La massoneria nell'età moderna
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La massoneria nell'età moderna

  1. 156 pagine
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La massoneria nell'età moderna

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La storia della massoneria e la vita all'interno delle logge come uno straordinario spaccato della cultura e della società europea.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858100486

Origini e successo di una nuova formula culturale

1. Le corporazioni e la massoneria scozzese

Le origini della massoneria sono apparse sempre circondate da un velo di mistero; più si risale indietro nella storia, più questo mistero sembra infittirsi. Eppure, ritornando al passato, si ha talvolta l’impressione che questo mistero venisse creato ed alimentato dagli stessi membri dell’organizzazione massonica, a mano a mano che andava acquistando sempre maggiore prestigio. Alla vigilia della Rivoluzione francese la dimensione mitica che accompagnava l’origine della massoneria appariva ormai consolidata attorno ad alcuni punti chiave della leggenda muratoria, legati alla storia più antica, cioè al mito ermetico ed egizio, e a quella più recente, in particolare alle origini inglesi.
Ad una lettura più attenta, è un dato di fatto che gran parte di queste leggende e di queste ricerche ossessive sulle origini della muratoria venissero sviluppate soprattutto nel corso del XVIII secolo, quando ormai la massoneria esisteva da almeno un secolo. Inoltre, la dimensione mitica delle origini massoniche subì nel corso della storia moderna l’inevitabile attrazione di due tradizioni culturali ben diverse tra loro: l’una riferita alla storia inglese e alla lotta protestante, l’altra alla storia delle Crociate e alla tradizione cattolica.
Della prima versione c’è traccia già nella parte iniziale delle Constitutions of the Free-Masons, il documento fondamentale della massoneria inglese, redatte da James Anderson nel 1723. Vi si faceva risalire l’origine della massoneria al X secolo, al Medioevo inglese, quando il principe sassone Edwin aveva convocato la prima assemblea generale dei muratori. Da quell’epoca aveva iniziato la sua diffusione, trovando appoggi nei sovrani della dinastia Stuart soprattutto a partire dal Seicento, con Giacomo I e con Carlo II. Secondo questa fonte, quindi, lo sviluppo della massoneria sarebbe stato merito della dinastia inglese e in particolare dei sovrani scozzesi e cattolici, sensibili alle tradizioni più antiche del popolo britannico.
Le origini della muratoria sembrano quindi legate agli Stuart e al Medioevo, ed è su questo nucleo che si innestano ulteriori sviluppi. Nel 1738 apparve un trattatello scritto in francese e intitolato La Réception mystérieuse, che si presentava come traduzione fedele di un opuscolo inglese apparso otto anni prima ad opera di tale Samuel Prichard. In realtà, l’edizione francese non era una semplice traduzione ma una vera e propria rielaborazione dell’originale inglese. Tra le molte aggiunte e modificazioni inserite nell’edizione del 1738, c’era anche l’affermazione che le origini della massoneria erano strettamente collegate ad un evento specifico della storia politica inglese, cioè alla rivoluzione del 1642, all’opera di Oliver Cromwell e dei repubblicani avversari della dinastia Stuart e restauratori dell’anglicanesimo (Jacob, 1995). A partire da questo momento si consolidava così un nuovo mito, che legava le origini della massoneria alla Rivoluzione inglese e che sarebbe riaffiorato prepotentemente nelle situazioni più diverse. Nell’Olanda scossa dalla rivoluzione del 1747, quando i massoni sarebbero stati accusati di essere antimonarchici, repubblicani ed eredi della tradizione di Cromwell; durante la Rivoluzione americana del 1776, per sottolineare la matrice repubblicana e antidispotica delle logge; nel 1791, quando gli oppositori della Rivoluzione francese avrebbero accusato i massoni di aver ordito il complotto contro il Trono e l’Altare. Una curiosità, sulla quale ritorneremo: il 1738, l’anno in cui è documentato per la prima volta il mito repubblicano e antidispotico, è anche l’anno della prima condanna della massoneria da parte cattolica, attraverso la bolla di papa Clemente XIII.
