1.
Dalla narrazione storica
alle forme dell’invenzione
Premessa
L’argomento è sterminato e questo libriccino prende inizio perciò con il ritagliarsene una porzione. Il binomio ‘letteratura e storia’ è tale infatti da aprire al lettore prospettive quasi illimitate su problemi di teoria della letteratura e di metodo critico, tutti inerenti alla natura sociale dell’arte. Ma possiamo subito correggerne la genericità e vastità procedendo per esclusione: indicando le materie delle quali qui non ci occuperemo.
Il primo territorio che devo escludere è quello dei fondamenti stessi, l’assunto della storicità della letteratura. Esso è al nostro orizzonte, anzi segna l’orizzonte concettuale in cui ci muoviamo. Non è però l’argomento del libro. Non viene trattato, nelle pagine seguenti, il problema teorico della ‘storicità’. E quindi non avremo nessuna diramazione del discorso sui princìpi generali del rapporto fra testi e storia (i testi dentro la storia o la storia dentro i testi? I testi come documenti dell’esperienza storica o come monumenti?) e sulle aporie del genere a ciò deputato, la storia letteraria (tutto è storia, anche la letteratura? o tutto è letteratura, è modalità retorica, anche la storia?).
Si svolgerà un discorso di carattere non teorico, ma più empirico e pratico. Centrato sull’analisi, o descrizione, delle forme nelle quali è avvenuto l’incontro fra letteratura e storia in certi generi e opere. Sulle forme dell’immaginazione e della rappresentazione nei testi letterari che assumono un contenuto anche storico. Ci occupiamo della storia quando entra tematicamente nella letteratura.
Il dato strutturale che letteratura e storia possono avere in comune è il situarsi del tempo nel testo, la vicenda da raccontare. Letteratura come racconto, storia come racconto. L’argomento si precisa. È la narrazione. Mi limiterò a trattarne in un periodo ristretto e recente, che incomincia con la svolta verso la modernità, la svolta verso l’aumento dei lettori e verso il romanzo, che della modernità è stato il genere sovrano, il preferito dai nuovi lettori. Viene dall’Ottocento quella particolare forma che è il romanzo storico. E poi? E ora? Cosa avviene del romanzo storico nel Novecento? Specie nella seconda metà del Novecento e specie in Italia, una provincia letteraria dove il romanzo è stato debole e tardivo il moderno, sicché l’inizio di una tradizione narrativa ha finito per sfumare dentro gli enormi fenomeni di cambiamento della modernità di massa. Questo secolo e questo paese sono l’ambito specifico del discorso.
Nel binomio letteratura e storia è il primo termine che ci interessa, la letteratura. Ma, per arrivarci, parliamo intanto della storia.
Il racconto dello storico
Storia e narrazione, e non solo: filosofia e narrazione, psicoanalisi e narrazione. In ogni campo l’indagine può articolarsi secondo modalità narrative. La contiguità fra narrazione letteraria e altri svariati usi narrativi favorisce, non da oggi, commistioni e scambi. C’è un saggismo che evoca ambienti, paesaggi e personaggi, con artifici letterari e abilità retoriche, con linguaggio narrativo e analogico. C’è, o c’è stata, una storiografia che diventa romanzo. Vogliamo un nome esemplare di storico narratore? Ecco l’ottocentesco Jules Michelet (1798-1874). E non è vero che si è parlato della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis (1817-1883) come di un romanzo storico?
Da Michelet veniamo a un esempio attuale. Alberto Asor Rosa (n. 1933) ha pubblicato La sinistra alla prova (1996): un libro sui modi con cui la sinistra ha fatto politica in Italia negli ultimi vent’anni, e anche (data l’esperienza dell’autore) un libro di memoria e di autobiografia. Un libro di genere misto, del quale nelle pagine introduttive l’autore spiega, e giustifica, il carattere composito. Avendo iniziato con il proposito di analizzare un periodo di storia e di darne un’interpretazione, si è trovato però a raccontarlo come l’ha personalmente vissuto.
Nello stendere concretamente il frutto delle mie riflessioni, mi sono accorto però che la forma in cui si calava la mia pretesa interpretazione del nostro tempo assumeva quasi spontaneamente i modi di una narrazione storica. Preciso: narrazione storica; non ‘storia’ nel senso scientifico e disciplinare del termine (anche se tra i due modelli di scrittura esistono ovviamente parentele e affinità). Narrazione storica: ossia racconto cronologicamente orientato degli avvenimenti accaduti ai tempi nostri.
Lo storico ha investito questo racconto del proprio pathos. Ha rievocato una soggettività che è stata personale e collettiva. Ha rivissuto la pratica politica collegandola, nel proprio paesaggio mentale, a un immaginario: «Ho sempre visto persone concrete, gente comune, soggetti determinati muoversi accanto ai miei pensieri».
Sulla soglia di un libro che sembrerebbe di ideazione facile e quasi scontata (un osservatore e militante politico riflette sulla politica), Asor Rosa propone invece un insieme di problemi aperti.
Risulta che l’interpretazione, per trarre un senso dagli eventi, è l’unico aspetto nel quale può manifestarsi la soggettività dello storico in campo scientifico. Nella narrazione storica invece la soggettività ricrea più liberamente i fatti, soprattutto quando il racconto dello storico è anche il racconto di un testimone che i fatti li ha visti e vissuti. Qui interviene inoltre l’immaginario. Nell’accezione di Asor Rosa, immaginario sta a significare semplicemente la costellazione di immagini – figure vive, persone – che affianca i pensieri.
