Il codice Provenzano
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Il codice Provenzano

  1. 360 pagine
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Il codice Provenzano

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Informazioni sul libro

A distanza di dieci anni dalla sua prima pubblicazione, e nel venticinquesimo anniversario della sanguinosa stagione delle stragi del 1992, la nuova edizione di un libro considerato un documento fondamentale per la comprensione dei meccanismi di Cosa Nostra.

Quella che era partita come un'inchiesta giudiziaria è diventata un libro che tenta di spiegare il potere di un capo avvolto nel mistero per quasi mezzo secolo. Il titolo anticipa tutto il resto: Il codice Provenzano. Un codice che è come una via che ha attraversato la Sicilia. Con lui, il Padrino, sul ponte di comando.Attilio Bolzoni, «la Repubblica»

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858129449

1. «Ti prego di essere calmo e retto,
corretto e coerente».
La comunicazione dei nuovi padrini

1. Il mistero nei pizzini

«Non sapete quello che state facendo», sussurrò Bernardo Provenzano ai poliziotti che l’ammanettavano dentro il suo covo di Corleone, a Montagna dei Cavalli, dopo 43 anni di latitanza. L’11 aprile 2006. Erano le 11.21 di una mattina che il capo di Cosa Nostra aveva dedicato interamente alla scrittura dei pizzini, l’unico strumento che utilizzava per comunicare con il mondo al di fuori della sua casa bunker in mezzo alle campagne della provincia palermitana. Bernardo Provenzano aveva comandato da sempre così, battendo i tasti delle sue macchine per scrivere. Dovunque si trovasse. Poi affidava quei messaggi, ripiegati sino all’inverosimile e avvolti dallo scotch trasparente, nelle mani di fidati mafiosi. Mai il capo di Cosa Nostra aveva utilizzato un telefono o un cellulare, mai aveva ceduto alle lusinghe e alle scorciatoie di quella tecnologia che pure fa della sicurezza nelle comunicazioni un baluardo imprescindibile. La centrale di comando su cui si era fondato il trono di Bernardo Provenzano stava per intero su un tavolino. Quella mattina dell’11 aprile apparve in tutta la sua chiarezza ai poliziotti che avevano indagato per otto lunghi anni.
«Non sapete quello che state facendo», il padrino accennò nuovamente qualche parola di stizza mentre provava a sfilare un foglio dalla macchina per scrivere. Ma stava già in manette. L’ultimo pizzino che aveva composto era per la compagna. E uno dei poliziotti ricordò che il 30 gennaio 2001 aveva sequestrato a un messaggero del boss, Cola La Barbera, altri biglietti scritti dai familiari del latitante. Il segreto si era già manifestato in quelle lettere, scandite da una lunga sequenza di numeri che nascondevano nomi e cognomi. Ma perché tante precauzioni – si erano domandati gli investigatori – se il figlio chiedeva al padre solo il nome di un medico per la madre ammalata o un suggerimento per un buon acquirente di un terreno? Nel covo di Corleone dove Provenzano aveva terminato la latitanza di una vita non ci fu tempo per rievocare ancora le lettere del 2001, perché altre – decine e decine, sembrarono subito – erano ordinatamente raccolte sulla scrivania del padrino. Tanti pizzini componevano la sala di comando di Bernardo Provenzano. Fra due macchine per scrivere, una elettrica, in quel momento poggiata sulla scrivania di legno povero, e una meccanica, sistemata per terra. Un vocabolario. E una Bibbia che portava i segni di una lunga meditazione: il funzionario di polizia che per primo la raccolse osservò che era un’edizione del febbraio 1978, «approvata dalla conferenza episcopale italiana», e notò subito lettere e numeri adesivi che erano sistemati in corrispondenza di alcuni versetti del Vecchio e del Nuovo Testamento. Chissà quale recondito significato avevano.
