Teatro e avanguardie storiche
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Teatro e avanguardie storiche

Traiettorie dell'eresia

  1. 234 pagine
  2. Italian
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Teatro e avanguardie storiche

Traiettorie dell'eresia

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Informazioni sul libro

Fondata su un ricco confronto dei documenti più significativi, una interpretazione innovativa delle poetiche e delle fenomenologie spettacolari e drammaturgiche delle avanguardie storiche, che ne mette in luce la ricerca sperimentale mirata alla totale trasformazione dei concetti stessi di teatralità e teatro.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858118764

Capitolo quinto. Il geroglifico di un soffio.
Dal Gran Circo dadaista all’alchimia crudele di Artaud

Zurigo: 1916. Il 14 luglio – una data che, vedi caso, evoca l’incipit simbolico della Rivoluzione francese: la presa della Bastiglia – nella sala Zur Waag viene sancito l’atto di nascita del movimento dadaista. Il registro che l’accoglie è quello d’uno spettacolo con «programma di musiche, danze, manifesti, letture poetiche, esposizione di maschere negre e opere pittoriche, secondo un [...] rituale che, nell’occasione, era quello stabilito da Hugo Ball, organizzatore del Cabaret Voltaire»1. Tra i protagonisti della serata, oltre al poeta tedesco, figurano gli altri fondatori del celebre Cabaret: il poeta rumeno Tristan Tzara, il pittore (anch’egli rumeno) Marcel Janco, il pittore e poeta alsaziano Hans Arp. Nel susseguirsi dei ‘numeri’ previsti per la scandalosa esibizione, assume un ruolo idealmente centrale la lettura – da parte di Tzara – di quello che si è soliti considerare il primo manifesto del Dadaismo:
DADA2 è la nostra intensità: che inasta baionette inoffensive la testa sumatrale del poppante tedesco; Dada è la vita priva di pantofole e di parallele; pro e contro l’unità e risolutamente contro il futuro; il buonsenso ci dice che i nostri cervelli diventeranno soffici cuscini, che il nostro antidogmatismo è estremista quanto un impiegato e che noi non siamo liberi e vociferiamo di libertà. Imperativo rigoroso senza disciplina né morale e sputiamo sull’umanità.
DADA non esce dall’ambito delle debolezze europee sempre di merda si tratta ma da ora in poi noi vogliamo cacare in colori diversi per decorare il giardino zoologico dell’arte con le bandiere di tutti i consolati. Noi siamo direttori di circo e sibiliamo nel vento delle fiere nei conventi prostituzioni teatri realtà sentimenti trattorie HoHo HoHo Bang Bang.
Noi [...] esteriorizziamo la facilità, cerchiamo l’essenziale e siamo felici se possiamo nasconderlo; non vogliamo stare a contare le finestre degli splendidi eletti perché DADA non c’è per nessuno, devono capirlo tutti perché è questo il balcone di Dada, ve l’assicuro. È di lì che si possono sentire le fanfare e che si può scendere tagliando l’aria come un serafino in un albergo diurno per pisciare e capire la parabola.
DADA non è follia né saggezza né ironia, guardami bene borghese bellino.
L’arte era un gioco nocciola i bambini mettevano insieme le parole che hanno un campanello nella coda poi piangevano e urlavano la strofa, e le mettevano stivaletti da bambola e la strofa diventò sirena per morire un po’ e la sirena divenne balena e i bambini via dalla scena.
Poi vennero i grandi Ambasciatori del Sentimento e pronunciarono una storica arringa in coro
Psicologia Psicologia hihi
Scienza Scienza Scienza
viva la Francia e la Provenza;
noi non siamo di malizia privi
noi siamo successivi
noi siam assolutisti
noi non siam semplicisti
ed è la nostra scienza parlar di intelligenza.
Ma noi DADA non siamo del loro parere perché l’arte non è una cosa seria dico sul serio.3