Un esempio celebre: ‘La domenica di Bouvines’ di Georges Duby
Il 27 luglio dell’anno 1214 cadeva di domenica. La domenica è il giorno del Signore e gliela si deve tutta intera.
Sembra l’incipit di un romanzo. E invece così ha inizio La domenica di Bouvines (Le dimanche de Bouvines. 27 juillet 1214, 1973), un’opera storiografica, uno studio celebre nel quale Georges Duby (1919-1996) ha ricostruito la giornata di scontro fra, da una parte, i francesi di Filippo Augusto e, dall’altra, gli inglesi di Giovanni Senzaterra e i tedeschi di Ottone di Brunswick: evento decisivo per la nascita della Francia. Si noti come in due righe, le prime due righe, dall’evento, dalla nuda enunciazione del dato temporale, Duby passi, attraverso l’uso del libero discorso indiretto, all’idea della domenica qual era vissuta allora, secondo la cultura religiosa e il costume dell’epoca. Poco più avanti Duby spiega come la consapevolezza dei sottili cambiamenti che nel corso di venti generazioni avevano lentamente modificato in Europa «il comportamento delle genti e il significato dei loro atti», l’abbia indotto «a considerare tale battaglia e la memoria da essa lasciata da antropologo, cioè a tentare di vederle entrambe immerse in un complesso culturale diverso da quello che oggi regola il nostro rapporto con il mondo». E fra i compiti della ricerca storica e antropologica, accenna alla necessità di osservare altresì: «l’azione che gli elementi immaginari e l’oblio esercitano su una notizia, l’insidiosa penetrazione del meraviglioso, del leggendario e, in una lunga sequela di commemorazioni, il destino di un ricordo in seno a un insieme in movimento di rappresentazioni mentali».
Rappresentazioni mentali. Anche di questo si fa storia. È capitato a Duby, uscito dalla scuola delle «Annales» come storico documentatissimo e minuzioso esploratore della società nella regione di Mâcon (scavatore dunque in un’area regionale e ristretta), di associare poi il suo nome, nel seguito di una lunga carriera di successo, alla soggettività dello storico, e agli studi su temi poco definiti: – la sensibilità, le credenze, la vita quotidiana. Duby è tornato persino alla biografia, una forma che era stata estranea alla scuola delle «Annales» orientata verso una storia essenzialmente sociale. Ma la sua novità è che ha usato la nozione di immaginario, e non tanto soggettivamente, dalla parte dello storico, per vanificarne le certezze disciplinari, quanto oggettivamente. Nella storia l’immaginario è una realtà.
Georges Duby e Jacques Le Goff (n. 1924), Emmanuel Le Roy Ladurie (n. 1929) e Carlo Ginzburg (n. 1939): sono alcuni dei ‘nuovi storici’ che hanno contribuito a rendere permeabile la linea di confine fra letteratura e storia. Si sono posti l’obbiettivo di scoprire che cosa entrasse nella mente degli uomini del passato, un obbiettivo da romanzieri. E infatti hanno raccolto gli influssi del romanzo moderno, della psicoanalisi, dell’antropologia. Molti altri scrittori, senza essere storici di professione, hanno voluto ricreare la cultura e gli eventi di un’epoca muovendo da vicende e microcosmi privati. Lo storico e il romanziere possono scambiarsi le parti. Restando però una differenza. Dal romanziere ci aspettiamo la mescolanza di vero e falso, entrambi riassorbiti nell’artificio e nella finzione dell’opera letteraria; dallo storico pretendiamo invece il vero. Che non inventi. Che non inventi deliberatamente. Tuttavia anche nel racconto dello storico la forza della scrittura e delle figurazioni può creare effetti simbolici, artistici, non documentati. Duby non esita a rievocare il passato anche seguendone le tracce rimaste nella mente infantile. Cos’è un cavaliere disarcionato, il re di Francia nella sua armatura? Un insetto abbattuto al suolo, con elitre dipinte:
Rivedo una figura del mio primo libro di storia: una specie di grosso scarabeo, con fiori di giglio dipinti sulle elitre, che si dibatteva al suolo, la testa rinchiusa in una scatola di ferro, semimprigionato da un cavallo riverso, e da tutti i lati minacciato da punte e uncini.
E dopo aver detto delle scarse informazioni documentate sugli equipaggiamenti militari del periodo, ecco lo storico concedersi, su queste punte e uncini, una bella pagina di scrittura creativa.
Al vecchio apparato di offesa del soldato a cavallo, alla lancia e alla spada lunga, create sopratutto per disarcionare il nemico e per stordirlo nell’urto delle cariche alternantisi, si sono ora aggiunti strumenti uncinati e aguzzi più aggressivi, e anche più perfidi, e per questo ritenuti ignobili, malefici. Guglielmo il bretone ne parla un po’ come parla delle donne, li colloca tutti dalla parte del male e del diavolo. Si vedono nel campo avversario, e quasi sempre tra le mani del combattente plebeo, il fante, o del combattente dannato, il mercenario. Le nuove armi sono effettivamente pericolose, ma anche...