1. Il passo lento del flâneur.
Nei viali del Parco reale
della Reggia di Monza
Luogo: Parco reale
Comune: Monza
Provincia: Monza e Brianza
Regione: Lombardia
Accesso: ingresso libero; orari e informazioni al sito www.reggiadimonza.it
Musica consigliata: Philip Miller, Felix in Exile (1994)
A Monza c’è il grande parco per antonomasia del Nord Italia. La villa è stata costruita dell’architetto folignate Giuseppe Piermarini (1734-1808), fra il 1777 e il 1780, i giardini adiacenti alla villa furono voluti da Maria Teresa d’Austria la quale, contemporaneamente, avviò l’edificazione dell’orto botanico in quel di Brera (1774-1775). Il parco viene iniziato a partire dal 1806 per volontà del viceré Eugenio di Beauharnais. Abbraccia un pezzo di campagna lombarda: ponti, torri, porte e altri elementi architettonici di stampo neoclassico, cascine, prati, boschi, rogge. È la campagna come la potevano attraversare a piedi o a cavallo i nostri nonni, da bambini, prima che il paese fosse travolto dalla bulimia del cemento.
In questi due secoli di storia si sono affiancate molte specie alloctone e autoctone e diversi esemplari hanno avuto modo di crescere, guadagnandosi la patente di patriarca. I giardini sono stati coltivati attorno all’edificio principale, con tanto di laghetto, rocce, statue, caverne, tassi e lecci, cigni e anatre; il resto è campagna aperta, compreso un ippodromo ed un centro ippico.
I ponti sono un elemento peculiare del parco, che si estende, fra aree prative e boscate, per 688 ettari. Sono quattro: Ponte delle Catene, Ponte dei Bertoli, Ponte di Pietra, Ponte della Cavriga. I ponti sono transito fra un mondo e un altro.
C’è un percorso che consiglio: si parte dal più rappresentativo albero dei giardini, si raggiunge la Cascina del Sole, si prosegue verso la Voliera per umani, quindi vialone dritto che conduce a Villa Mirabello, grande ippocastano, Lo scrittore, ritorno entro le mura alla torre viscontea.
L’albero più celebre del parco reale è la quercia rossa (Quercus rubra) che fronteggia la villa. A Milano crescono tre grossi esemplari di quercia rossa, fra i cinque e i sei metri di circonferenza; sono stati piantati nella seconda metà del XIX secolo. Questa è maggiore: alla mia misurazione risultano 650 cm. Il tronco, intaccato da alcune carie, si spalanca in una fioritura di dieci ramificazioni principali. Al suo fianco una seconda quercia, di minore dimensione. In inverno le ramificazioni nerastre sono affascinanti. A pochi passi, verso la villa, c’è il cerchio dei faggi piangenti, undici esemplari dalle ramificazioni arzigogolate. Centinaia le specie, fra le quali lecci, liriodendri, tassodi (ne misuro uno di 490 cm, accanto alla roggia che delimita il primo prato), ippocastani, platani, farnie.
Nel bosco accanto al prato l’attenzione del cercatore di alberi secolari che si agita dentro il sangue si polarizza intorno ad un colosso che dista un centinaio di passi dalla quercia rossa: base colonnare che si divide in quattro spettacolari crescite che salgono fino a schizzare la cima della chioma, a cupola. Credo sia un cedro marocchino, o dell’Atlante (Cedrus atlantica), la fronda aghiforme è color grigio-azzurro, glauca. Starci sotto e sbirciarlo lo rende ancora più imponente. La pancia misura 745 cm, apd. Rimarchevole.
Si esce dalle mura, si punta alla Cascina del Sole, «devota» al dio Apollo, si attraversa un prato e si arriva al prato successivo, adiacente a Cascina Cernuschi: qui, solitaria, resiste una delle due opere d’arte donate nel biennio 2005-06: Voliera per umani; è un canestro circolare e rovesciato, sboccia da un cono centrale, costituito di legni di varie essenze raccolti nel parco. La sezione aerea è danneggiata, credo già nelle intenzioni del creatore. Vi si può entrare, da un pertugio alla base. Giuliano Mauri (1938-2009) è stato un artista lodigiano, chiamato il «tessitore del bosco»: non è forse una splendida definizione?
L’ingegno dell’uomo di concetto, che orchestra il sapere quanto l’artigiano sa maneggiare gli strumenti del lavoro, è indispensabile per la realizzazione di un parco. L’attuale sistema educativo porta a pensare che siano due persone distinte, l’uomo di concetto, di intelletto, e l’uomo di fatica, il manovale; nel passato raramente lo sono stati. Mauri è stato un poeta dei giardini, già i titoli delle sue opere aprono mondi nel mondo: Reattore del canto (2003), Anfora votiva (2002), Casa della memoria (1997), Albero dei cento nidi (1992), Arpa eolica (1992), La casa dell’uomo tessitore (1985), Codici acquatici (1981). Lo incontreremo di nuovo ad Arte Sella.
