Appendice 1. Scambio di lettere tra il Presidente Gronchi e Giovanni XXIII
Queste lettere, già citate ampiamente nel mio L’Utopia di papa Giovanni cit., sono state pubblicate integralmente in «La Discussione», 7-12-1987. Cfr. cap. 10, p. 148.
LETTERA DI G. GRONCHI
Palazzo del Quirinale
15 aprile del 1960
Beatissimo Padre,
questo «appunto di carattere riservato» è stato da me lungamente meditato perché la mia coscienza di cattolico si è trovata severamente a confronto con la mia responsabilità di Capo dello Stato. Ma l’importanza e la delicatezza dei rapporti che della mia meditazione sono stati l’argomento, appaiono obiettivamente tali da poter incidere assai notevolmente sugli orientamenti del Paese, anche al di là del mero giuoco della vita politica.
Perciò mi è sembrato che avrei mancato ad un dovere verso la mia coscienza ed insieme verso le mie responsabilità, se non avessi chiesto alla Santità Vostra di portare su queste mie riflessioni la Sua personale attenzione.
Il che mi induco a fare con la presente la quale vuole anche cogliere l’occasione delle Feste Pasquali per presentare alla Santità Vostra filialmente i più devoti auguri, nella certezza che le Vostre preghiere mi assisteranno nel mio difficile compito.
L’Azione Cattolica e la politica
I numerosi interventi che nel corso degli ultimi anni sono stati effettuati più o meno palesemente da personaggi o da organizzazioni facenti capo alla gerarchia della Chiesa cattolica hanno già posto il problema – agitato soprattutto in taluni ambienti più caratterizzati da laicismo ideologico – della compatibilità dei medesimi con l’esigenza di ottemperare a quanto stabilisce l’articolo 7 della Costituzione: e cioè, che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
Recentissimi atteggiamenti manifestati nel corso della crisi ministeriale da organi di stampa di notoria ispirazione dell’Azione Cattolica come «Il Quotidiano» o dipendenti dalla gerarchia come il «Bollettino d’Informazioni» del Vicariato di Roma, ovvero da autorevoli personaggi preposti al governo dell’Azione Cattolica ed alla cura di organi dello Stato della Città del Vaticano, rischiano di porre in grave imbarazzo la coscienza di tutti quei cittadini italiani che, pur profondamente cattolici, non possono tuttavia sottrarsi al dovere civico di curare e di imporre il rispetto della legge.
A parte infatti il problema costituzionale dei rapporti generici fra Stato e Chiesa a norma dell’articolo 7 sopra indicato, si pone ora la questione della legittimità di interventi palesi od occulti, diretti o indiretti, compiuti da esponenti dell’Azione Cattolica, laici od ecclesiastici, come pure da organi da questa dipendenti, nei confronti non soltanto di istituti o istituzioni dello Stato italiano ma altresì di partiti politici, di rapporti fra le loro fazioni, di organi di tali partiti o di personalità che ne facciano parte; considerando particolarmente che tali interventi sono stati diretti ad influenzare (e si potrebbe dire con maggior rispetto della verità, a condizionare) la formazione del Governo, invadendo con innegabile evidenza il terreno espressamente riservato dalla Costituzione al Capo dello Stato ed al Parlamento.
La questione può essere ricondotta sotto il profilo dell’ottemperanza dell’articolo 43 del Concordato da parte dell’Azione Cattolica e delle organizzazioni da essa dipendenti. Detto articolo 43 infatti testualmente recita: «Lo Stato italiano riconosce le organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica italiana, in quanto esse, siccome la Santa Sede ha disposto, svolgano la loro attività al di fuori di ogni partito politico e sotto l’immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa per la diffusione e la attuazione dei principi cattolici».
Per definire la retta interpretazione di questo articolo non si vuole ricorrere a questioni di principio intorno ai confini del «magistero ecclesiastico». Basta constatare quale interpretazione da parte dell’Autorità Ecclesiastica e dell’Azione Cattolica risulta dalla pratica attuazione che esse ne fecero.
Durante il regime fascista infatti né l’una né l’altra ritennero di poter intervenire mai nelle vicende del partito, politiche o più propriamente parlamentari che fossero, e se presero posizione su questioni fondamentali di principio, come l’istruzione, la questione razziale, ecc., non esercitarono mai pressioni dirette su organi dirigenti del partito o dello Stato e molto meno cercarono di condizionarne la composizione od i mutamenti. E seguendo questa linea mantennero intatto per la Chiesa il diritto e la legittimità di un’azione diretta ad illuminare le coscienze dei cittadini cattolici sulle scelte da compiere in sede di voto.
