Marco Aurelio
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Marco Aurelio

La miseria della filosofia

  1. 304 pagine
  2. Italian
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Marco Aurelio

La miseria della filosofia

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Sulla figura mitica di Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, mite, fedele al Senato e rispettoso del popolo, si allungano oggi le ombre del dubbio. Il suo regno è in realtà costellato di gesti e provvedimenti inquietanti: basti pensare alla volontà, che si rivelò tanto imperterrita quanto di fatto impossibile, di conquistare ampi settori del libero mondo di Germania, alle persecuzioni contro i Cristiani, ad alcune sue disposizioni di carattere sociale. In queste pagine il più amato imperatore della Roma antica è ritratto alla cruda luce dello sguardo imparziale della storia.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858122563
Argomento
Storia
Categoria
Storia antica

VII.
Marco Aurelio e i Cristiani

1. La tolleranza di Antonino Pio

Come già si è avuto modo di vedere a proposito di Marco Aurelio, nella storiografia moderna, a partire da Noël Des Vergers, Marcel Duruy ed Ernest Renan, uno dei problemi più «scabrosi» e complessi posti da questo lunghissimo impero fu l’attitudine di Marco nei confronti dei Cristiani. Tuttavia, è appena sufficiente scorrere il giudizio, assolutamente impietoso, che egli stesso ne dava nei suoi Pensieri per comprendere quale fosse a questo proposito il suo reale e incontestabile parere. Se la morte (come spesso si è ripetuto) aleggia sovrana nel complesso di queste notazioni, a proposito dei Cristiani il «buon» imperatore-filosofo non esitava ad esprimersi nei termini seguenti: «Come deve essere un’anima pronta tanto se debba sciogliersi subito dal corpo, quanto se dovrà spegnersi oppure dissolversi o sopravvivere! Ma questa attitudine derivi dal tuo proprio giudizio, non sia effetto di una pura e semplice opposizione, come fanno i Cristiani; sia meditata e dignitosa, se vuole infondere persuasione agli altri, non teatrale». Quello che dunque Marco Aurelio rimproverava ai Cristiani era da un lato soprattutto la loro mancanza di ragionevolezza, dall’altro lato la loro «teatralità» (evidentemente quella che a suo avviso dimostravano quando impavidi, o addirittura spavaldi, subivano il martirio)1.
Sarebbero sufficienti queste annotazioni, da lui scritte, a spiegare nel modo più evidente la sua durissima politica anticristiana: fu una politica che costituì a tutti gli effetti, più che una inversione di tendenza vera e propria, quella che potrebbe definirsi una «virata» sostanziale rispetto alla grande tolleranza di cui avevano dato prova tanto Adriano quanto Antonino Pio nei confronti degli adepti a quella nuova religione (che per ogni pagano continuava comunque a costituire una superstitio vera e propria, in termini più espliciti la pratica di un culto giudicato come superstizioso e in quanto tale assolutamente esecrabile per ogni buon pagano). Lo storico della Chiesa Eusebio di Cesarea, che in epoca costantiniana intesseva a scopi evidentemente apologetici la sua opera di documenti (soprattutto di documenti ufficiali ai quali in quell’epoca – com’è chiaro – poteva avere facile accesso anche dalla sua lontanissima diocesi d’Asia Minore), riportava, a proposito di Adriano, un suo fondamentale rescritto a Minucio Fundano, allora governatore molto probabilmente dell’Asia Minore:
Rescritto di Adriano a Minucio Fundano sulla proibizione
di perseguire senza processo
A Minucio Fundano. Ho ricevuto una lettera che mi ha scritto Serennio Graniano, uomo chiarissimo [di rango senatorio], di cui tu sei il successore. Non mi sembra giusto che il problema resti in sospeso perché gli uomini non si agitino e non si dia ai calunniatori un pretesto per la loro malvagità. Pertanto, se i provinciali possono sostenere apertamente questa petizione contro i Cristiani, ricorrano a questa procedura soltanto e non a opinioni o ad acclamazioni del popolo. Se qualcuno intende formulare un’accusa, è molto più opportuno dunque che tu istituisca un processo. E se qualcuno li accusa e dimostra che compiono illeciti, decidi secondo la gravità del reato. Ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, determinane la gravità e sia tua cura punirlo2.
A quella di Adriano era seguita più tardi una lettera del suo successore Antonino Pio di analogo tenore: essa era indirizzata dall’Augusto nel 161 (come si deduce dalla sua quindicesima potestà tribunicia, che era esplicitamente indicata nell’intestazione della stessa lettera) addirittura e direttamente a un organo importantissimo come il Concilio della provincia d’Asia. È una lettera riportata ancora una volta da Eusebio:
Lettera di Antonino Pio al Concilio d’Asia sulla nostra religione
L’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino, Armenico, pontefice massimo, nel corso della sua quindicesima potestà tribunicia, tre volte console, saluta il Concilio d’Asia. So che gli dei hanno a cuore che uomini simili non sfuggano al castigo; a loro molto più che a voi sarebbe conveniente punire quanti non vogliono adorarli. Questi ultimi però li gettate allo sbaraglio e confermate l’idea che hanno accusandoli di ateismo: infatti, una volta accusati, alla vita preferiscono ciò che sembra una morte per il loro Dio. E pertanto riescono vincitori, perché rinunciano alla vita piuttosto che obbedire a quanto esigete che facciano. Quanto ai terremoti passati e presenti, non è questo il luogo per ricordarvi, quando avvengano, come voi vi abbattiate, e confrontare in tal modo il loro atteggiamento con il vostro. Essi infatti si rivolgono più fiduciosi al loro Dio, mentre voi per lungo tempo sembra che non capiate più nulla, e non vi curate né degli altri né del culto del Dio immortale; ma date il tormento e perseguitate fino alla morte i Cristiani che lo venerano. In loro difesa hanno già scritto al nostro divino padre molti governatori di provincia, ai quali egli rispose di lasciarli in pace, a meno che non fosse evidente che ordivano trame contro l’impero romano. Per quanto li riguarda anch’io ho avuto molte segnalazioni alle quali ho risposto in conformità al volere di mio padre. Se qualcuno però si ostina a denunciare dei Cristiani come tali, l’accusato sia prosciolto dall’imputazione anche se risulta essere veramente cristiano, mentre l’accusatore sarà passibile di pena. Pubblicato a Efeso nel Concilio d’Asia3.

