Le piazze del sapere
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Le piazze del sapere

Biblioteche e libertà

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Le piazze del sapere

Biblioteche e libertà

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Informazioni sul libro

Le nostre città hanno bisogno urgente di biblioteche di nuova concezione, dove i cittadini si possano incontrare stabilendo relazioni sia intellettuali che affettive: sono le 'piazze del sapere' di cui ci parla questo libro innovativo. Guido Martinotti

Antonella Agnoli ripensa gli spazi urbani proprio a partire dalle nuove biblioteche, viste come luogo di rinascita di un paese sempre più ignorante. Un libro davvero interessante. Giuseppe Culicchia, "Tuttolibri"

Devono essere un servizio. Devono funzionare come un luogo d'incontro. Devono essere attraenti e comode. Devono opporsi alla trasformazione dei luoghi pubblici in centri commerciali, ma alla luminosità e ai colori di un centro commerciale dovrebbero tendere. Secondo Antonella Agnoli, che con trent'anni di lavoro in biblioteca è consulente di architetti e amministrazioni pubbliche in Italia e all'estero, le biblioteche italiane devono cambiare ruolo e aspetto. Francesco Erbani, "la Repubblica"

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858115008

1. Gli ultimi 30 anni: un bilancio

Oppure poteva andare alla biblioteca pubblica, farsi dare la raccolta del 1950 del maggiore quotidiano dell’isola e con santa pazienza vedere che era capitato a Fela nel primo semestre di quell’anno.
Andrea Camilleri1

1.1. Il tentativo di modernizzazione

Non da oggi la biblioteca pubblica si interroga sul proprio futuro. Già nel 1975 Michael Harris scriveva: «La stessa esistenza della public library sembra essere in pericolo; i bibliotecari sembrano tanto preoccupati quanto confusi. Si trovano a chiedersi, come i loro predecessori di più di 100 anni or sono, ‘Qual è lo scopo della public library?’»2. Fin dagli anni Settanta ci siamo chiesti se la televisione, il cinema, la frequentazione di massa di avvenimenti sportivi non rendessero la lettura un passatempo obsoleto, uno sfizio per élite ristrette, un obbligo solo per studiosi che avrebbero potuto soddisfare i loro bisogni nelle biblioteche universitarie, o addirittura in quelle personali.
Se escludiamo i paesi protestanti, che hanno una tradizione di pubblica lettura del tutto differente dalla nostra e non sono quindi un punto di riferimento corretto per il nostro ragionamento, le nazioni dove si è risposto in modo più ambizioso a questo interrogativo sono state la Spagna, dove i primi governi democratici hanno investito molto sulla scuola e la cultura, lanciando vasti programmi di costruzione di biblioteche e piani di promozione della lettura già nella seconda metà degli anni Settanta; la Francia, dove, durante il primo mandato di François Mitterrand, il ministro della Cultura Jack Lang varò un ambizioso piano di espansione e rinnovamento delle biblioteche, spesso ribattezzate «mediateche»; e, infine, il Portogallo durante il governo Soares. Si intendeva affrontare la «crisi» della non-lettura in tre modi.
La prima scelta fu l’ampliamento degli spazi: per attirare nuovi utenti, il piano Lang puntava sulla politica dei grandi edifici, moderni e spettacolari, che si impongono nel tessuto urbano per la loro centralità e la loro opulenza (con rare eccezioni per strutture governative o musei, i soli grandi edifici prodotti nella seconda metà del XX secolo sono i grattacieli per uffici, gli ipermercati e gli stadi, tutti luoghi commerciali).
La seconda azione fu l’ampliamento dei pubblici: fino a ieri monopolio di professori e studenti, le biblioteche dovevano diventare un luogo interessante per la casalinga, il pensionato, il turista, al limite il clochard che vi trova un ambiente riscaldato.
La terza risposta fu l’ampliamento dei materiali: il libro non è più l’unico supporto su cui trasmettere conoscenze e si propongono giornali, riviste, dischi; più tardi, film (in cassetta o dvd), cd musicali, televisioni satellitari e, infine, internet.
Queste tre scelte – articolate localmente in vari modi – hanno dominato il panorama bibliotecario non solo in Francia ma, in particolare negli ultimi anni, anche in Spagna: qui, per esempio, il numero di biblioteche di oltre 1000 metri quadri è raddoppiato fra il 2002 e il 2006, il numero di biblioteche con un’apertura di oltre 40 ore settimanali è cresciuto del 50%, il numero degli iscritti del 45% e il numero dei prestiti del 41% negli stessi anni3.
Possiamo tranquillamente affermare che alcuni princìpi di fondo: nuove sedi (spesso affidate a grandi architetti come Toyo Ito, Botta, Koolhaas, Meyer e tanti altri), nuove collezioni e tentativo di attirare nuovi clienti sono stati alla base dell’apertura di nuove biblioteche un po’ dovunque: da Phoenix a Vienna, da Marsiglia a Barcellona, da Amsterdam a Bologna, da Malmö a Seattle, da Montreal a Sendai. Ora aspettiamo Torino, Milano, Oslo, Helsinki, Aarhus, Birmingham, Stoccolma e New York, dove avanza il progetto di Norman Foster per ampliare la storica sede della Public Library sulla 42a strada4.
Un quarto elemento, i nuovi layout, merita una sosta perché è in fondo la caratteristica comune a tutte le biblioteche recenti: anche nella struttura dell’edificio le biblioteche sono diventate più simili ai grandi magazzini, considerati ancora un punto di riferimento utile benché siano una forma di organizzazione ottocentesca5.
Il self-service nasce come tecnica di vendita che dà la possibilità ai clienti di entrare senza necessariamente rivolgersi al personale e senza l’obbligo di acquistare qualcosa: si prende quello che si vuole e si paga all’uscita. Nelle biblioteche pubbliche6, lo scaffale aperto e tecniche di presentazione più «facili» obbediscono alla stessa logica: l’utente frettoloso può entrare, cercare da solo quello che gli serve, passare dal bancone del prestito e andarsene, il tutto in pochi minuti.
La tecnica del display, nei grandi magazzini, consiste nello studio della più opportuna disposizione dei prodotti sugli scaffali. È dimostrato che i prodotti collocati all’altezza degli occhi del consumatore attraggono maggiormente la sua attenzione e hanno quindi, a parità di altre condizioni, maggiori probabilità di essere acquistati. I biscotti devono essere collocati in modo che tutti li possano raggiungere facilmente (se no, non si vendono) e anche noi bibliotecari cerchiamo di disporre i libri in modo che gli utenti di 8 anni non debbano arrampicarsi sfidando le leggi di gravità per recuperare Harry Potter, né le loro nonne chinarsi fino a terra per trovare Liala. Si è ormai imparato a fare le biblioteche per ragazzi con gli scaffali non più alti di un metro, non si è ancora pensato al fatto che gli ­ultrasessantacinquenni sono ormai un quinto della popolazione e che dovremmo tener conto delle loro esigenze nei futuri restylings.
In questo stesso spirito, sono stati creati degli spazi che invoglino il cliente a manipolare i libri e sfogliarli, per appagare la sua curiosità, poiché un ambiente troppo formale può intimidire e può limitare la voglia di «sbirciare» tra i volumi. Anche in molte librerie il cliente può scegliere un libro, sedersi vicino allo scaffale, leggere alcune pagine, poi rimetterlo al suo posto e andare via senza acquistare nulla. Quasi tutte le biblioteche mettono ben in vista le novità, e alcune, come la Delfini a Modena, hanno anche la loro «bancarella» di libri scartati, che qualcuno può voler comprare a prezzo d’occasione (fig. 25).
Dove collocare le collezioni è, come nei supermercati, difficile da definire a priori, ma dovrebbe essere il frutto di osservazioni costanti di come le persone si muovono e di cosa guardano, toccano, prendono. Queste indagini, per problemi di bilancio ma anche di pigrizia di noi bibliotecari, in Italia non si fanno, rinunciando a uno strumento prezioso di razionalizzazione della biblioteca e di miglioramento del servizio. Dovremmo usare molto di più l’osservazione dei comportamenti delle persone: cosa fanno quando entrano, cosa guardano, come si muovono, quanto sostano nei differenti servizi, se si rivolgono al ­personale o se invece cercano di evitarlo, se parlano con altri utenti. Questi studi, che all’estero si fanno regolarmente, hanno molto migliorato il servizio nelle biblioteche dei paesi avanzati.
Per riassumere, molte nostre biblioteche hanno tenuto conto degli insegnamenti del settore commerciale.
• Si è ampliata l’offerta: più libri e giornali, nuovi supporti musicali o visivi, internet
• Più incentivi a provare «cose nuove», mettendo in evidenza i libri del mese o i film del regista premiato a Cannes
• Più specializzazione: ora esistono «nicchie» per i bambini, gli adolescenti, gli appassionati di musica, i cultori di cinema, gli appassionati di viaggi o di letteratura etnica
• Più autonomia: gli utenti vogliono orientarsi da soli senza dover chiedere dov’è la narrativa o dove sono i bagni
• Più self-service: molti servizi sono a disposizione dell’utente senza bisogno della mediazione del personale: dallo scaffale aperto alle postazioni catalogo, da internet in libero accesso, fino alle macchine per l’autoprestito
Questo corrisponde all’evoluzione delle librerie, che negli Stati Uniti si sono trasformate in supermercati del libro (Barnes & Noble, Borders e altre catene), una trasformazione avvenuta anche da noi. Oggi le biblioteche imitano molto le librerie, esponendo i libri di copertina, creando spazi separati per le mode del momento, promuovendo autori di cui si parla, organizzando letture e iniziative con le scuole.