La strada asfaltata si allunga fino all’autodromo. Recinti entro i quali pascolano cavalli. Il giardino di Villa Mirabello ospita un bel cedro dalla cima capitozzata. A lato della villa si passa in un cortile: ci sono le stalle, da cui spuntano le teste dei cavalli. Lungo un sentiero che discende al prato sottostante cresce un ippocastano monumentale, che vado a misurare: 565 cm, a un metro da terra, a valle. L’architettura è integra, molto alto, il tronco si apre in sei branche primarie. In lontananza si può ammirare l’installazione di Giancarlo Neri, Lo scrittore: una sedia e un tavolo alti nove metri riposano l’immaginazione, al centro di un prato. Camminarci sotto è emozionante.
Torno indietro, costeggio il muro di confine e accedo dietro la torre viscontea. Oppure si può seguire la strada, superare i prati che si allungano e si spianano, ondivaghi. Zittire il telefono, togliersi dalla testa il ticchettio dell’orologio, proseguire oltre l’autodromo, penetrare nel Bosco Bello e puntare al Serraglio dei Cervi, ammirare l’arco gotico del portale d’ingresso, un edificio che pare un ponte sbagliato: due finte torrette laterali, invenzione goticheggiante di Luigi Canonica che qui, non meno del Pirro a Bomarzo, s’è divertito, e parecchio. Ho un crescente interesse per le fotografie di persone lontane, che si dipingono, minute, con i loro colori netti, in un paesaggio agreste. Due sconosciuti che si incrociano lungo un sentiero. Una famiglia coi cani che corrono strisciando le lingue a terra. Una signora in bicicletta. Due amiche che chiacchierano accanto ai tigli.
Quando penso a Monza penso ad una figura che popola il mio continente mentale: Federica Galli (1932-2009). Nata e cresciuta nella campagna cremonese, come io lo sono nella campagna bergamasca, nella bassa pianura, dove i canali e la coltivazione dei campi rappresentano il paesaggio, mentre la nebbia nasconde(va) la spoliazione degli alberi in autunno. Abbandona questo mondo per venire a Milano, a studiare all’Accademia di Brera. Il suo sarà un destino condiviso da non pochi artisti campagnoli migrati in città: inseguire ripetutamente i profili del mondo natio.
Inizialmente s’indirizza verso la pittura, quindi ammira i grandi dell’incisione e della litografia, Dürer e Bonnard. Nel ’56 compra il primo torchio. Viaggia e visita Colmar – la splendida macchina d’altare di Matthias Grünewald – e altre città tedesche e francesi. Nel ’60 tiene la prima mostra di acqueforti a Milano, due anni dopo è ospite all’Accademia delle Belle Arti di Atene, immergendosi nello studio della cultura classica.
Nel 1965 esce il primo libro sul suo lavoro e s’intitola Gli alberi, ne è editore Salvatore Sciascia (amico ma non parente di Leonardo). Da quel punto il suo lavoro si sviluppa lungo i temi che le saranno cari: le vedute di Milano, le campagne e i casolari dell’Italia minore e provinciale, gli alberi che tornano e ritornano. Nel 1988 ritrae i platani dell’Arena di Milano e il cedro del Libano di Villa Olmo a Como, l’anno seguente esce per le Edizioni Abete di Roma il primo volume dedicato dal Corpo forestale dello Stato agli alberi monumentali italiani, frutto successivo della prima campagna di censimento di questi giganti regione per regione. La Galli se ne innamora e inizia a girare l’Italia per raffigurare i patriarchi verdi. In un lustro, fra il 1994 ed il 1998, ritrae una sessantina di alberi secolari, fra i quali molti capolavori di Madre Natura meta di pellegrinaggio: il castagno o i castagni dei Cento Cavalli a Sant’Alfio, sulle pendici dell’Etna; la farnia di Villanova, nel Veneziano; l’avvitatissimo tasso di Cavandone, sopra Verbania; le sequoie piantate nel 1848 al Parco Burcina di Pollone, nel Biellese; i platani lungo il viale omonimo al Parco Reale di Racconigi, nel Torinese, purtroppo tutti caduti nel frattempo.
