Sociologia del corpo
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Sociologia del corpo

  1. 172 pagine
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Sociologia del corpo

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Corpi: delle tecnologie biomediche e della Rete, dell'anoressia e del body building, dell'arte, del diritto, dell'etica. Realtà prodotte e costruite socialmente. Un'esplorazione dei nuovi modi tecnologici e culturali di ridefinire confini e possibilità del corpo umano.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858117675
Categoria
Sociologia

1. Corpo a corpo

Scena I
«20 + 3 gg.; B.P.D. 50 mm., L.F. 35 mm.» Il medico distoglie lo sguardo dal monitor; si rivolge alla giovane donna stesa sul lettino e con un sorriso rassicurante prosegue: «Il feto cresce bene. Guardi, questa è la testa...»
Sono due i corpi di nostro interesse nella scena. Quello del feto intrauterino scandagliato dal fascio di ultrasuoni inviato dalla sonda di un apparecchio ecografico, sul cui riflesso elaborato in un’immagine su monitor vengono effettuate alcune misurazioni (rispettivamente del diametro biparietale e del femore), e quello di una donna alla ventesima settimana e tre giorni di gravidanza.
Del primo è stato osservato che non costituisce una creatura di Dio, né della Natura, bensì della società moderna; e così pure si è detto della condizione psicosomatica della donna sottoposta a controllo prenatale, con ciò intendendo che nascituro ed esperienza materna del grembo sono oggi qualcosa di diverso da quello che essi erano duecento anni fa, per esempio. La gravidanza è diventata strumentalmente verificabile; il grembo materno una zona di intervento, di controllo ed assistenza; la donna incinta un sistema uterino per l’approvvigionamento del feto (Duden 1991). Anche il feto «non è sempre stato». Per secoli, la gravidanza si è annunciata con certezza alla madre – in perfetto accordo con i canoni dell’iconografia cristiana – solo con il primo movimento del bambino. Per quanto emozionante continui ad essere il primo movimento loro percepibile del feto, quando le donne della mia generazione lo avvertono sanno da tempo di essere incinta; «del formarsi di un qualcosa sotto il cuore» hanno avuto l’annuncio dall’esito di un test chimico, e dai mosaici di minuscoli quadratini di vari toni di grigio delle immagini ecografiche (ibid).
A modificarsi, nelle trasformazioni descritte, è l’esperienza che la donna incinta fa del proprio corpo, ma non solo. Sebbene ogni volta diversa e tipica del suo tempo, l’esperienza del corpo è rimasta sostanzialmente immutata sino a non molto tempo fa, orientata verso un’attenzione di tipo tattile. Nella prospettiva della storia del corpo, le trasformazioni prima indicate sono inserite nel quadro del passaggio a una percezione geometrico-visuale del corpo. Oggi, con i mezzi dell’ottica medica, la donna vede l’interno del proprio corpo («Guardi...»); attraverso la macchina l’interno del corpo è svelato, il confine tra dentro e fuori assottigliato. Nasce, come lo ha efficacemente definito Barbara Duden, il feto pubblico. Il feto come fatto pubblicamente attestato attraverso la mediazione professionale fa del corpo della donna il luogo in cui si compie un processo esposto «allo sguardo della ricerca, delle autorità e della strada», «un terreno su cui è possibile vedere, intervenire, decidere (ivi, p. 121 trad. it.). Esso avvia la donna verso una serie di «cosiddette decisioni»: amniocentesi, eugenetica interiorizzata, moderna cura del neonato (ivi, p. 62 trad. it.).
Da un punto di vista semiotico, il feto pubblico «generato» dai laboratori – vero ribaltamento del significato personale e sociale della gravidanza e della percezione del nascituro – costituisce secondo Duden (ivi, p. 63 trad. it.) un tipico objectum nostri temporis: costituisce cioè l’esito di un processo attraverso il quale alcune idee, scientifiche e non, sul corpo della donna si sono sviluppate fino a diventare socialmente accettate. Il processo riflette e rinforza la distribuzione del potere tra uomini e donne: a partire dall’Ottocento, l’interno della donna viene progressivamente reso pubblico dai punti di vista medico, giuridico e politico, mentre la scoperta dell’origine «naturale» dell’inclinazione femminile alla vita familiare e ai lavori domestici, alla maternità e al bisogno di protezione danno parallelamente origine alla privatizzazione del suo esterno, rinchiudendo la donna nella sfera privata (ivi, p. 106 sg. trad. it.).
