere, anche perché in questo caso si tratta di una formula che è stata fatta propria non solo dagli imputati ma anche da diversi, e a volte autorevoli, protagonisti della discussione pubblica.
I magistrati (se non tutti, certamente la grande maggioranza) erano al loro posto e facevano ciò che riuscivano a fare13, tenendo conto della difficoltà in cui versano da sempre gli apparati giudiziari e delle gravissime e continue emergenze che avevano interessato negli anni recenti il nostro paese, dal terrorismo alla criminalità organizzata. Va anche ricordato che i reati legati al malaffare dei “colletti bianchi” hanno delle caratteristiche specifiche che rendono spesso difficile indagare con efficacia.
La corruzione è un reato a cifra nera elevatissima (la cifra nera è la differenza fra i delitti commessi e quelli denunciati). Per capirci, mentre i già ricordati furti d’auto vengono denunciati quasi tutti, i casi di corruzione non vengono denunciati quasi mai. Le ragioni sono molteplici: anzitutto la corruzione è un reato a vittima diffusa, danneggia molte persone, a volte l’intera collettività, ma le stesse vittime non ne hanno piena consapevolezza. In secondo luogo, gli atti di corruzione non avvengono in luoghi pubblici e comunque non consistono in azioni immediatamente percepibili come criminali. Se vedo delle persone a volto coperto uscire di corsa da una banca con tanto di armi capisco che probabilmente hanno commesso una rapina. Se vedo invece delle persone, magari in elegante abito grigio, che si scambiano una valigetta non ho l’immediata percezione di un illecito. La corruzione è nota in genere solo a corrotti, corruttori e intermediari, i quali hanno – per ragioni ovvie – il convergente interesse al silenzio.
Nondimeno un certo numero di episodi viene sempre a conoscenza dell’autorità giudiziaria e perseguito.

2. Uno Stato infestato dalla corruzione appena nato

La storia d’Italia conta numerosi scandali che si sono susseguiti ben prima del 1992. Sarà forse utile ricordarne almeno alcuni.
Una delle prime vicende fu quella denunciata da Cristiano Lobbia, eroe garibaldino transitato nel Regio esercito con il grado di maggiore ed eletto deputato al Parlamento della neonata Italia unita.
Era il 1868. Poco dopo il trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze, la necessità di fronteggiare l’enorme debito pubblico aveva indotto a privatizzare la Regia manifattura tabacchi. Disposte all’acquisto erano una cordata francese (che l’avrebbe pagata di più, subito e in contanti) e una cordata italiana facente capo a Pietro Bastogi14, le cui condizioni erano meno favorevoli. La cessione avvenne a favore della cordata di Bastogi e l’opposizione insorse tacciando governo ed esponenti della maggioranza di corruzione, e chiedendo l’istituzione di una commissione d’inchiesta.
Di fronte alla resistenza della maggioranza, Cristiano Lobbia si alzò alla Camera dei deputati e mostrò due plichi in cui affermava di avere prove della corruzione. La Camera a quel punto votò a favore dell’istituzione della commissione d’inchiesta, la quale convocò Lobbia per il 16 giugno 1868. La notte prima della sua audizione Lobbia subì un attentato, ma essendo armato fece fuoco costringendo il sicario a fuggire. Tra l’altro, quest’episodio drammatico si intreccia curiosamente con la storia della moda: nella colluttazione la bombetta del parlamentare si schiacciò e nacque il cappello “alla Lobbia”, antenato del borsalino, destinato a diventare uno dei brand italiani noti in tutto il mondo.
Ma torniamo alla vicenda: Lobbia divenne un eroe di fama internazionale, ma fu poi sottoposto da magistrati appositamente scelti dal ministro di Grazia e Giustizia a procedimento penale per simulazione di reato, inizialmente condannato e infine assolto (mentre i magistrati infedeli furono rimossi)15.
Lobbia, dopo l’assoluzione, disgustato da quanto era accaduto, si dimise da parlamentare, lasciò il Regio esercito e si arruolò con Giuseppe Garibaldi per andare a combattere con l’Armata dei Volsci a favore della Francia nella guerra franco-prussiana del 1870. Dopo la guerra Lobbia tornò a vivere ad Asiago, suo luogo natale, dove morì alcuni anni dopo. Ad Asiago ogni inverno vengono realizzate statue di ghiaccio, e alcuni anni fa ne fu fatta una di Lobbia, poi venne la primavera e la statua si sciolse16.
Il nome di Cristiano Lobbia è oggi sconosciuto ai più, mentre quello di Bastogi ricorre ancora nei corsi della Borsa, segno che in questo paese, purtroppo, chi viola la legge spesso ha sorte migliore di chi la rispetta.