Non fosse stato per quel piccolo televisore portatile, sintonizzato sulla diretta elettorale che snocciolava i risultati delle elezioni politiche, il covo di Montagna dei Cavalli sarebbe potuto sembrare di un’altra epoca, quando il mestiere dei padrini era solo quello di mediare fra opposti interessi e visioni. Il padrino di Corleone aveva sistemato sullo scrittoio due cartelle, una per la posta in arrivo e l’altra per quella in partenza. Aveva catalogato ogni pizzino con cura, e secondo un metodo che apparve subito imperscrutabile. Quello dei destinatari, che venivano segnati con dei numeri sul margine sinistro di ogni biglietto, da 2 a 164. E il numero 1? C’era anche il numero 1 impresso su una busta della posta in entrata, conteneva parecchi soldi, probabile frutto di estorsioni o di qualche altro affare illecito, comunque un contributo per la cassa comune dell’organizzazione. Fu subito chiaro che il numero 1 era Bernardo Provenzano. E tutti gli altri? Nella cartella della posta in uscita erano rimasti pochi pizzini. Uno era indirizzato al «numero 5»:
Carissimo, con gioia ho ricevuto tue notizie. Mi compiaccio nel saperi a tutti in Ottima salute. Lo stesso grazie a Dio, al momento posso dire di me. Allora 1) ti dò conferma che ho ricevuto per me e P. 4 mila e.
L’incipit di sempre e qualche sgrammaticatura furono gli indizi più immediati che l’autore del biglietto era per certo Bernardo Provenzano.
2) Non so cosa ti abbia detto il 15 per il posto. E dovere mio spiegarti siccome sono stato impossibilitato per seguire la cura? Mi sollecitano di riprenderla al più presto mettendosi a disposizione il 60 per venirla affare. Lui sapendo dove venire. Nel corso di questi discorsi che ne abbiamo fatti più di uno? Io ti ho detto che volevo provare se lo trovavo io un posto? Ovviamente per tramite il 15. Grazie a Dio lo ha trovato. Ripeto non sò cosa il 15 Ti abbia potuto dire. Mà tutto è legato al 60. E come tutte le cose devono succedere a me il 60 non ha potuto venire perché è stato alletto con la febre. Hora ho ricevuto la sua predisposizione a venire, è lui volessi venire un Mercoledì sera per poi ritornare il Venerdì mattina fare tutto e si porta tutto lui.
Già una prima lettura del pizzino, composto con la macchina per scrivere elettrica, rivelò che il numero 60 era un sanitario che, oltre a curarsi di lui, faceva da tramite per la consegna dei pizzini e per la conclusione di affari. Il numero 5 avrebbe avuto l’incombenza di organizzare l’incontro, con la collaborazione del 15. La lettura del biglietto fornì ulteriori particolari.
Ora come tu puoi ben capire questo provvedimento ed organizzazione è per farlo al più presto ma come vedi c’è l’impedimento di poterlo fare il prossimo giovedì, vuoi per la distanza non c’è il tempo materiale? E c’è che il prossimo Vedidì è il Venerdì Santo che i labboratori non funzionano. Allora io do la risposta di farlo con il volere di Dio, il Giovedì 20 aprile e fare entrare la sera di giovedì fare tutto nella mattina di Venerdì e uscire la Mattina di venerdì presto (su questo Orario per entrare e per uscire? Ti devi mettere d’accordo sia con il 15? E sia con il 60. x il 15 vedi tu come rintracciarlo al più presto, per mettervi d’accordo dove è il posto? Se c’è il garage per fare venire al 60 con la sua macchina? Stabilire lora di entrata ed uscita della mattina di venerdì. E possibilità permettendo non fare incontrare o vedersi il 60 con il 15. Per quando a tu avere il condatto con il 60 non ti manca come fare chiedi per il 60 dicelo a (n123.) che 123 può mettere in condatto con il 60. E poi vedi tu, se c’è qualcosaltro con il volere di Dio, abbiamo questi giorni che ci separano. Per agiungere o levare qualcosa. Io con il volere di Dio, volessi notizie per come vanno le cose di questa previsione mammano che vanno passando i giorni, spero di essere stato chiaro. Vi auguro di passare una Buona Felicissima Serena Santa Pasqua, Inviandovi i più cari Aff. Saluti. Vi benedica il Signora e vi protegga!
La cartella dei pizzini in partenza fu l’ultima cosa che Bernardo Provenzano fissò prima di abbandonare per sempre l’ultimo nascondiglio. L’espressione sbigottita dei primi momenti aveva già lasciato il posto a quell’enigmatico sorriso che avrebbe fatto presto il giro del mondo, immortalato dai fotografi e dalle telecamere davanti alla squadra mobile di Palermo. Solo per un momento, il padrino fu distratto dal servizio del telegiornale di Rai 2 che annunciava il suo arresto, poi rilanciò lo sguardo verso la macchina per scrivere dove aveva lasciato un segreto a metà. Per la prima volta, si separava dai pizzini, simbolo del suo comando. Che era terminato alle 11.21 di quel giorno di inizio aprile, ma non era stato ancora svelato.