2. I «nuovi decreti» di Marco Aurelio

Questa politica di aperta tolleranza nei confronti dei Cristiani ebbe drasticamente fine con l’avvento al trono di Marco Aurelio per i motivi da lui esposti – come si è già visto – nei Pensieri: appunto la mancanza di ragionevolezza da lui attribuita ai Cristiani, che avrebbe reso impossibile ogni discussione, e quella sorta di «teatralità» che essi, almeno a suo avviso, non avrebbero esitato a manifestare quasi con spavalderia quando erano mandati al martirio. Da questo punto di vista si spiega bene non solo l’oggettivo intensificarsi delle persecuzioni nel corso del suo lungo impero, ma anche il fatto che ora queste persecuzioni fossero condotte in base ad appositi «nuovi decreti» relativi evidentemente ai Cristiani. Sono quei «nuovi decreti» (kaina dogmata) di cui parlava verso la fine del 176 Atenagora, vescovo di Sardi, ancora una volta – in modo estremamente significativo per quanto riguarda le zone dove la nuova religione tendeva maggiormente a espandersi – un vescovo d’Asia Minore: «Non è mai avvenuto come ora che il popolo di quanti venerano Dio sia perseguitato e cacciato per l’Asia da nuovi editti. Delatori spudorati e avidi delle ricchezze altrui rubano pubblicamente, rapinano giorno e notte uomini che non commettono ingiustizia alcuna»4.
Questi «nuovi decreti» – comunque essi debbano e possano essere interpretati (le spiegazioni che sono state proposte sono state tanto varie quanto molteplici) – avevano in ogni caso una conseguenza sostanziale e incontrovertibile: quella di riportare comunque la questione molto indietro, al famoso rescritto di Traiano a Plinio, dove tuttavia veniva esplicitamente proibita, per quanto riguardava i Cristiani, la ricerca d’ufficio da parte delle autorità provinciali: quelli di Marco erano «decreti» tanto duri nelle modalità della loro applicazione che, forse esagerando, Henri Grégoire aveva parlato, appunto a proposito di Marco Aurelio, come di «en un sens [...] le premier persécuteur»5.
Nel tentativo (tanto inutile quanto forse quasi disperato) di salvaguardare la buona memoria dell’imperatore-filosofo, questi «nuovi decreti» sono stati spiegati sostanzialmente in tre modi. Marta Sordi ha cercato dottamente, ma forse invano, di sostenere come essi fossero diretti contro l’estremismo degli eretici Marcioniti e Valentiniani: non contro i Cristiani appartenenti alle Chiese ortodosse, di cui era ormai costellato l’impero, soprattutto in Oriente, ma piuttosto e sempre con lo sguardo rivolto a quello stesso Oriente dove quelle eresie avevano avuto origine. Diversamente, come aveva ritenuto in precedenza Henri Grégoire, la colpa dell’infierire delle persecuzioni nell’età di Marco Aurelio dovrebbe essere addossata ai governatori di provincia, soprattutto a quelli delle province orientali, che avrebbero mandato al martirio i Cristiani, all’insaputa di un imperatore lontano da quei luoghi e ignaro, appunto per questa sua lontananza, di quanto avveniva in quei territori. Anche questa è un’ipotesi difficilmente sostenibile, poiché, com’è chiaro, nessun governatore di provincia si sarebbe assunto di sua personale iniziativa una simile responsabilità senza aver ricevuto in precedenza l’assenso esplicito dello stesso Marco6. Qui va preso semplicemente atto che, durante il regno dell’imperatore-filosofo, che esplicitamente dichiarava nei suoi Pensieri di disprezzare i Cristiani, si verificò una svolta di portata enorme, che di fatto andava ben oltre il famoso rescritto che Traiano nel 111 aveva dato a Plinio il Giovane quando lo inviò in Bitinia e Ponto, per provvedere alla riorganizzazione di quella provincia. Alle richieste di chiarimenti a proposito del comportamento da tenere nei confronti dei Cristiani, Traiano aveva risposto a Plinio che essi non dovevano essere ricercati (conquirendi non sunt), ma che dovevano comunque essere puniti con estremo rigore soltanto qualora persistessero con pervicacia nelle loro attitudini, rifiutandosi di rendere onore all’imago del principe con incenso e vino7.
I «nuovi decreti» emanati da Marco Aurelio intorno al 176 possono dunque e devono essere interpretati in una sola maniera: contrariamente al conquirendi non sunt di Traiano, in altri termini alla mancanza di una ricerca d’ufficio, questa ricerca d’ufficio faceva ora la sua comparsa e per la prima volta veniva imposta da Marco Aurelio a ogni governatore di provincia. Si è in presenza di una possibilità – anzi, di una certezza – che evidentemente non può e non deve stupire, appena si pensi da un lato al giudizio che egli stesso aveva espresso sui Cristiani nei suoi Pensieri, d’altro lato e parallelamente all’enorme intensificarsi delle persecuzioni durante il suo impero.

