La prima marcia su Roma
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La prima marcia su Roma

  1. 94 pagine
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La prima marcia su Roma

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Chi uccise nell'aprile 43 avanti Cristo i due consoli romani Irzio e Pansa, favorendo l'ascesa definitiva di Ottaviano al potere? Lo storico e filologo Luciano Canfora si è messo sulle tracce dell'assassino, oltre che attraverso i suggerimenti presenti in Tacito e Svetonio, studiando un gruppo di lettere di Cicerone che contenevano un indizio principe. Nella Prima marcia su Roma c'è la soluzione al mistero.

Dino Messina, "Corriere della Sera"

Come definire l'attitudine di un grande storico quale è Luciano Canfora a demistificare sistematicamente gli inganni della storia, individuare e denunciare misfatti impuniti da secoli, fiutare e stanare omertà intellettuali, disonestà e censure con cui il potere culturale, alleandosi con la politica, falsifica la verità? In questo senso, il caso di Ottaviano è forse il più clamoroso della storia. E Canfora non poteva non dedicargli un libro indispensabile e definitivo, che limpidamente svela i delitti del futuro primo imperatore romano e insieme il piedistallo storiografico di falsità costruito per occultarli. Silvia Ronchey, "La Stampa"

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858112236
Argomento
History

1. La verità del vincitore

La vicenda di cui parleremo è narrata ai posteri dal suo protagonista con parole scolpite nel bronzo e col proposito che quella rimanesse la sola e definitiva versione dei fatti. Eccola:
«All’età di diciannove anni, di mia iniziativa e a mie spese, misi insieme un esercito, grazie al quale liberai la repubblica dal dominio dei faziosi.
Per ricompensarmi, il Senato, con decreti che mi rendono onore, mi cooptò nel suo ordine attribuendomi addirittura il diritto di parlare quando tocca a chi è già stato console; e inoltre mi riconobbe l’imperium, il comando militare. Questi decreti risalgono al consolato di Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa [43 a.C.].
Il Senato inoltre mi ordinò di provvedere all’emergenza in cui si trovava la repubblica collaborando coi consoli in carica e attribuendomi il rango di propretore.
Nello stesso anno, essendo caduti in guerra entrambi i consoli, il popolo mi elesse console nonché ‘triumviro per la riforma dello Stato’».
È l’esordio delle Res Gestae Divi Augusti, un documento puntiglioso quanto minaccioso che Augusto fece leggere davanti al Senato e incidere e affiggere a Roma e in varie parti dell’Impero. La copia che noi leggiamo fu trovata in Turchia presso Ankara nel XVI secolo1.
Testo minaccioso che sta sostanzialmente a significare che Augusto rivendica la legalità di tutta la sua carriera, anche delle tappe più palesemente illegali come il reclutamento di un esercito privato, secondo il modello truce del giovanissimo Pompeo.
