La nazione
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La nazione

  1. 164 pagine
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Che cos'è una nazione? Quando e perché sorgono le nazioni? Quale il loro destino nell'età della globalizzazione? Storia, definizioni, interpretazioni di uno dei concetti più controversi e al tempo stesso più attuali delle scienze storico-sociali.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858120927

Nazioni degli antichi
e nazioni dei moderni

Si è detto in precedenza che le nazioni iniziarono a produrre identità forti e a configurarsi nel contempo come soggetti storici di primaria importanza a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. Si è anche accennato al fatto che in questa prospettiva furono decisive, quanto meno in Europa, le radicali trasformazioni che si produssero nel corso della Rivoluzione francese e dell’età napoleonica, le quali – lo vedremo meglio più avanti – posero all’ordine del giorno in tutte le loro principali varianti le complesse questioni che fino a oggi hanno continuato a caratterizzare lo sviluppo delle nazioni e dei nazionalismi.
Si deve ora aggiungere un dato ulteriore e di carattere più generale. E cioè che le nazioni moderne – non importa per il momento se consolidatesi entro una cornice statuale, o saldamente strutturate in quanto comunità di lingua e di cultura, oppure soltanto in via di formazione – tendono quasi invariabilmente a rivendicare, per bocca dei loro apologeti ma spesso anche a livello di senso comune, il proprio radicamento in una storia di lungo o di lunghissimo periodo, spesso coltivando addirittura il sentimento della propria eternità.
È una rivendicazione legittima? Si possono davvero prendere come punti di riferimento delle origini delle nazioni attuali la vittoria di Arminio nella selva di Teutoburgo (9 d.C.), l’assedio dell’antica Alesia e la resistenza di Vercingetorige (52 a.C.), le imprese del lusitano Viriato (148-139 a.C.), il giuramento di Strasburgo (842) o, più avanti nel tempo, la «domenica di Bouvines» (1214), la guerra dei Cent’anni, Giovanna d’Arco, la battaglia di Kossovo Polje (1389), la riscoperta della Germania di Tacito o la traduzione luterana della Bibbia in lingua tedesca? In breve: le nazioni sono davvero «antiche come la storia», come scriveva Walter Bagehot alla fine del secolo scorso?19 Oppure iniziano a definirsi soltanto all’epoca della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, di Valmy e della Grande Nation? Semmai con qualche limitato slittamento all’indietro fino all’elvetismo settecentesco, a Rousseau, alle spartizioni della Polonia e alla Rivoluzione americana?
A questo insieme di domande sono state date risposte diverse e variamente argomentate. Johann Gottfried Herder, ad esempio, legava la sua tesi circa il carattere rigorosamente singolare delle individualità nazionali all’idea di una diversità originaria e per così dire «naturale» delle nazioni, i cui caratteri «permanenti» sarebbero per l’appunto il frutto di una vicenda millenaria nella quale natura e storia risultano in qualche modo inestricabilmente intrecciate20. Nella già citata conferenza su Che cos’è una nazione?, invece, Ernest Renan affermava che le nazioni «sono qualcosa di abbastanza nuovo nella storia». Del tutto ignote al mondo antico, esse iniziarono a definirsi in quanto tali nel corso dell’età medievale, attraverso un processo plurisecolare che fu attivato, tra mille contraddizioni e molteplici discontinuità, dalle grandi migrazioni dei popoli che sconvolsero l’Europa tra il V e il X secolo. Fu per l’appunto «l’invasione germanica – a suo giudizio – a introdurre nel mondo il principio che in seguito avrebbe posto le basi delle nazionalità». E tuttavia, affinché quel processo giungesse a compimento, fu ancora necessaria una lunga e complessa gestazione21.