La straordinaria ricostruzione che Duden fa della storia di una particolare condizione del corpo – la gravidanza – è qui introdotta per la sua qualità esemplare di ricostruzione di un processo al quale i sociologi sono soliti riferirsi con l’espressione costruzione sociale del corpo. Il processo è guidato da rappresentazioni, in questo caso del corpo della donna, che orientano una molteplicità di pratiche anche routinarie relative ad esso e che, complessivamente, definiscono delle politiche del corpo. Esse letteralmente producono e normalizzano il corpo che abbiamo e che siamo. Nella prospettiva richiamata, la varietà dei processi in cui esse si concretizzano ha come effetto l’espropriazione del corpo della donna.
Di ciò si occupa il presente testo: di alcuni processi e trasformazioni sociali che dei corpi contribuiscono a ridefinire cosa è interno e cosa è esterno, cosa è appropriato e cosa no, cosa è lecito farne e cosa è invece illecito. E che trasformano – anche in assenza di mutamenti sensibili della sua struttura – il corpo che noi esperiamo.
La scelta dell’immagine che apre il capitolo non è casuale. Essa intende introdurre alla riflessione femminista sul corpo, alla quale va il merito di aver affermato, pur nella varietà di approcci, due idee: che il corpo non è una forma puramente naturale, e che esso rappresenta un luogo in cui si inscrivono i rapporti prevalenti di dominio e di subordinazione. Tale riflessione costituisce la via maestra al discorso sul corpo come luogo del potere; al corpo di genere, ma anche al corpo di razza, o di classe, per esempio. Per questo il capitolo prende avvio da essa; per questo alcuni temi qui trattati torneranno nei capitoli successivi.

1.1. Corpi dal femminismo

Non v’è praticamente testo che si inscriva nella recente riflessione sociologica sul corpo che non riconosca all’attenzione che il femminismo ha dedicato al controllo dei corpi delle donne un debito teorico. Di più: insieme alla collegata crisi dei modelli di genere sessuale, alle trasformazioni demografiche e antropometriche e alle logiche del cosiddetto postmoderno, l’impatto del femminismo è stato considerato uno dei fattori che spiegano l’attuale tendenza della sociologia ad occuparsi del corpo (sotto questo profilo, tale tendenza è il corollario di una maggiore visibilità sociale del corpo legata alla sua crescente problematicità [Pozzi 1994]).
Capovolgendo la vecchia metafora del corpo politico, il femminismo ne introduce una nuova: la politica del corpo. Con le parole delle protagoniste:
Ora il femminismo rappresentava il corpo umano in quanto tale come entità politicamente definita, la cui fisiologia e morfologia erano foggiate dalle esperienze e dalle pratiche di restrizione e di controllo: dalla fasciatura dei piedi e compressione del busto allo stupro e all’ossessione dell’eterosessualità a tutti i costi, alla sterilizzazione forzata, alla gravidanza indesiderata e alla esplicita mercificazione (Bordo 1993, p. XXXIV trad. it.).
L’idea del corpo come sede di lotta politica (cui intende rinviare il corpo a corpo del titolo del presente capitolo), «l’idea [...] che la ‘definizione e l’adattamento’ del corpo siano ‘il punto focale delle lotte per la forma del potere’. Quest’idea è stata scoperta dal femminismo [...]» (ivi, p. XXIX trad. it.). Con essa, «una vera ondata di sapere sessuato sulla corporeità [...] si abbatte su tutto l’edificio del sapere umanistico e lo sbaraglia» (Braidotti 1996, p. 9).
In realtà è stato osservato che la nuova sociologia del corpo sovrastima la centralità della tematica corporea nel femminismo, dalla quale, anzi, il femminismo si sarebbe allontanato introducendo la distinzione – fondamentale e fondante, per quanto problematica ed instabile possa essere divenuta – tra la corporeità materiale del sesso e la socialità del genere per concentrarsi su quest’ultima. Le politiche del corpo in quanto tali sarebbero state basilari nell’agenda del movimento sociale femminista, al quale tuttavia non può essere ricondotto tout court il femminismo come progetto intellettuale (Witz 2000). Per quanto discutibile, questa affermazione ben introduce all’analisi del dibattito sul sostrato biologico della differenza tra uomini e donne, e rende indispensabile un breve excursus nel pensiero femminista.