La prima notizia che dà è proprio l’arruolamento di un esercito illegale (privata impensa et privato consilio) e una volta stabilita la legalità del suo primo consolato rivendica anche il ruolo di triumviro: una parola che nel ricordo di tutti si associava alle proscrizioni. E, a sostegno della ‘legalità’ di tutto questo, pone la incombenza, che si è assunto dal primo momento, di procedere alla punizione degli assassini del padre (cioè di Cesare).
«Like Augustus, his Res Gestae are unique»2.
Per intendere la natura di questo testo davvero «unico» si sono invocati precedenti remoti, nel tempo e nello spazio: le grandi iscrizioni monumentali «proprie della tradizione monarchica di tutto l’Oriente dall’Egitto alla Cina» (Mario Attilio Levi). Si è messa giustamente in luce, a tal proposito, la forma autobiografica della esposizione e si è posto l’accento sulle dimensioni del documento.
Ma il punto più importante è la prima pubblicazione di esso. La scena in cui il documento venne reso noto, e letto pubblicamente, è degna di nota. Dopo che Augusto morì, il 19 agosto dell’anno 14 d.C., nello stesso giorno della sua giovanile e decisiva «marcia su Roma», «nella stessa stanza in cui si era spento suo padre»3, le Vestali consegnarono a Livia, a Tiberio suo figlio e a Druso Cesare (figlio di Tiberio), il testamento redatto da Augusto l’anno precedente. Erano tre rotoli. Nel primo c’erano le disposizioni per il funerale, nel secondo le Res Gestae, nel terzo il Breviarium totius imperii (la situazione dell’Impero, la dislocazione delle truppe nelle province e sui confini, l’ammontare del tesoro etc.). Le Res Gestae le aveva scritte e limate nel tempo personalmente il princeps. Erano destinate a figurare incise su due pilastri di bronzo da collocarsi davanti al suo Mausoleo. Ma prima dovevano esser lette davanti al Senato, radunato in seduta solenne pochi giorni dopo la sua morte4. Tiberio, Livia e Druso che stanno lì, davanti ai senatori, mentre Druso legge la fiera rivendicazione dell’arruolamento illegale di truppe avvenuto cinquantotto anni prima: è davvero l’ultimo atto delle guerre civili. È un durissimo ammonimento. È un modo di far sapere che a quei metodi si sarebbe, se necessario, fatto ricorso daccapo. Ed era anche la formalizzazione della successio di Tiberio al padre adottivo appena scomparso. Dunque si produceva, così, anche la rottura di fatto della ­finzione a lungo protrattasi della res publica restituta, di cui peraltro proprio le Res Gestae fanno solenne riaffermazione. Che tutto questo avvenga con ­un’enfasi speciale sulla «marcia su Roma» realizzata cinquan­totto anni prima dal princeps allora diciannovenne, vuol significare che Augusto non rinnega nessuno dei passaggi della sua aspra e inquietante carriera.
Dopo la lettura, il testo fu inciso ed esposto al Mausoleo e nel resto dell’Impero. La buona sorte di Ottaviano ha voluto che sopravvivessero in Asia tre più o meno ampi frammenti di esemplari esposti, e – poiché destinati ad un mondo parlante greco – bilingui (in un caso, solo in greco).
1 Altri frammenti furono trovati poi ad Antiochia (Monumentum Antiochenum) e ad Apollonia di Pisidia (solo in greco). La diffusione delle Res Gestae dovette essere assai vasta.
2 R. Syme, The Roman Revolution, Oxford University Press, Oxford 1939, p. 254.
3 Così Svetonio, Divus Augustus, cap. 100.
4 Svetonio, Divus Augustus, cap. 101.

