Letteratura e cinema
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Letteratura e cinema

  1. 98 pagine
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Da Lolita di Nabokov a Guerra e pace di Tolstoj, per fare solo due esempi, quanti romanzi o, comunque, testi letterarii hanno ispirato film più o meno riusciti? In che cosa consiste l'adattamento che di un testo letterario si fa per lo schermo? In questo agile volume si colgono e si illustrano chiaramente tutti gli aspetti di tale operazione: in che modo esso si comporta con le strutture in profondità, le manifestazioni in superficie, le forme discorsive. Si evidenziano, poi, quelle che sono le principali strategie dell'adattamento: l'addizione, la sottrazione, la condensazione, la variazione, il principio dell'equivalenza, il ricorso o meno a una voce narrante ecc.La seconda parte del libro si concentra su alcuni casi esemplari, quali quello dell'adattamento in prima persona (i film di Truffaut da Roché e James), del lavoro sul personaggio e della sua trasformazione (Le notti bianche di Dostoevskij trasposte da Visconti e Bresson) e del modo in cui l'adattamento può essere profondamente condizionato dall'intervallo temporale che lo divide dall'opera letteraria (La tregua di Levi e Rosi).

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858122792

1.
Dal romanzo al film,
dal film al romanzo: l’adattamento

Premessa

Nell’epilogo del film Smoke (1995), diretto da Wayne Wang (n. 1949) su soggetto e sceneggiatura di Paul Auster (n. 1947), il tabaccaio e fotografo dilettante Auggie Wren (Harvey Keitel) e lo scrittore Paul Benjamin (William Hurt) si incontrano in una caffetteria. Paul aveva chiesto ad Auggie se avesse una bella storia da narrargli in modo da poterne trarre un racconto per il «New York Times». Auggie esaudisce ora il desiderio di Paul, raccontandogli di un pranzo di Natale fra una vecchia sola e cieca e un uomo, lo stesso Auggie, che, capitato un po’ per caso nell’appartamento della donna, finisce col fingersi suo nipote. Mentre il fotografo parla, un lento movimento di macchina ci avvicina sempre più al suo volto sino a inquadrarne solo la bocca. Quando l’uomo termina il monologo, un nuovo piano ci mostra in posizione ravvicinata gli occhi dello scrittore. Paul è entusiasta del racconto e così lo commenta:
Paul: «Il raccontare è un vero talento Auggie, per fare una bella storia devi sapere quali bottoni spingere. Tu sei al pari dei maestri».
Auggie: «Che vuoi dire?».
Paul: «Voglio dire... che è una bella storia».
Dopo alcune frasi conclusive, una nuova scena si apre con l’immagine di un foglio di carta inserito in una macchina da scrivere su cui Paul sta battendo il titolo della sua storia per il «New York Times»: Racconto di Natale di Auggie Wren. Dalle parole del titolo si passa immediatamente alle immagini che, in bianco e nero, ci narrano una seconda volta, accompagnate da una splendida canzone di Tom Waits, la storia di Auggie. Il movimento che Smoke disegna è esemplare: dalle parole del fotografo (il particolare della sua bocca) alle immagini dello scrittore (il particolare dei suoi occhi). Le frasi pronunciate da Auggie si trasformano, attraverso la parola scritta da Paul, in un flusso di immagini e suoni, diventano cinema.
Sin dalle origini il cinema ha mostrato la sua vocazione a raccontare delle storie. Già L’arroseur arrosé (L’innaffiatore innaffiato, 1895) di Louis Lumière (1864-1948) mette in scena a tutti gli effetti una storia con tanto di esordio (il giardiniere che innaffia), intrigo (il monello che schiaccia la pompa, l’innaffiatore che si innaffia e che poi rincorre il ragazzo), scioglimento (l’uomo che punisce il colpevole sculacciandolo) ed epilogo (l’innaffiatore che riprende indisturbato il suo lavoro). Ma qui gli eventi non sono ancora propriamente raccontati, piuttosto semplicemente rappresentati, messi in scena. Tutto sembra accadere davanti ai nostri occhi, in perfetta continuità spaziale (l’inquadratura non cambia mai) e temporale (dall’inizio alla fine senza ellissi). Proprio come se ci trovassimo di