Un altro grave scandalo fu quello della Banca Romana, in cui emerse che tale banca, uno degli istituti di emissione, stampava banconote con il numero di serie duplicato. Si tratta di un caso politico-finanziario di rilevanza nazionale che fu al centro delle cronache italiane dal 1892 al 1894 (le attività illecite riguardavano il decennio precedente). Furono coinvolte figure di primissimo piano dell’establishment: dallo stesso governatore della Banca Romana a presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari e giornalisti.
La Banca Romana venne liquidata dalla Banca d’Italia17. Una conseguenza positiva della vicenda fu proprio la creazione della Banca d’Italia, divenuta unico istituto di emissione fino alla creazione della Banca centrale europea dopo l’introduzione dell’euro.
Tralasciamo per carità di patria – e anche perché sarebbe necessario un volume a sé! – gli arricchimenti illeciti nell’ambito delle guerre mondiali e durante il regime fascista18.
Con l’arrivo della Repubblica, decisamente lo scenario non migliorò e molti sono gli episodi che periodicamente hanno destato l’attenzione della pubblica opinione. Voglio ricordarne alcuni, tanto per chiarire nuovamente che i magistrati c’erano, anche prima. Mi limito ai casi più famosi: innanzitutto la vicenda Lockheed, che non attenne solo all’Italia. Lo scandalo, infatti, riguardò gravi casi di corruzione avvenuti in diversi Stati del mondo negli anni Settanta, e in particolare, oltre che negli Stati Uniti, anche nei Paesi Bassi, in Germania dell’Ovest, in Giappone e, appunto, in Italia. Nel 1976 la Lockheed Corporation ammise di aver pagato tangenti a politici e militari di alcuni Stati del mondo per vendere i propri aerei militari. Nei Paesi Bassi risultò coinvolta la stessa monarchia, mentre in Germania, Giappone e Italia i corrotti dalla Lockheed risultarono essere le strutture preposte alle valutazioni tecnico-militari dei ministeri della Difesa, i ministri della Difesa, e in Italia e Giappone anche i primi ministri. In Italia, in particolare, riguardò la fornitura degli aerei da trasporto C-130, ricevuti dall’aeronautica militare a partire dal 1972. Nel 1976 molti soggetti coinvolti nelle trattative con la Lockheed furono accusati di aver intascato mazzette per miliardi di lire per favorire l’acquisto di tali aerei da parte del ministero della Difesa italiano, e alcuni di questi poi condannati. Le accuse lambirono anche il presidente della Repubblica Giovanni Leone che, se pur tali accuse non furono provate, rassegnò le dimissioni il 15 giugno 1978.
Sempre negli anni Settanta va ricordata la vicenda del contrabbando dei petroli in cui concorsero i vertici della guardia di finanza: il traffico clandestino di prodotti petroliferi dal 1973 al 1979 interessò l’intero Nord Italia, dalla Lombardia al Veneto, dal Piemonte alla Liguria, e si estese fino al centro della penisola. Per lo Stato, molte migliaia di miliardi di lire di evasione delle imposte di fabbricazione previste dalla legge sui derivati del petrolio. Tutto venne scoperto – pur tra mille difficoltà e ostacoli – dalla magistratura di Torino e di Treviso, con l’aiuto decisivo di sottufficiali e ufficiali della guardia di finanza che non cedettero alle pressioni della loro stessa gerarchia. Anche in questo caso ci fu un’istruttoria della commissione inquirente per fatti relativi alla nomina del comandante generale della guardia di finanza; le attività di indagine si conclusero senza l’avvio di alcun processo per reato ministeriale. La Corte dei conti si pronunciò per la restituzione in solido di 100 miliardi di lire nei confronti dell’ex comandante generale, Raffaele Giudice, e dell’ex capo di Stato maggiore della guardia di finanza, Donato Loprete.
Passano gli anni ma restano gli antichi vizi: così riporta i...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. I fili intrecciati del 1992
  2. Parte prima. Le inchieste
  3. 1. Una pianta dalle radici antiche: prima di Tangentopoli
  4. 2. L’inizio
  5. 3. A macchia d’olio: da Milano all’Italia intera
  6. 4. Enimont, Eni, Enel, Poste
  7. 5. La guardia di finanza
  8. 6. Imi-Sir, Lodo Mondadori, Sme
  9. Parte seconda. Le reazioni
  10. 7. Quando i magistrati si devono difendere
  11. 8. Le leggi per farla franca
  12. 9. Come è andata a finire
  13. 10. Che cosa ci ha insegnato Mani pulite
  14. Post scriptum
  15. Appendice
  16. 1. La mafia si pente: strategia o sconfitta?
  17. 2. Il caso Milano: i risultati della lotta contro la corruzione
  18. 3. Gli esiti delle rogatorie
  19. 4. L’assistenza giudiziaria internazionale e i paradisi
  20. 5. Esiti delle indagini Mani pulite
  21. 6. Rapporti alle Nazioni unite
  22. Ringraziamenti