È un giocoso delirio verbale – rimbalzante tra il non sense più astratto, e l’enunciato radicalmente distruttivo (l’intera cultura europea, avanguardie comprese, intesa come ‘merda’; la scienza e i suoi ‘sentimentali’ paladini sbeffeggiati senza pietà; l’arte denunziata in quanto cosa ‘non seria’ per eccellenza) – dove il poeta rinnega il proprio nome e la propria pretesa dignità canonica per assumere i panni chiassosi del ‘direttore di circo’, che si colloca al centro della pista sgombrandola da ogni lenocinio formale e da ogni vacua petizione di principio, onde renderla libero campo al savio-‘insensato’ fiorire e sfiorire di scene ludiche infantilmente fedeli a un iperbolico scatenamento dei loro capricci gratuiti: «L’arte era un gioco nocciola i bambini mettevano insieme le parole che hanno un campanello nella coda poi piangevano e urlavano la strofa, e le mettevano stivaletti da bambola e la strofa diventò sirena per morire un po’ e la sirena divenne balena e i bambini via dalla scena». Ma, almeno stando alle intenzioni dichiarate da Tzara, non si tratta di un vero e proprio manifesto d’avanguardia formalmente inteso, né mai questo titolo gli venne attribuito da nessun adepto del movimento zurighese. Il lungo brano, in realtà, compare tale e quale anche nel contesto di un’altra opera composta dal poeta rumeno nello stesso anno: la partitura drammatica della Prima avventura celeste del signor Antipirina, dove figura come monologo pronunziato a sorpresa dall’autore stesso nel bel mezzo delle battute evocate da altri ‘personaggi’, prima della conclusione siglata dalle seguenti formule verbali del protagonista eponimo:
a Ndumbà a Tritrilulò a Nkongulda
vi è una grande aureola dove i vermi si aggirano silenti
poiché i vermi e gli altri animali hanno anch’essi delle pene dei
dolori delle ispirazioni
guarda le finestre che si arrotolano come giraffe
e girano e si moltiplicano esagoni [...]
un giglio si è appena schiuso nel buco del culo
il gregge di montagna in camicetta nella
nostra chiesetta è la stazione ovest i cavalli si
sono impiccati a Bucarest guardando Mbogo che sale
in bicicletta mentre i capelli telegrafici si sbronzano
dalle orecchie del ventriloquo sgusciano quattro spazzacamini
che poi scoppiano come meloni
il prete fotografo ha partorito tre poppanti a striscie
simili ai violini sulla collina spuntano alcuni pantaloni un
ciarlatano di foglie lunari fa l’altalena nel mio armadio
mia bella bambina dai seni di vetro dalle braccia parallele di
cenere, rappezzami lo stomaco
occorre vendere la bambola
da qualche parte un brutto tipo è morto
e noi lasciamo il cavallo proseguire
il topo corre in diagonale sul soffitto
la mostarda cola da un cervello quasi schiacciato
noi siamo diventati lampioni
lampioni
lampioni
lampioni
lampioni
lampioni
lampioni
lampioni
lampioni
lampioni
e poi se n’andarono.4
Accanto a quella del protagonista, la breve opera prevede una molteplicità di strampalate ‘presenze’ sceniche: signor blublu, signor cricri, la donna incinta, pipi, il direttore, npala garroo, la parapola. Ma non si tratta certo né di personaggi dotati d’una qualche forma di individualità né di figure distinte da specifici connotati formali. Sono soltanto grumi di phonè che si avvicendano nel tirare avanti un jeu de massacre della parola ora condotto attraverso l’antilogica giustapposizione di balenanti schegge d’immagine (come avviene nel citato monologo conclusivo del signor Antipirina), ora spinto sino al gioco dissolvente dell’eco ripetuta («pipi – a distesa malinconia sulla chiesa esa esa il sipario ario ario»5), ora – infine – trascinato a culminare nella sequenza musica corale di puri fonemi astratti:
signor cricri
|
zdrangà zdrangà zdrangà zdrangà
signor blublu
|
di di di di di di di di
pipi
|
zumbài zumbài zumbài zumbài
signor antipirina
|
dzi dzi dzi dzi dzi dzi dzi dzi.6
Insomma, al di là d’un simile montaggio verbale: nessun personaggio, nessun dialogo e nessun monologo degni di questo nome, nessun tipo di azione, nessuna trama. Solo il Gran Circo della parola: scatenata, entro l’arena della propria libertà, dai vincoli di qualsivoglia discorso logico. Se di ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Capitolo primo. Preludi gnostici con maschere e marionette. Jarry, Appia, Craig e il primo Mejerchol’d
  3. Capitolo secondo. Dalla rivolta degli oggetti ai voli degli angeli meccanici. Teatro astratto e «performances» futuriste
  4. Capitolo terzo. Tra l’urlo e la geometria scenica: alla ricerca del nuovo Anthropos. Espressionismo, Bauhaus, Brecht
  5. Capitolo quarto. Giocare a calcio con la testa di Iokanaan e ascoltare il proprio silenzio. Le avanguardie russe e la scena
  6. Capitolo quinto. Il geroglifico di un soffio. Dal Gran Circo dadaista all’alchimia crudele di Artaud