E ancora la Quercia delle Streghe o di Pinocchio a Capannori, in Lucchesia; due dei tre larici di Santa Gertrude in Val d’Ultimo, in Trentino Alto Adige; lo splendido bosco del Cansiglio, a cavallo delle province di Belluno, Treviso e Pordenone; la roverella della Ca’ del Pepp a Monreale, anch’essa purtroppo spenta in questi ultimi anni; la vastissima e longeva vite di Prissiarn al castello del Gatto in Trentino, considerata la più grande e la più vecchia d’Europa; l’olmo di Mergozzo sulla costa dell’omonimo piccolo lago a pochi chilometri da Verbania; il castagno di Castel Lusenegg in Alto Adige; i tigli di Macugnaga e Sant’Orso ad Aosta; il platano dei cento bersaglieri a Caprino Veronese, identico ad oggi; l’antichissimo olivastro di Luras in Sardegna, il nostro vegliardo di tremila anni; l’olma di Campagnola in Emilia, morta pochi anni orsono; la farnia dei Gonzaga a Goito; la colossale araucaria australiana dei giardini di Genova Nervi (la potete ammirare a p. 192); il ficus dell’orto botanico di Palermo, tanto complesso da fotografare quanto da incidere; il cipresso del Kashmir dell’Isola Madre.
E la quercia rossa del Parco reale di Monza, luogo doppiamente legato alla Federica Galli che qui trova, probabilmente, la sua definitiva consacrazione nel 2008 con la grande mostra che si tiene nel Serrone, catalogo generale pubblicato da Allemandi. Me la immagino camminare lenta per il parco; a lei piaceva osservare, stare a contatto coi boschi e gli alberi, che voleva codificare e trasferire, reinventare, nel mondo aereo della carta. Senza dubbio una flâneuse lombarda, anche se può sembrare un’antitesi. L’eredità è custodita dalla Fondazione a lei dedicata, che si può andare a visitare nel cuore di Milano, a pochi passi da San Babila (www.federicagalli.it).
Fig. 3. Giardini della Reggia di Monza: l’albero più rappresentativo è una quercia rossa ultrasecolare, albero maestoso d’estate, vestito di chioma, quanto d’inverno, quando le sue cortecce e la base corpulenta lo avvicinano all’idea che possiamo custodire d’un maligno albero da fiaba oscura.
2. Lo sguardo sfugge oltre il paesaggio.
Distanze e improvvise vicinanze
della Reggia di Caserta
Luogo: Reggia di Caserta
Comune: Caserta
Provincia: Caserta
Regione: Campania
Accesso: ingresso a pagamento; informazioni, notizie e costi al sito www.reggiadicaserta.beniculturali.it
Musica consigliata: Wolfgang Amadeus Mozart, Messa di Requiem in re minore, movimento Lacrimosa (1791)
Selezionando i giardini da includere in questo viaggio ho trovato alcuni impianti di tale vastità scenografica che, fin da subito, mi hanno causato più di un dubbio. Così come un libro di mille pagine non è necessariamente più interessante e ricco di un romanzo di cento, altrettanto un parco che si estende per decine di ettari non risulta più magnificente di un giardino di tre ettari. Per quanto ami le visioni panoramiche, i grandi giardini, o meglio i grandi spazi, e i grandi parchi mi hanno affascinato meno di altri giardini ‘miniati’, sebbene per quanto concerne le riserve naturali e le foreste il discorso sia distinto.
Sarà proprio perché mi sento figlio delle selve che rifuggo la piena luce delle piazze, e sarà pur a causa della predominanza della funzione architettonica rispetto a quella naturalistica che i grandi giardini non mi hanno mai conquistato. Per quanto mi piaccia passeggiare per i vasti prati della Reggia di Monza, o lungo quel che chiamo il chilometro botanico di Villa Borghese, la mia predilezione si posa sugli spazi meno ampi, quando il passo e lo sguardo operano nella misura media o, meglio ancora, ristretta: ombre che fermentano e fontane che ‘magmentano’ placidamente. In effetti, i circa tre chilometri di lunghezza del parco di Caserta, che ne fanno la residenza reale più vasta del pianeta, affaticano, anche a pensarli. Ci torno, un quarto di secolo dopo la mia prima volta, anche per far visita agli alberi monumentali del Giardino Inglese, costruito accanto.
Mi immergo lungo un sentiero che mi accompagna al secondo incrocio con la lunga via che si estende dal centro della Reggia al punto più lontano del paesaggio. In sostanza la via d’acqua, il cannocchiale visivo, ha come estremi la cascata che discende nell’ultimo tratto, un bosco che si aggrappa ad una collina boscosa, e appunto la Reggia; intorno un muro di vegetazione, un bosco nel quale corrono sentieri sterrati per coloro che camminano e vengono qui a passegg...