La rabbia dei vinti
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La rabbia dei vinti

La guerra dopo la guerra 1917-1923

  1. 446 pagine
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La rabbia dei vinti

La guerra dopo la guerra 1917-1923

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Russia, Germania, Finlandia, Ungheria, Polonia, Anatolia: sono soltanto alcune delle terre straziate dalle lotte cruente che seguirono l'armistizio del 1918. Le vittime dei conflitti armati dell'Europa nei cinque anni successivi all'armistizio furono «più delle perdite subite complessivamente dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dagli Stati Uniti durante la Grande guerra». Milioni e milioni di morti. Ai quali vanno aggiunti altri milioni di profughi impoveriti provenienti dall'Europa centrale, orientale e meridionale, che vagarono negli scenari stravolti dalla guerra dell'Europa occidentale, alla ricerca di sicurezza e di una vita migliore. Un continente descritto con grande efficacia da Robert Gerwarth, nell'eccellente traduzione di David Scaffei. Paolo Mieli, "Corriere della Sera"

La tragedia immane che, dopo la già immane ecatombe della Grande guerra, tenne a battesimo col sangue di milioni di morti la nascita dell'Unione Sovietica, degli Stati nazionali dell'Europa orientale, della Turchia repubblicana e degli Stati arabi del Medio oriente. Per queste popolazioni la guerra iniziata nel 1914 finì soltanto nove anni dopo. Emilio Gentile, "Il Sole 24 Ore"

L'11 novembre del 1918 segna un momento decisivo della storia d'Europa: la fine di una Grande Guerra. Ma quale è stata l'eredità che ci ha lasciato la Prima guerra mondiale? Per molti aspetti il futuro dell'Europa non è stato condizionato tanto dai combattimenti sul fronte occidentale quanto dalla devastante scia di eventi che seguirono la fine del conflitto quando paesi di entrambi gli schieramenti vennero travolti da rivoluzioni, pogrom, deportazioni di massa e nuovi cruenti scontri militari. Se nella maggior parte dei casi la Grande guerra era stata una lotta fra truppe regolari, i protagonisti di questi nuovi conflitti furono soprattutto civili e membri di formazioni paramilitari. La nuova esplosione di violenza provocò la morte di milioni di persone in tutta l'Europa centrale, meridionale e sud-orientale, e questo ancor prima che nascessero l'Unione Sovietica e una serie di nuovi e instabili staterelli. Ovunque c'erano persone animate da un desiderio di rivalsa, disposte a uccidere per placare un tormentoso senso di ingiustizia, e in cerca dell'opportunità di vendicarsi contro nemici reali o immaginari. Un decennio più tardi, l'avvento del Terzo Reich in Germania e l'affermazione di altri Stati totalitari fornirono loro l'occasione che tanto avevano atteso.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858139776