fronte a una scena teatrale. Sono necessari alcuni anni perché la vocazione al racconto insita nel cinema si trasformi in una vera e propria tecnica narrativa. Ciò avviene progressivamente e in particolare attraverso l’acquisizione del montaggio. Di quel montaggio che, facendo sì che i film fossero composti di diverse immagini, regalava alla settima arte la possibilità di una trasformazione dello spazio e del tempo reali in uno spazio e in un tempo propriamente narrativi. Grazie al montaggio il cinema può, con un semplice passaggio d’inquadratura (uno stacco), avvicinarsi o allontanarsi da qualcosa, mostrare un intero spazio e poi concentrarsi su un suo particolare, passare, in un attimo, da un luogo a un altro lontano una decina di metri o migliaia di chilometri. Lo stesso discorso vale per il tempo: in una frazione di secondo possono trascorrere alcuni minuti o milioni d’anni – è la magia dell’ellissi – così come dal presente è concesso saltare provvisoriamente nel futuro (il flashforward) o tornare nel passato (il flashback). Questa scioltezza narrativa con cui il cinema tratta lo spazio e il tempo è rintracciabile anche sul piano del rapporto fra reale e immaginario: il montaggio è proprio uno degli strumenti con cui il cinema può passare da un ordine di realtà a un altro, dal realismo oggettivo delle cose così come sono, a quello soggettivo del ricordo, del sogno, della fantasticheria, dell’allucinazione.
Così, insieme a un’istanza della rappresentazione responsabile della composizione visiva di ogni singola immagine, trova posto nel cinema un’istanza della narrazione che ci guida in una storia decidendone non solo gli spazi e i tempi, come abbiamo visto, ma anche regolando sul piano cognitivo il nostro rapporto con essa (fornendoci cioè delle informazioni superiori, pari o inferiori a quelle dei personaggi – si tratta del problema della focalizzazione), decidendo se mostrarci le cose attraverso una prospettiva esterna ai personaggi o appartenente a uno di loro (nel primo caso ricorrendo a delle oggettive e nel secondo a delle soggettive – si tratta del problema del punto di vista). In realtà le espressioni focalizzazione e punto di vista, che abbiamo appena usato in un’accezione molto limitata, possono al cinema concernere non solo un piano strettamente visivo e cognitivo ma anche un certo modo di raccontare, che può collocare lo spettatore vicino o lontano ai sentimenti e ai valori di un personaggio e usare questi stessi sentimenti e valori come un filtro in relazione alla storia narrata.
Studiare i rapporti fra cinema e letteratura significa innanzi tutto chiarire come la settima arte sia una forma d’espressione che si colloca in qualche modo a metà strada fra teatro e letteratura. Come il teatro il cinema rappresenta, come la letteratura il cinema narra (ci stiamo ovviamente riferendo al romanzo, o al racconto, e al cinema di finzione). Ma letteratura e cinema utilizzano diverse materie dell’espressione: le parole scritte, la prima, le immagini, i segni grafici, le parole pronunciate, le musiche e i rumori, il secondo. Analizzare le loro relazioni significa dunque tenere conto di ciò che hanno in comune (il racconto e le sue categorie: spazio, tempo, personaggio, istanza narrante, focalizzazione, punto di vista ecc.) e di ciò che hanno di diverso (le materie dell’espressione).
Un aspetto particolare del discorso su cinema e letteratura è quello concernente l’adattamento, ovvero la trasposizione audiovisiva di un’opera letteraria. Affrontare tale questione significa da un lato tenere conto, come abbiamo detto, dei rapporti fra le due forme (a monte di un adattamento c’è sempre un racconto scritto e a valle uno audiovisivo), dall’altro individuare quelle procedure e strategie specifiche che designano l’adattamento in quanto tale e che provvisoriamente potremmo rinvenire lungo tre grandi direttrici: che cosa nel corso dell’adattamento il film aggiunge, sottrae e varia del testo di partenza. Sarà alla luce della questione dell’adattamento che prenderemo qui in esame i rapporti fra cinema e letteratura.