1.2. Lettura: un’abitudine di minoranza

Il tentativo di modernizzazione è riuscito? In parte, ma quello che si può dire con ragionevole certezza è che, al di fuori dei paesi scandinavi e di quelli di religione protestante, la frequentazione delle biblioteche pubbliche è rimasta un’abitudine di minoranza7. Anche nei paesi dove il concetto di public library è stato inventato – Gran Bretagna e Stati Uniti – solo una «piccola minoranza di adulti» usa le biblioteche pubbliche regolarmente e «una piccola minoranza degli utenti effettua la maggioranza dei prestiti»8. Come scrive Michel Melot, il «grande saggio» della biblioteconomia francese, «Il pubblico ha cessato di crescere tanto [nelle biblioteche di] pubblica lettura, quanto nelle università. Le statistiche...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Introduzione
  3. Parte prima. La biblioteca e la città
  4. 1. Gli ultimi 30 anni: un bilancio
  5. 2. Il contesto in cui dovremo operare: 2010-2030
  6. 3. Piazze, panchine, biblioteche
  7. Parte seconda. Il Dio delle piccole cose
  8. 4. Del costruire una reputazione a Londra come a Pesaro
  9. 5. Dell’imparare dai supermercati
  10. 6. Del sopprimere i cartelli
  11. 7. Del vendere taluni arredi ingombranti
  12. 8. Del trovare un sito opportuno
  13. 9. Del trovare la sedia giusta
  14. 10. Del rendere flessibile il bibliotecario
  15. 11. Del leggere Munari a Scampia
  16. Conclusioni
  17. 17 punti da non dimenticare
  18. Appendice
  19. Riferimenti bibliografici
  20. Ringraziamenti
  21. Immagini