Dalla fine del Settecento ad oggi, esso ha dato origine a prospettive molteplici e talvolta conflittuali, che rendono addirittura controversa la possibilità di riferirsi al loro insieme utilizzando un solo termine. Non rientra tra i nostri scopi ricostruirne la successione e l’intreccio storico, quanto piuttosto individuare alcune posizioni di fondo in tema di corpo elaborate al loro interno, nonché le connessioni tra queste e le pratiche politiche.
Un tentativo effettuato in tal senso le ha ricondotte a tre (Grosz 1994). La classificazione risultante può essere non condivisibile, ma ha l’indubbio merito di imporre un ordine ad una materia estremamente complessa, e perciò di consentirne una visione d’insieme. Esaminiamola.
La prima posizione individuata, quella del cosiddetto femminismo egualitario, distingue tra una mente sessualmente neutrale ed un corpo sessualmente – leggasi: biologicamente – determinato. Sono i ruoli sessuali e in particolare quelli riproduttivi, per le condizioni di fragilità e di vulnerabilità che inducono nel corpo femminile, l’ostacolo all’uguaglianza. In questa prospettiva, è la biologia stessa a dover essere modificata: con il rifiuto della maternità, o con il ricorso alle tecnologie (della contraccezione e della riproduzione assistita) che consentono di controllarla.
Occorre notare che da un punto di vista analogamente essenzialista, i cicli corporei femminili (ivi compresi la gravidanza, la maternità e l’allattamento) sono stati anche considerati, invece che un limite intrinseco alla possibilità delle donne di raggiungere l’uguaglianza, vie d’accesso a forme peculiari di conoscenza e di esperienza, inaccessibili agli uomini. Che venga interpretato negativamente o positivamente, l’assunto condiviso è quello di una maggior naturalità – biologicamente inscritta – del corpo femminile rispetto a quello maschile.
Il costruzionismo sociale, la seconda delle posizioni fondamentali individuate in materia di femminismo e corpo nella ricostruzione a cui ci stiamo riferendo, condivide con la prima una nozione di corpo come biologicamente determinato, fisso e astorico, ma, anziché nell’essenza biologica stessa, individua l’origine dell’oppressione delle donne nei modi in cui le società organizzano e danno significato ai cicli e alle pratiche corporee femminili. Le culture – meglio: le ideologie – costruiscono sugli attributi dell’uomo e della donna riconducibili alle caratteristiche biologiche (il sesso) la mascolinità e la femminilità (il genere). A mutare devono dunque essere gli atteggiamenti, le credenze e i valori connessi al corpo; il raggiungimento dell’eguaglianza passa attraverso la comprensione e la trasformazione dei modelli di genere (per esempio, attraverso la riorganizzazione sociale della cura della prole). Nella prospettiva in esame – è chiaro – è fondamentale la distinzione tra il corpo biologico ed il corpo come oggetto di rappresentazione; le politiche devono lavorare su quest’ultimo e sui significati e valori ad esso collegati.
Ancora meno facile è evitare semplificazioni eccessive nel delineare gli orientamenti di una terza posizione, quella della differenza sessuale. Centrale per comprendere l’esistenza psichica e sociale delle donne è qui la nozione di corpi vissuti, e l’attenzione ai modi in cui essi sono rappresentati ed utilizzati nelle diverse culture. All’idea del corpo come oggetto naturale, astorico e preculturale si sostituisce quella di corpo come oggetto inscindibilmente naturale e culturale, e perciò il luogo del contrasto in una serie di conflitti di natura economica, politica, sessuale, intellettuale. Accomuna le teoriche che condividono quest’orientamento la convinzione della irriducibilità della differenza tra i sessi. Tale inestirpabile differenza, che nella materialità della storia si è trasformata in una profonda asimmetria della posizione della donna rispetto alla posizione dell’uomo, richiede riconoscimento e valorizzazione. Il pensiero della differenza sessuale, si noti, non trae però dall’irriducibilità reciproca dei soggetti uomo e donna un particolare contenuto della femminilità; non postula cioè che tutte le donne siano sostanzialmente simili, ed anzi fa delle differenze tra le donne il perno della sua politica.