Ecco perché fu l’archivio dei pizzini il mistero che si manifestò subito a chi aveva trovato la strada per Montagna dei Cavalli. Perché al capo di Cosa Nostra i poliziotti del gruppo ribattezzato «Duomo», dal nome del vecchio commissariato nel cuore della Palermo antica dove avevano sistemato il loro quartier generale, erano arrivati seguendo i fedeli messaggeri dei pizzini del capo. Partivano da casa della compagna e dei figli di Bernardo Provenzano, all’ingresso di Corleone, e si immergevano nella città dove il padrino era cresciuto settant’anni fa ed era diventato un killer spietato. Uno, due, tre postini fidati avevano il compito di proteggere i misteri che restavano dopo otto anni di indagini e arresti fra i manager, i picciotti e i favoreggiatori del capo di Cosa Nostra, finalmente costretto all’angolo dall’azione dello Stato.
I misteri che restavano apparvero presto in tutta la loro asfissiante presenza agli uomini che si aggiravano dentro il covo di Montagna dei Cavalli. Senza la decifrazione del codice segreto, le parole dei pizzini, scritte a macchina o a penna, apparivano frasi senza senso e senza tempo. Appesantite dalle continue sgrammaticature di un capomafia che da bambino non aveva terminato la seconda elementare. Eppure, una ragione doveva esserci in quel codice. Un metodo criminale doveva legare ogni pedina del mistero grande che era l’organizzazione mafiosa Cosa Nostra dopo le stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, così come Bernardo Provenzano l’aveva riformata per farla sopravvivere allo sconquasso dei pentimenti e della reazione dello Stato.
Ai poliziotti fu subito chiaro che dietro ogni numero che scandiva i pizzini c’erano misteriose strade, tanti altri postini ancora, luoghi discreti per ogni scambio, un destinatario o un autore che quasi sempre avevano una doppia vita. Perché nessuno fa il mafioso e basta. Ma cerca di rimodellare la società in cui vive secondo il proprio personale verbo. Il verbo di Provenzano, il mafioso per eccellenza.
Dietro quella sequenza di numeri c’erano i nomi dei favoreggiatori e dei capi, degli insospettabili di tutte le risme e dei nuovi adepti a Cosa Nostra. L’euforia del momento per un arresto tanto importante lasciò presto il posto alla riflessione. Perché per bloccare davvero Bernardo Provenzano e la sua organizzazione sarebbe stato necessario individuare subito il codice che nascondeva la sequenza dei suoi ordini, degli esecutori e dei gregari, dei consiglieri e degli insospettabili. Gli unici indizi per riuscirci erano altri misteri, quelli rappresentati dai pizzini già scoperti: fra il luglio 1994 e il dicembre 1995, Luigi Ilardo, vicerappresentante della famiglia di Caltanissetta e confidente dei carabinieri, ne aveva consegnati nove al colonnello dei carabinieri Michele Riccio; un pizzino era stato scoperto dalla squadra mobile di Palermo nel covo di Giovanni Brusca, a Cannatello, nell’Agrigentino, al momento del suo arresto, il 20 maggio 1996; un altro era nel casolare di San Giuseppe Jato dove nell’ottobre 1997 si nascondeva Giuseppe Maniscalco, anche lui autorevole interlocutore di Provenzano, che come Brusca è oggi collabo­ratore di giustizia. Nel marsupio di Antonino Giuffrè, componente della Cupola mafiosa arrestato dai carabinieri il 16 aprile 2002 in un casolare della provincia palermitana, c’erano cinque pizzini di Provenzano fra molti altri scritti da diversi capi e uomini d’onore. Altri 31 biglietti erano stati ritrovati qualche mese dopo grazie alle indicazioni di Giuffrè, ormai collaboratore di giustizia, nascosti dentro un barattolo di vetro custodito in un casolare fra le montagne di Vicari. Era l’archivio del capomafia Giuffrè, un tempo insegnante di educazione tecnica, che aveva accumulato grande esperienza all’interno dell’organizzazione: lui era il padrino a cui Provenzano aveva affidato la più delicata delle riforme mafiose, quella di mutare il linguaggio di Cosa Nostra e persino il nome. Perché ormai «picciotto», «famiglia», «capodecina», «capomandamento», «commissione provinciale» venivano ritenuti termini antiquati e soprattutto pericolosi, considerato il peso delle intercettazioni ambientali negli arresti degli ultimi anni. A Giuffrè il padrino aveva anche chiesto di studiare un nuovo cifrario alfanumerico da utilizzare per le comunicazioni riservate. Lui si era applicato, aveva fatto per iscritto la sua proposta, ritrovata anche questa. Ma fu bocciata da Provenzano, perché ritenuta «troppo semplice». Qualche anno dopo, da collaboratore di giustizia, Giuffrè ha contribuito a svelare molti segreti della Cosa Nostra voluta da Provenzano, però il capo dei capi aveva già provveduto a cambiare il codice. Così da rendere impossibile l’individuazione dei nuovi ordini e degli esecutori.