Questa azione è apparsa invece rivolta, ora, a condizionare l’opera degli organi del partito democristiano in un compito che, anche a termini dell’articolo 49 della Costituzione, è proprio ed esclusivo dei partiti politici, quello cioè di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
Se tale è, come sembra, la natura dei richiamati interventi ecclesiastici, un esame della loro legittimità costituzionale andrebbe condotto anche in relazione alla citata norma di cui all’articolo 49 della Costituzione.
Da ciò discende che l’obbligo posto, nel 1929, dall’articolo 43 del Concordato, alle organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica, di svolgere attività al di fuori dei partiti politici, viene ad essere rafforzato nel 1960 dalle due norme della Costituzione italiana contenute negli articoli 7 e 49. Ogni non retta interpretazione e non osservanza dell’articolo 43 del Concordato, può perciò dirsi che divenga una illegittimità anche nel senso costituzionale e conseguentemente una violazione della Costituzione.
Vero è che i presupposti politici e giuridici nel cui ambito nacque la norma di cui al predetto articolo 43 – così come, del resto, altre disposizioni concordatarie – sono profondamente e radicalmente mutati: ma la tesi della abrogazione implicita di tali norme non è sostenibile di fronte alla tassativa perentorietà dell’articolo 7 della Costituzione in virtù del quale tutte le norme contenute nei Patti Lateranensi sono state richiamate, senza eccezioni, dalla Costituzione della Repubblica.
Nel chiederne il rispetto, lo Stato italiano non chiede del resto per se stesso se non quello che è riconosciuto ad altre Nazioni egualmente cattoliche e per di più non sempre legate alla Santa Sede da patti bilaterali costituzionalmente rilevanti, quali sono divenuti in Italia i Patti Lateranensi.
E nemmeno lo Stato italiano può esimersi dal domandare che, nei prossimi confronti, il rispetto dell’articolo 43 del Concordato sia mantenuto negli stessi identici termini che ne caratterizzarono l’applicazione dal 1929 in poi. La letterale formulazione, infatti, di questo articolo (che parla di «partiti politici» al plurale) esclude che la norma avesse carattere contingente e legato al regime di partito unico allora vigente in Italia, restando così chiaro che essa mirava e mira tuttora a distinguere «la diffusione e l’attuazione dei principi cattolici» dalla diffusione e realizzazione di orientamenti e programmi politici.
Il che esclude che possa comunque essere giustificato l’intervento diretto o indiretto di esponenti od organi dell’Azione Cattolica italiana in vicende di natura squisitamente politica come quelle legate alla soluzione di una crisi ministeriale.
Roma, 15 aprile 1960
RISPOSTA DI GIOVANNI XXIII
16 aprile 1960
Signor Presidente,
Comprendo la incertezza del suo spirito, e ne condivido sinceramente la pena.
Trattasi peraltro di materia così grave e delicata da toccare le responsabilità più alte e più vive di chi presiede al governo della Chiesa, e vigila alla custodia dei principii fondamentali, su cui la sua non umana, ma divina costituzione, si regge.
Perciò quanto alla libera e serena affermazione di questi principii, e postfactum, al giudizio circa la loro avvenuta applicazione, non c’è motivo, né pericolo per le anime rette, di alcuna contestazione che si possa muovere ragionevolmente alla Autorità Garantita dalla Chiesa.
Riconosco però che in campo di applicazione pratica alle circostanze variamente ricorrenti delle attività politiche, ognuno ha il compito suo; così la Chiesa come lo Stato, così in Italia, come in tutte le nazioni del mondo.
Nel caso concreto dell’attuale dolorosa crisi politica, so che da parte di uomini degnissimi e gravi di Governo, si sono chiesti, in forma nobile e garbata del resto, chiarimenti sulla linea dei principii. Né mi risulta che direttive o imposizioni siano state poco rispettose della coscienza di ciascuno.
Ella può ben credere, Signor Presidente, quanto l’incertezza delle prospettive – dico in rapporto alla Chiesa – ponga in stato di diffidenza verso quella parte di mondo che ella conosce ed al cui indirizzo seppe lanciare con franchezza edificante l’augurio in tutto degno di un bravo cristiano.
Ella mi comprende come nella vigilia sacra di questa Settimana di Passione mi tocchi il cuore e lo faccia tremare, la voce di Gesù che dalle angosce della sua agon...