Capitolo 1.
Un viaggio primaverile in treno

La domenica di Pasqua del 1917 la «marcia trionfale» del bolscevismo cominciò con un viaggio in treno. Nel tardo pomeriggio del 9 aprile il bolscevico russo Vladimir Il’ič Ul’janov, assieme all’attivista rivoluzionaria Nadežda (Nadja) Kostantinovna Krupskaja, sua moglie, e a trenta dei suoi più fidati compagni, partì dalla stazione centrale di Zurigo su un treno diretto in Germania1.
Le autorità di Berlino, le quali avevano approvato il viaggio segreto che dalla neutrale Svizzera doveva attraversare il territorio tedesco, fornendo la logistica perché proseguisse fino in Russia, riponevano grandi speranze in un uomo del quale pochi, al di fuori dell’Internazionale socialista, avevano fino ad allora sentito parlare, un uomo che utilizzava lo pseudonimo «Lenin» per firmare gli articoli che scriveva per pubblicazioni della sinistra radicale con tirature molto limitate. Lenin, che disponeva di sostanziosi fondi, avrebbe assunto il controllo del piccolo movimento bolscevico nel suo paese natale, impresso una svolta radicale alla Rivoluzione di febbraio che poco prima aveva rovesciato il regime zarista e posto fine alla guerra della Russia con gli Imperi centrali2.
A partire dallo scoppio della guerra, alla fine di luglio del 1914, il Ministero degli Esteri tedesco aveva elaborato piani segreti per destabilizzare il fronte interno dei paesi dell’Intesa, sostenendo movimenti rivoluzionari di vario colore politico: repubblicani irlandesi che puntavano a recidere i legami con Londra, jihadisti attivi nei territori imperiali britannici e francesi, rivoluzionari russi che cospiravano contro il regime autocratico dello zar a Pietrogrado3. Nonostante fosse sostanzialmente indifferente riguardo alle ambizioni politiche di ognuno di questi movimenti, Berlino li considerava degli alleati strategici per tentare di indebolire gli avversari all’interno dei loro stessi paesi4. Con grande rammarico degli strateghi della capitale tedesca, tuttavia, nessuno dei loro sforzi sembrava raggiungere i risultati sperati. I circa 3.000 prigionieri di guerra musulmani che nel 1914 erano stati internati in uno speciale «Campo della Mezzaluna» a Zossen, nei pressi di Berlino, prima di essere inviati sui fronti della Mesopotamia e della Persia per scopi propagandistici, non erano mai riusciti a mobilitare un gran numero di jihadisti. Nella primavera del 1916, Berlino dovette registrare un insuccesso quando in Irlanda la rivolta di Pasqua, che aveva appoggiato, non riuscì ad innescare una rivoluzione generale nel paese, mentre Roger Casement, che aveva passato i primi due anni di guerra nel territorio del Reich tentando di organizzare una «Brigata irlandese» con i prigionieri di guerra catturati dalla Germania, venne arrestato ad aprile, poco dopo essere sbarcato da un sottomarino tedesco sulla costa del Kerry, e poi giustiziato per tradimento nell’agosto successivo5.
Dopo la caduta dello zar avvenuta nel febbraio (marzo secondo il calendario gregoriano) del 1917, Berlino decise di riprendere la propria strategia mirante a far rientrare clandestinamente i rivoluzionari nei loro paesi di origine. Per sostenere gli intenti di Berlino, che puntava a suscitare agitazioni nei fronti interni dei pae­si dell’Intesa, le ambasciate tedesche nei paesi neutrali avevano cominciato fin dal 1914 a redigere elenchi di rivoluzionari russi in esilio. Il nome di Lenin comparve per la prima volta in uno di questi elenchi nel 1915. Dopo l’abdicazione dello zar, il ministro degli Esteri tedesco informò il proprio governo e il Comando supremo dell’esercito (Oberste Heeresleitung, OHL) che nella neutrale Svizzera esistevano vari marxisti il cui ritorno a Pietrogrado avrebbe rafforzato la corrente bolscevica dell’estrema sinistra russa, che era contraria alla guerra. I vertici politici e militari di Berlino appoggiarono il piano6.
Quando nell’aprile del 1917 Lenin salì sul treno che lo avrebbe riportato in Russia, aveva quarantasei anni, e decenni di attivismo rivoluzionario alle spalle. La sua famiglia, originaria di Simbirsk (Ul’janovsk), sul Volga, si era trasferita nella proprietà del ramo materno presso Kazan’ quando nel 1886 suo padre Il’ja, di famiglia nobile, direttore di scuola, era deceduto per un’emorragia cerebrale. Poco dopo, Vladimir abbandonò la fede religiosa. L’anno seguente vi fu un’altra disgrazia familiare: il fratello maggiore Aleksandr venne arrestato e giustiziato per aver partecipato a un complotto per uccidere lo zar Alessandro III. Dopo la morte del fratello, anche Vladimir fu sempre più coinvolto nell’attività dei circoli marxisti. Espulso dall’Università statale di Kazan’ per aver partecipato a dimostrazioni antizariste, continuò a coltivare i suoi interessi politici anche nel periodo in cui studiò legge nella capitale. Finiti gli esami, s’impegnò a fondo nel movimento rivoluzionario, prestando la sua opera come avvocato e coltivando contatti con i capi della socialdemocrazia russa. All’inizio del 1897 venne condannato a tre anni di confino in Siberia, come agitatore politico7. Durante questo periodo di esilio, fra il 1897 e il 1900, continuò a diffondere i suoi ideali rivoluzionari firmando i suoi scritti con lo pseudonimo Lenin – forse con riferimento al fiume Lena, in Siberia –, con l’intento di confondere la polizia zarista8.