Paradossalmente, Renan non collegava questa tesi all’argomento più noto della sua conferenza, vale a dire all’idea secondo cui la nazione consiste essenzialmente in una consapevole ed esplicita «volontà» di essere una nazione – ciò che avrebbe potuto suggerirgli un’interpretazione più chiaramente e nettamente «modernistica» del problema che qui ci interessa. Qualora infatti si ponga l’accento sul sorgere di una vera e propria «coscienza nazionale» in quanto elemento essenziale dell’esistenza stessa delle nazioni, diventa estremamente difficile sostenere la tesi del carattere primordiale o quanto meno di lunga durata delle nazioni. Lord Acton, ad esempio, nel suo saggio su Principio di nazionalità e nazionalismo (1862), pur non affrontando la questione in modo esplicito e pur attribuendo genericamente alle nazioni una storia di lungo periodo, affermava che si può iniziare a parlare per la prima volta di una coscienza nazionale diffusa a livello di massa soltanto a partire dall’epoca della Rivoluzione francese. Con l’importante precedente, tuttavia, delle spartizioni della Polonia tra Russia, Austria e Prussia, che ebbero luogo durante il regno di Stanislao II Augusto Poniatowski nel 1772, nel 1793 e nel 1795: «Quest’atto famoso, il più rivoluzionario che il vecchio assolutismo abbia mai compiuto, svegliò in Europa la coscienza nazionale, facendo di un diritto obliato una viva aspirazione e di un sentimento una rivendicazione politica»22. Il passaggio è svolto ancor più chiaramente da Meinecke in Cosmopolitismo e Stato nazionale, in relazione alla tesi di Renan sulla nazione come «plebiscito di tutti i giorni» e attraverso una decisiva distinzione tra nazioni «vegetative» o «semicoscienti» e nazioni pienamente consapevoli di sé e dotate quindi di una esplicita e fattiva volontà di essere o di diventare nazione. In questo quadro, secondo Meinecke, lo snodo della Rivoluzione francese rappresentò «un taglio netto nel processo di sviluppo delle grandi nazioni moderne». In relazione a quella svolta, infatti, è possibile distinguere
un primo periodo, nel quale le nazioni vivevano e crescevano con esistenza piuttosto vegetativa e impersonale, ed un periodo successivo, nel quale la volontà cosciente della nazione si destò ed essa, sia pure soltanto attraverso lo spirito di chi la guidava, sentì se stessa come una grande personalità, una grande unità storica, e chiese le caratteristiche e i diritti spettanti alle personalità sviluppate: l’autodeterminazione.
Naturalmente, aggiunge Meinecke, si trattò di un mutamento graduale e non di un cambiamento radicale, dato che già nella fase vegetativa della loro esistenza le nazioni possono acquisire in singoli momenti un’acuta consapevolezza di sé e che anche dopo il loro risveglio continuano almeno in parte a condurre un’esistenza di tipo vegetativo e incosciente. E tuttavia – questa la sua conclusione – «anche i mutamenti graduali sono così grandi, che possiamo distinguere le nazioni [...] in nazioni di stampo antico e nazioni di stampo moderno»23.