3. L’apologetica cristiana

Non è evidentemente un caso che appunto sotto Marco Aurelio, come del resto era già avvenuto una volta durante l’impero di Antonino Pio, quando il mite imperatore aveva ricevuto la prima Apologia di Giustino in difesa dei Cristiani, queste stesse apologie si intensifichino. In tal modo anche Melitone, vescovo di Sardi (ancora una volta un vescovo della provincia d’Asia), in una sua Apologia si rivolgeva a Marco in questi termini:
«Non è mai accaduto come adesso che sia perseguitato il popolo che venera Dio e che sia scacciato dall’Asia per nuovi editti. Delatori senza pudore e avidi dei beni altrui prendono a pretesto questi decreti e derubano in pubblico, rapinano giorno e notte uomini che non commettono alcuna ingiustizia». – Per soggiungere poi: «Se questo è commesso su tuo ordine, sia ben fatto: dal momento che un imperatore giusto non potrebbe mai dare un ordine ingiusto, e noi sopportiamo gioiosamente il premio di una simile morte. Ma ti rivolgiamo questa sola supplica: che tu stesso conosca prima gli autori di una simile accusa e di giudicare secondo giustizia se essi meritano morte e castigo oppure salvezza e tranquillità. Se però quest’ordine e questo nuovo editto non provengono da te – quanto non sarebbe opportuno neppure contro i nemici barbari – ti supplichiamo tanto più di non lasciarci preda di un simile saccheggio pubblico [...]. La nostra dottrina infatti si diffuse prima tra i barbari, però fu nei popoli sottoposti al grande potere di Augusto che giunse al suo culmine, per divenire auspicio di bene soprattutto per il tuo principato. Perché da allora l’impero romano crebbe in grandezza e splendore: tu ne sei stato invocato erede e tale resterai con tuo figlio, se proteggerai la dottrina che crebbe con il principato e nacque con Augusto e che i tuoi antenati onorarono insieme alle altre religioni».
La lettura di questa Apologia scritta da un cristiano d’Asia deve essere considerata non solo estremamente significativa ma anche emblematica (per quanto riguarda chiaramente le attitudini «lealistiche» dei Cristiani nei confronti dell’impero) soprattutto per due ordini di motivi. Melitone, superando, per devozione – com’è chiaro – nei confronti di Marco Aurelio, lo schema impostosi a partire da Nerva della scelta del «migliore» per la successione all’impero e dunque lo stesso principio su cui a partire da Nerva si era fondato l’impero adottivo, non tardava al contrario ad a...

Indice dei contenuti

  1. Nota dell’editore
  2. Introduzione
  3. Prologo. La fine della «belle époque»
  4. I. Marco Aurelio nella storiografia moderna
  5. II. Le testimonianze
  6. III. L’impero adottivo e la scelta del «migliore»
  7. IV. Le scelte di Adriano e quelle diverse di Antonino Pio
  8. V. Marco Aurelio e Lucio Vero, Augusti
  9. VI. Marco Aurelio unico Augusto
  10. VII. Marco Aurelio e i Cristiani
  11. VIII. Le riforme amministrative
  12. IX. L’usurpazione di Avidio Cassio
  13. X. Le nuove guerre sul fronte del Reno e del Danubio
  14. XI. La politica monetaria e fiscale
  15. Epilogo
  16. Tavola genealogica da Traiano a Marco Aurelio
  17. Cartine
  18. Abbreviazioni e sigle