Di alcune difficoltà e cattive abitudini

Parlare dell’adattamento significa far fronte a una questione annosa. Se ne è discusso e scritto sia rispetto ai più ampi rapporti tra cinema e letteratura, sia ogniqualvolta ci si è trovati di fronte un film tratto da un romanzo (dove almeno il film o il romanzo fosse qualcosa di cui valesse la pena di parlare). Tuttavia il discorso sull’adattamento è stato indubbiamente segnato da alcune difficoltà e cattive abitudini. Partiamo dalle difficoltà. La prima riguarda la diffidenza dello studioso di cinema, di chi si è formato attraverso la storia di una teoria che è stata a lungo costretta ad affermare la dignità e autonomia estetica del proprio oggetto, a individuarne le specificità espressive. Per far ciò si è dovuto gridare a gran voce che il cinema non era teatro, che il cinema non era letteratura. E ancora oggi dire di un film che è teatrale o letterario significa spesso dire che è un brutto film. Di qui una certa ritrosia ad affrontare con la dovuta serietà il problema dell’adattamento. Alla diffidenza che domina il mondo degli studiosi di cinema si aggiunge l’indifferenza che prevale fra gli studiosi di letteratura. Per essi il romanzo è giustamente una forma d’espressione compiuta, che si dà nella sua totale autonomia e che rimane indifferente a un eventuale adattamento. L’utilità di quest’ultimo è tutt’al più quella di favorire la diffusione del romanzo adattato (fatto peraltro auspicabile solo in alcuni casi). In sostanza l’adattamento è, per la gran parte degli studiosi di letteratura, qualcosa che riguarda i critici cinematografici.
A queste prime difficoltà, che sorgono da un diffuso atteggiamento di diffidenza e indifferenza, se ne aggiunge poi un’altra, ovvia, ma che è bene ricordare. Affrontare in modo corretto un qualsiasi discorso sull’adattamento, sia d’ambito teorico che analitico, dovrebbe comportare una doppia competenza, cinematografica e letteraria, attinente alle tecniche narrative in opera nell’uno come nell’altro universo.
Passiamo ora alle cattive abitudini. La prima è, se vogliamo, di ordine procedurale e trova la sua più evidente manifestazione nel modo in cui l’adattamento viene spesso affrontato nelle scuole (un ambito quest’ultimo che ha giocato comunque un ruolo di primo piano nel tenere vivo il discorso al di là di ogni diffidenza e indifferenza). Qui il criterio di scelta è, nella maggioranza dei casi, determinato dal romanzo piuttosto che dal film. Si scelgono cioè degli adattamenti di grandi opere letterarie ponendo in secondo piano, o addirittura non prendendo per niente in considerazione, il fatto che l’opera che ne è stata tratta sia o meno un buon film. Non solo si finisce così per lavorare su testi mediocri, a volte letterari nel senso deteriore del termine, e arrivare alla solita e scontata conclusione: «Il romanzo è un’altra cosa», ma si dimostra di aver capito ben poco l’importanza del lavoro sull’adattamento che vale nella misura in cui è in grado di individuare l’interesse, la ricchezza e la problematicità del passaggio di un più o meno comune universo diegetico da un’opera letteraria a una cinematografica. E interesse, ricchezza e problematicità si possono dare quando ci troviamo di fronte a un buon film, cioè a un’opera che ha saputo trovare efficaci soluzioni per trasporre audiovisivamente un testo scritto. Si tratta dunque di partire dal film, dal suo valore, e attraverso esso risalire all’opera originale. Un discorso analogo è possibile anche sul piano degli autori. È necessario, infatti, provare a capovolgere, almeno di tanto in tanto, i termini abituali del rapporto: piuttosto che di Ernest Hemingway (1899-1961) e il cinema, sarebbe interessante parlare di Stanley Kubrick (n. 1928) o François Truffaut (1932-1984) e la letteratura (in fin dei conti perché insistere sui mediocri risultati della gran parte degli adattamenti hemingwaiani, quando un mondo di scoperte ci attende prendendo in esame il modo in cui due grandi autori come quelli citati hanno adattato testi di non importa quale valore letterario?). Certo l’ideale sarebbe avere di fronte una grande opera letteraria e un grande film, ma ciò non è sempre possibile. È necessario allora privilegiare il film, altrimenti si correrà il rischio di capire ben poco delle possibilità dell’adattamento, che possono darsi solo a partire dall’efficacia espressiva della combinazione audiovisiva del singolo film ‘tratto da...’ (su questo piano, ma come vedremo non su altri, sembrano aver ragione gli ‘indifferenti’ critici letterari: l’adattamento è una questione che riguarda il cinema).
Anche per il comune spettatore partire dal romanzo o partire dal film può dar vita a risultati diversi. A volte, spinti ad andare a vedere un film per aver letto e apprezzato l’opera letteraria da cui è stato tratto, si rimane delusi dal risultato finale: nella concretezza dell’espressione cinematografica, i personaggi, gli ambienti e le situazioni sembrano tradire il modo in cui ce li si era immaginati durante la lettura del testo. La conclusione è ancora la stessa: «Il romanzo è un’altra cosa». Ma cosa può accadere quando si compie l’operazione inversa? Quando dopo aver visto un film che appassiona, commuove e fa riflettere si corre a leggere il romanzo che l’ha ispirato? Anche in questo caso l’orizzonte d’attesa costruito ora dal film potrà essere deluso. Non si riuscirà forse a rivivere attraverso la parola scritta quelle stesse emozioni che le immagini e i suoni del film avevano creato. Tanto che, timidamente, magari sottovoce nel timore di essere sentiti, si azzarderà un: «Il film è un’altra cosa».
Alla cattiva abitudine procedurale del partire esclusivamente dal testo letterario (meglio se è un capolavoro), se ne aggiunge una seconda relativa a una discutibile attribuzione di valore al concetto di fedeltà. Molti discorsi sull’adattamento (anche se non sempre i più qualificati) si fondano sul luogo comune secondo cui una buona trasposizione deve essere innanzi tutto una rispettosa audiovisualizzazione del testo scritto. La conseguenza di questo modo di pensare è immediata: l’opera letteraria di partenza è così il sito di un valore ideale a cui il film deve avvicinarsi il più possibile (il...

Indice dei contenuti

  1. 1. Dal romanzo al film, dal film al romanzo: l’adattamento
  2. 2. Pagine di cinema
  3. 3. Bibliografia e filmografia
  4. Gli autori