2. «Rem publicam a dominatione factionis oppressam in libertatem vindicavi»

Che significa «a dominatione factionis»? La domanda è più che giustificata, visto che nel corrispondente testo greco c’è scritto «dalla schiavitù imposta dai congiurati (ἐϰ τῆϛ τῶν συνομοσαμένων δουλήας)». E i congiurati sono certamente i cesaricidi, chiamati peraltro, proprio da quella parte del Senato che favorì Ottaviano nei suoi primi passi illegali, i «liberatori».
Espertissimo del linguaggio, anzi del gergo, della lotta politica tardo-repubblicana, Ottaviano trasceglie gli stilemi più emotivi, più ad effetto: «dominatio factionis», «in libertatem vindicare». Sembrano le stesse parole che Cesare adopera al principio del primo commentario Della guerra civile (cap. 22: «se et populum Romanum factione paucorum oppressum in libertatem vindicaret») quando spiega a Lentulo Spinther perché ha deciso di passare il Rubicone e di percorrere un cammino all’apparenza illegale. Per i sudditi delle province orientali e parlanti greco ha reso esplicita la parola «factio» e ha indicato come oppressori della repubblica i cesaricidi: questi, infatti, avevano a suo tempo raccolto consensi, ma anche esplicato una feroce politica di rapina, proprio in quelle province. Ma era solo questa l’allusione racchiusa in «factio»? Per chi a Roma o in Italia si ricordava di quell’anno terribile (44/43 a.C.), quando i cesaricidi erano rapidamente fuggiti dall’Italia, non era affermazione molto sensata che la repubblica fosse «oppressa» da loro proprio mentre Ottaviano arruolava truppe e si metteva agli ordini del Senato, e di Cicerone in particolare.
Per chi ancora serbava il ricordo della vicenda politica della capitale e dell’Italia, teatro della nuova guerra civile (la ‘guerra di Modena’), il senso di quelle parole doveva essere altro. Un autore molto vicino ai fatti e molto ligio a Tiberio, Velleio Patercolo (pretore nel 15 d.C.), parafrasa l’inizio delle Res Gestae e lo interpreta così: «Torpebat oppressa dominatione Antonii civitas [...] cum C. Caesar [cioè Ottaviano] undevicesimum annum ingressus, mira ausus ac summa consecutus, privato consilio etc.» (II.61.1). Dunque ormai l’interpretazione ufficiale di quelle parole sibilline del prin­ceps era: «dominatione factionis oppressa» = «oppressa dominatione Antonii». Interpretazione certo ‘autorizzata’ e dunque da prendersi molto sul serio, ma non necessariamente vera. Si potrebbe anzi dire che, in questo fulminante e sibillino esordio delle Res Gestae, Augusto abbia voluto che l’espressione fosse passibile di varie interpretazioni, tutte possibili e tutte smentibili. Un altro dei suoi capolavori. Ché certo, chiamare Antonio «factio» è alquanto forzato, tanto più che subito dopo viene rivendicata la legittimità del triumvirato, cioè dell’accordo politico e personal-familiare con Antonio.
«Factio» richiamava, nella mente di chiunque, la parte più faziosamente ‘repubblicana’ e anticesariana del Senato. E di questa ovvia e quasi obbligata interpretazione delle proprie parole l’autore è ben consapevole, non può non esserlo. Ma sa anche che sarebbe quasi inverosimile dire che il Senato anticesariano e antiantoniano aveva premiato lui, Ottaviano, per aver liberato la repubblica dal dominio della «factio» repubblicana! Nella sostanza però proprio questo era accaduto. Ottaviano aveva ingannato consapevolmente la factio, aveva finto di arruolare un esercito privato (cioè illegale) per mettersi al suo servizio, ne aveva ricevuto premi e incentivi, e l’aveva poco dopo massacrata. Dunque nell’esordio delle Res Gestae esprimendosi in quel modo diceva la verità, lasciando però anche circolare interpretazioni di comodo: che la factio fossero i pugnalatori delle Idi di marzo o che la factio fosse addirittura Antonio! L’inizio delle Res Gestae è forse uno dei migliori esempi della grandezza e strutturale ambiguità del linguaggio politico.
Grande smascheratore del linguaggio politico, Tacito parafrasa anche lui l’esordio delle Res Gestae; in questo modo: «Pietatem erga parentem et tempora rei publicae obtentui sumpta» (la devozione per il padre e la situazione politica di emergenza erano stati solo pretesti) «ceterum cupidine dominandi concitos per largitionem veteranos» (per sete di dominio erano stati mobilitati i veterani con largizioni di denaro) «paratum ab adulescente privato exercitum» (un giovanotto, che era anche un semplice cittadino privato, aveva osato arruolare un esercito) «corruptas consulis legiones» (aveva corrotto [e fatto disertare] le le...

Indice dei contenuti

  1. 1. La verità del vincitore
  2. 2. «Rem publicam a dominatione factionis oppressam in libertatem vindicavi»
  3. 3. Il ritorno di Ottaviano
  4. 4. La ‘guerra di Modena’
  5. 5. Forum Gallorum nel racconto di un protagonista
  6. 6. La morte dei consoli
  7. 7. Le stesse ore nel racconto di Ottaviano
  8. 8. La marcia su Roma
  9. Nota
  10. Cronologia