Ma c’era molto di più dietro il mistero. Che non era fatto solo di numeri. Persino Giuffrè, vicinissimo al capo e ai suoi segreti, non ha saputo spiegare il vero significato di alcune espressioni di Bernardo Provenzano. Più che concetti, erano altre enigmatiche presenze. Sintetizzate dal padrino nei «ringraziamenti» a «Nostro Signore Gesù Cristo». Lo ha fatto per ben due volte.
Inizialmente, erano sembrati i soliti riferimenti pseudo religiosi di cui sono pieni i pizzini. Ma presto quei brani avevano fatto ipotizzare la vera essenza del mistero Provenzano: le complicità inconfessabili di cui il padrino ha goduto e i nomi di chi gli ha consentito di regnare per 43 anni di delitti, affari e collusioni nei palazzi che decidono.
Era il marzo 2002, Provenzano scriveva a Giuffrè:
Discorso cr; se lo puoi fare, e ti ubidiscono? faccia guardare, se intorno all’azienta, ci avessero potuto mettere una o più telecamere, vicino ho distante, falli impegnare ad’Osservare bene. e con questo, dire che non parlano, né dentro, né vicino alle macchine, anche in casa, non parlano ad alta voce, non parlare nemmeno vici a case, ne buone né diroccate, istriscili, niente per me ribgraziamente. Ringrazia a Nostro Signore Gesù Cristo.
Difficile pensare che Bernardo Provenzano avesse avuto il privilegio di una visione divina che gli aveva rivelato l’esistenza di una telecamera dei carabinieri nel casolare di Vicari dove si svolgevano incontri e summit. Eppure, di certo, nel marzo 2002, una manina ben informata spostò la telecamera nascosta nel casolare verso il basso. E da quel momento, si videro solo piedi. E non si sentirono più voci. Provenzano, naturalmente, non tenne più udienza in quel covo.
Perché Giuffrè, destinatario del biglietto, avrebbe dovuto ringraziare non Provenzano che aveva tempestivamente offerto l’informazione ma «Nostro Signore Gesù Cristo»? Chi è «Nostro Signore Gesù Cristo?». Giuffrè non lo sa. Ha solo potuto ricordare che il 6 marzo dell’anno precedente Provenzano gli aveva inviato un altro misterioso biglietto, che al punto 4 così recitava:
Grazzie ancora x la tua disponibilità x una due settimani lato Cefalù, se era 25 20 giorni addietro sarebbe stata una Grazia, mà grazie al mio Adorato Gesù Cristo al momento ha provveduto lui.
Un’altra volta, dunque, il «Gesù Cristo» del padrino, questa volta «adorato», aveva provveduto nel momento di maggiore bisogno. Proprio quando le indagini erano arrivate vicinissime, come non mai. E però, ancora, nessuno lo sospettava. Solo dopo il ritrovamento del pizzino del 6 marzo 2001 e le spiegazioni del pentito Giuffrè è stato possibile ricostruire il senso di quegli ulteriori ringraziamenti all’Altissimo: il 30 gennaio di quel­l’anno la squadra mobile aveva bloccato Benedetto Spera, autorevole padrino di Belmonte Mezzagno e componente della Cupola. Seguendo un ex primario, Vincenzo Di Noto, gli investigatori erano arrivati in un casolare di Mezzojuso, nel cuore della provincia di Palermo. Quel giorno, Provenzano era a poca distanza, per incontrare alcuni capimafia. Fu spettatore del blitz. «L’Adorato Gesù Cristo» si curò della sua discreta fuga, verso un covo sicuro. E il pronto soccorso di Giuffrè, pur gradito, non era stato più necessario.
Già la mattina dell’11 aprile, quei riferimenti a Gesù Cristo nei pizzini indirizzati a Giuffrè apparvero l’indizio più significativo per leggere la Bibbia di Bernardo Provenzano così colma di incroci misteriosi, fra numeri e lettere sistemati con ordine fra i versetti della Sacra Scrittura. Anche perché, intanto, il vecchio boss continuava a chiedere che proprio quella Bibbia gli fosse restituita. Non ne voleva altre. Solo la sua Bibbia segnata con numeri e lettere.