Un argomento molto simile ritorna in una gran parte della letteratura accademica novecentesca sul «nazionalismo», dove con questo termine assai spesso s’intende in modo del tutto avalutativo – come vedremo più avanti – il complesso delle credenze e delle rappresentazioni, delle dottrine e delle pratiche politiche che stanno alla base di una matura e consapevole coscienza nazionale e dunque del definirsi concreto delle nazioni24. Hans Kohn, ad esempio, nel suo fondamentale studio sull’Idea del nazionalismo nel suo sviluppo storico (1944), il quale pure ricostruisce le radici di una tale idea a partire dall’epoca dell’antico Israele e della Grecia classica, sosteneva che il nazionalismo – e con esso l’esistenza stessa delle nazionalità in quanto specifica volontà di essere nazione – fosse un fenomeno tipicamente moderno, risalente alla seconda metà del XVIII secolo e frutto degli stessi sviluppi da cui trassero origine la democrazia e l’industrialismo, individuando nella Rivoluzione americana e soprattutto nella Rivoluzione francese «la sua prima grande manifestazione»25. Per contro, Carlton J. H. Hayes nei suoi Essays on Nationalism (1926) e Hugh Seton-Watson in Nations and States (1977), pur riconoscendo nel nazionalismo una dottrina e un principio specificamente moderni – come ha scritto Elie Kedourie in Nationalism (1960): «una dottrina inventata in Europa all’inizio del XIX secolo»26 – ritenevano altresì che nazioni, nazionalità e coscienza nazionale fossero fenomeni diffusi da tempi ormai remoti e, in ogni caso, sicuramente attivi sin dall’epoca medievale27. In anni più recenti, e nel quadro di una teoria di tipo «funzionalistico», Ernest Gellner (1983) ha ripreso e rielaborato l’argomentazione «modernistica» con una tesi destinata a grande fortuna nell’ambito delle scienze sociali, sostenendo che le nazioni e i nazionalismi acquistano il proprio senso specifico in relazione alla formazione e al consolidamento di una «società industriale orientata alla crescita». Essi rappresentano, dunque, fenomeni tipici della modernità, semplicemente impensabili nell’universo pre-moderno delle tradizionali «società agro-letterate»28. Ancor più recentemente Eric J. Hobsbawm (1990), rovesciando in maniera esplicita l’assunto di Bagehot sull’antichità delle nazioni e riprendendo alcuni degli argomenti strategici di Gellner ma in una prospettiva più propriamente storiografica, è tornato a insistere sul tema della modernità della nazione, che costituirebbe per l’appunto «un nuovo arrivato di recentissima data nella storia degli uomini», le cui origini sarebbero da collocarsi tra la fine del XVIII e il principio del XIX secolo29. Nelle Origini etniche delle nazioni (1986), invece, Anthony D. Smith, pur rigettando gli argomenti di coloro che collocano le origini delle nazioni moderne in legami «primordiali» o «perenni» di natura socio-biologica, ha insistito sul fatto che tali origini devono essere ricercate nella vicenda pre-moderna delle «comunità etniche»30. Ne è scaturito un dibattito che è tuttora aperto nella comunità scientifica internazionale e a cui hanno dato, tra gli altri, importanti contributi, per un verso, il già citato Walker Connor con i suoi lavori sui movimenti «etnonazionali» e John Armstrong con il suo Nations before Nationalism (1982) e, per un altro, Benedict Anderson con il suo libro sulle Comunità immaginate (1983)31.
La tesi modernistica di Gellner e di Hobsbawm è per vari aspetti – come vedremo ancora – estremamente persuasiva. Entrambi gli autori, tuttavia, fanno riferimento a una fase precisa dell’esistenza delle nazioni, vale a dire all’epoca in cui esse iniziarono a entrare in rapporto «con una forma determinata di stato territoriale moderno, ossia lo “Stato-nazione”». È altresì innegabile – anche a prescindere dall’«invenzione della tradizione»32 e dai «miti» nazionali sui quali Hobsbawm e Gellner hanno giustamente insistito – che le nazioni e le prime rudimentali forme della coscienza nazionale cominciarono per molti aspetti a enuclearsi, se non già nel mondo antico, quanto meno nell’Europa medievale, in vari casi proprio attraverso una problematica relazione con la nascita e lo sviluppo degli stati moderni, come ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. Che cos’è una nazione?
  3. Nazioni etniche, nazioni culturali, nazioni politiche
  4. Nazioni degli antichi e nazioni dei moderni
  5. Le nazioni e l’idea di nazione
  6. Parte seconda. La nazione prima delle nazioni
  7. «Ethnos» e «natio» nel mondo antico
  8. Le «nationes» medievali
  9. Dall’età del Rinascimento e della Riforma alla vigilia delle «rivoluzioni borghesi»
  10. Parte terza. La nazione nell’età del nazionalismo e delle questioni nazionali
  11. L’idea di nazione nell’età contemporanea
  12. Il nazionalismo: la parola, la cosa, le interpretazioni
  13. Nazioni e nazionalismo
  14. Bibliografia essenziale
  15. L’autore