Nell’oscillazione tra rivendicazioni di uguaglianza e affermazioni di differenza che caratterizza l’intera storia del femminismo, non è facile ricondurre univocamente le posizioni individuate, ciascuna delle quali internamente composita, al polo dell’uguaglianza o al polo della differenza. Dal secondo viene di solito mossa al primo la critica di non attribuire nessun significato alle esperienze dei corpi e alle differenze che da queste derivano (impedendo con ciò l’effettiva costruzione di un soggetto femminile e di un mondo che ne porti il segno); all’opposto, il secondo viene di consueto criticato come sostanzialmente essenzialista (Saraceno 1994).
In realtà, il recente dibattito femminista sul significato della differenza ha condotto a posizioni molto articolate, anche distanti dall’essenzialismo. Due per tutte: in primo luogo, l’idea che la stessa materialità del corpo sia continuamente creata da atti ripetuti e sedimentati in conformità a codici di comportamento, da discorsi la cui storicità conferisce al linguaggio il potere di produrre le cose che dice. In questa prospettiva, sarebbe il discorso dominante sul genere e sulla sessualità a produrre e riprodurre incessantemente il sistema dicotomico dei ruoli di genere e della sessualità, come smascherato da quanti rinnegano quei codici nella pratica sessuale e sociale di corpi devianti e non convenzionali (dal sadomasochismo ai movimenti «grasso è bello») (Pitts 2002). È, questa, una posizione chiaramente antiessenzialista, che fa della materialità del sesso una costruzione storicamente e socialmente derivata da rapporti di potere. Val la pena di notare che alla medesima conclusione sono pervenuti studi di storia e sociologia della scienza sul mutamento di significato attraverso i secoli della differenza sessuale1.
Analogamente non essenzialista è l’esito estremo del dibattito sulla differenza, identificabile nella dissoluzione del concetto stesso che ha luogo quando l’enfasi è posta sulle differenze individuali (di classe, razza, mobilità, sessualità) tra le donne. Portata alle sue logiche conseguenze, è stato osservato, essa rende di fatto privo di significato il femminismo stesso, rendendo impossibile qualsiasi generalizzazione o rivendicazione politica da parte di un gruppo chiamato «donne» (Coppock et al. 1995).
Per quanto rapido, questo excursus tra i vari femminismi teorici, che intenzionalmente ha tralasciato nomi e riferimenti filosofici accettando il rischio di apparire grossolano, dovrebbe aver reso chiaro che le posizioni relative allo statuto attribuito alla differenza sessuale, o al sesso, o al genere, classificabili e classificate in maniere differenti, non costituiscono materia puramente nominalistica (Saraceno 1994). È infatti proprio rispetto alle definizioni e ai modelli di azione relativi a corpo e sessualità che si sono prodotte le lacerazioni più profonde del movimento, teorico ma non solo:
In modo diverso nei diversi paesi, le tensioni maggiori si sono avute attorno alla questione del lesbismo, della maternità, dell’aborto, fino a toccare la stessa rilevanza del corpo nella definizione della donna. D’altra parte sono stati proprio questi i temi che negli ultimi decenni non solo hanno maggiormente aggregato e mobilitato le donne, rendendo visibile il femminismo, ma hanno costruito altresì l’ossatura dell’autoriflessione femminile: sul modo in cui il corpo della donna è definito e usato nella società e nella cultura a dominanza maschile, ma anche sul corpo, sulle esperienze del corpo (maternità e sessualità anzitutto) in quanto interne e non estranee alla dimensione simbolica, e quali punti di partenza per una possibile azione costruttiva di una soggettività femminile autonoma e capace d’incidere sulla realtà sociale (ivi, p. 55).
In questo senso il femminismo è esso stesso contemporaneamente agente ed esito di processi di costruzione sociale, nei quali spiegazione e interpretazione della società e intervento sulla medesima interagiscono, dando origine a nuove realtà – modi inediti di percepirsi e di organizzarsi come donne e di stabilire rapporti tra i sessi – e a nuovi modi di interpretare la realtà stessa (ibid.). (A ben vedere, anche l’alternativa tra uguaglianza e differenza, la loro opposizione, è una costruzione sociale. Ma questo ci condurrebbe troppo oltre.)
Se la denuncia e il rifiuto dell’asimmetria di potere...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Corpo a corpo
  3. 2. Da un corpo all’altro
  4. 3. Corpi senza corpo
  5. Per una sociologia del corpo
  6. Riferimenti bibliografici
  7. L’autrice