2. Lo statuto di Cosa Nostra

Fu il 10 dicembre 1969, un pomeriggio piovoso a Palermo, che Bernardo Provenzano sperimentò quanto è necessario scrivere per un mafioso che voglia essere il più temuto di tutti. Ma poi bisogna saper amministrare con saggezza le parole consacrate su un foglio, nasconderle e svelarle al momento opportuno, perché altrimenti potrebbero trasformarsi in una condanna a morte.
Questo e...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. La fine di un’epoca
  2. Prefazione all’edizione del 2008
  3. Ringraziamenti
  4. 1. «Ti prego di essere calmo e retto, corretto e coerente».La comunicazione dei nuovi padrini
  5. 2. «Inviandovi i più cari Aff. Saluti».Il pizzino, indagine su uno stile
  6. 3. «Seguiremo la nuova strada dell’infermiere». I messaggeri della riforma (1994-2002)
  7. 4. «x5 x123 firmato n. 1». Messaggi e messaggeri nell’ultima era (2002-2006)
  8. 5. «Con il volere del Signore». Il Dio del padrino
  9. 6. «Ho bisogno di chiederle una cortesia...». I diritti piegati
  10. 7. «Sono nato per servire». L’organizzazione del potere, la mediazione
  11. 8.«Argomento lavori».Gli affari al tempo della sommersione
  12. 9. «D’accordo per vederci nei giorni di caccia».Quarantatré anni da latitante
  13. 10. «Ringraziamenti a Nostro Signore Gesù Cristo». I misteri di Montagna dei Cavalli
  14. Fonti
  15. I pizzini del padrino