Dal 1900 in poi, Lenin visse in Europa occidentale, dapprima in Svizzera e poi a Monaco di Baviera, dove diresse il periodico «Iskra» («La scintilla»), nel quale nel 1902 pubblicò anche il suo famoso saggio programmatico, intitolato Che fare?. Sebbene le sue idee si fondassero sull’analisi del capitalismo sviluppata da Karl Marx, nell’indicare la prospettiva della creazione di una società comunista se ne differenziava per almeno un aspetto importante. Per Marx, lo stadio finale della società borghese e del sistema economico capitalistico avrebbe innescato in modo naturale una rivolta proletaria spontanea provocata dall’antagonismo di classe. Lenin invece riteneva di non dover rimanere in attesa di questo spontaneo evento rivoluzionario. La teoria marxiana presupponeva l’esistenza di una società industriale avanzata e di un elevato grado di coscienza di classe degli operai dell’industria, entrambi elementi non presenti in Russia. Lenin progettava invece di conquistare il potere con la violenza, mediante un colpo di Stato attuato da un’avanguardia ben addestrata e determinata, composta da rivoluzionari di professione9. La vecchia struttura di potere sarebbe stata sostituita da soviet (consigli di operai), analoghi a quelli che erano sorti spontaneamente in molte grandi città dell’Impero russo all’epoca della Rivoluzione del 1905; ciò avrebbe accelerato lo sviluppo, a partire dal vertice, della coscienza di classe fra i contadini e gli operai russi, ancora in gran parte analfabeti10.
Dopo la Rivoluzione del 1905 e le concessioni fatte dallo zar con il Manifesto di ottobre, Lenin era rientrato in Russia, ma pochi mesi dopo, a dicembre, fu costretto a fuggire di nuovo. Avrebbe trascorso i dodici anni seguenti ancora una volta in esilio, vivendo in varie città europee: Ginevra, Parigi, Londra, Cracovia. Dal 1916 si trasferì a Zurigo, la principale città svizzera, che all’epoca era un luogo di rifugio particolarmente attraente, uno dei pochi in Europa non coinvolto dalla guerra, ma ben collegato e con una tradizione di ospitalità nei confronti dei dissidenti politici. Qui era nata l’avanguardia artistica dadaista, sviluppatasi al Cabaret Voltaire intorno a Hugo Ball e Tristan Tzara, e qui si erano temporaneamente stabiliti numerosi esponenti della sinistra radicale europea, impegnati a diffondere il credo della rivoluzione ma spesso in dissenso fra loro sui mezzi per realizzare l’obiettivo comune11.
Questi contrasti fra gli esponenti della sinistra socialista non erano una novità. Fin dalla nascita della Seconda Internazionale socialista, nel luglio del 1889, le diverse fazioni avevano intavolato interminabili discussioni su come realizzare l’utopia proletaria. Le divisioni fra i sostenitori di una prospettiva riformista e coloro che insistevano sulla strategia rivoluzionaria si approfondirono ulteriormente all’inizio del XX secolo. Nel caso del Partito operaio socialdemocratico russo, le inconciliabili posizioni delle due correnti più importanti – quella radicale dei bolscevichi di Lenin e quella più moderata dei menscevichi, i quali (in linea con le teorie marxiane) ritenevano necessaria una riorganizzazione della Russia di stampo borghese-democratico prima che potesse aver luogo una rivoluzione proletaria – avevano portato nel 1903 a una spaccatura del partito12.
Lo scoppio della guerra, nel 1914, aveva ulteriormente approfondito le fratture all’interno del movimento operaio europeo. In quella fase, nella maggior parte dei casi i partiti socialdemocratici avevano approvato la concessione ai governi dei loro paesi dei crediti di guerra, facendo in tal modo prevalere sulla solidarietà di classe internazionale la fedeltà alla propria nazione13. Lenin criticò senza riserve la sinistra riformista e sostenne con fervore la prospettiva della rivoluzione radicale, adottando una posizione che, agli occhi di Berlino, lo rendeva un candidato ideale per svolgere un’opera di ulteriore destabilizzazione della situazione interna della Russia14.
Lui stesso, che conduceva un’esistenza modesta e passava la maggior parte delle sue giornate a scrivere nelle biblioteche pubbliche di Zurigo, rimase sorpreso quando a Pietrogrado scop...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. Sconfitta
  3. Capitolo 1. Un viaggio primaverile in treno
  4. Capitolo 2. Rivoluzioni russe
  5. Capitolo 3. Brest-Litovsk
  6. Capitolo 4. Il sapore della vittoria
  7. Capitolo 5. Rovesci di fortuna
  8. Parte seconda. Rivoluzione e controrivoluzione
  9. Capitolo 6. La guerra non finisce
  10. Capitolo 7. Le guerre civili russe
  11. Capitolo 8. L’apparente trionfo della democrazia
  12. Capitolo 9. Radicalizzazione
  13. Capitolo 10. La paura del bolscevismo e l’ascesa del fascismo
  14. Parte terza. Il crollo degli imperi
  15. Capitolo 11. Il vaso di Pandora: Parigi e i problemi dell’Impero
  16. Capitolo 12. La reinvenzione dell’Europa centro-orientale
  17. Capitolo 13. «Vae victis»
  18. Capitolo 14. Fiume
  19. Capitolo 15. Da Smirne a Losanna
  20. Epilogo. Il «dopoguerra» e la crisi europea di metà secolo
  21. Cartine
  22. Immagini
  23. Referenze iconografiche
  24. Bibliografia
  25. Ringraziamenti