Come si vede, nell’Europa degli anni Trenta del Settecento circolava già la tesi secondo cui le origini della massoneria risalivano alla tradizione repubblicana inglese, antimonarchica e rivoluzionaria, antidispotica e costituzionale: antigiacobita e whig. Una tesi sostenuta anche da parte cattolica, in chiave evidentemente negativa, dopo la condanna pontificia del 1738 e ripresa ogniqualvolta un rivolgimento politico metteva in campo l’alternativa fra l’assolutismo del principe e una costituzione repubblicana, come sarebbe avvenuto nell’Olanda del 1747 e nella Francia del 1791.
Accanto alla versione dell’origine inglese della massoneria, legata agli Stuart oppure, secondo l’altra ipotesi, all’esperienza repubblicana, nacque negli anni Trenta del XVIII secolo un’altra tradizione, di cui si trova traccia già nei manoscritti del cavaliere Andrew Michael Ramsay, risalenti – si noti la coincidenza cronologica – al 1738. Si tratta di un mito elaborato dai massoni di estrazione aristocratica, dai giacobiti sostenitori di Giacomo II Stuart, cioè dalla fazione cattolica e tory che aspirava ad una restaurazione della monarchia Stuart. Si fondava sulla tesi secondo cui la nascita della massoneria andava collegata alla tradizione cristiana e cattolica, e in particolare ai principi crociati di ritorno dalla Terrasanta. La massoneria sarebbe stata promossa dai re scozzesi, protetta poi in Inghilterra dal re Carlo I, e diffusa in Francia proprio a partire dalla Scozia.
Solo più tardi, nell’epoca della crisi dell’assolutismo e della società di Antico Regime, si sarebbero affermate altre leggende, nuovi miti, come quello dell’origine orientale della muratoria. Negli anni Settanta del Settecento i massoni francesi avrebbero sostenuto che la massoneria aveva avuto origine in Oriente, in terre dominate dal dispotismo e da climi torridi permeati di feudalesimo, con lo scopo di riscattare l’individuo dalla sua condizione di abbrutimento, fino a diventare una sorta di antidoto contro ogni forma di autoritarismo.
Già nella prima metà del Settecento il mito delle origini si colorava quindi di inequivocabili significati politici, che rimandavano ora alla tradizione anglicana e repubblicana inglese, ora a quella scozzese, cioè ad un paese che era sì a prevalenza calvinista ma governato da sovrani cattolici, gli Stuart. Su un punto, però, entrambe le versioni sembravano già allora concordi: nel ricercarne in Gran Bretagna le origini. Da lì sarà opportuno ripartire alla ricerca delle radici della muratoria in età moderna.
È accertato, ormai, che la massoneria si sviluppò originariamente in area britannica attraverso l’evoluzione e trasformazione delle antiche corporazioni o gilde, indebolite sempre più nel corso del Seicento con i ripetuti tentativi di affermare l’assolutismo. In Scozia le corporazioni persero i privilegi e i diritti monopolistici nel 1672 per intervento del parlamento, più o meno nello stesso periodo in cui ciò avveniva anche in Inghilterra. Nuove esperienze economiche, un mercato più dinamico, una società maggiormente aperta rendevano necessariamente meno rigidi i rapporti tra aristocrazia, gentry (la nobiltà al servizio del sovrano) e società civile, proprio nel momento in cui la presenza di corpi intermedi rappresentava, un po’ ovunque nell’Europa del tempo, un ostacolo alla concentrazione dei poteri nelle mani dei sovrani.
Le corporazioni di artigiani muratori godevano nella struttura sociale dell’Antico Regime di un prestigio superiore a quello di altre associazioni di mestiere. I mastri muratori, riconosciuti e accettati nella corporazione, entravano in possesso di una serie di tecniche, di conoscenze e di princìpi che consentivano loro di svolgere un’attività che sconfinava nella progettazione ingegneristica. La corporazione possedeva inoltre una tradizione culturale e propri miti assai più complessi rispetto a quelli delle altre gilde. Un patrimonio che si rifaceva ai segreti matematici e architettonici – lontani nel tempo e nella memoria – che avevano consentito la costruzione delle grandi cattedrali medioevali, realizzando edifici imponenti per dimensioni e complessità di calcolo. La corporazione muratoria scozzese possedeva già un complesso di tradizioni e leggende attestate sin dal Quattrocento (i cosiddetti Old Charges), secondo cui la muratoria, intesa come geometria, veniva considerata una delle sette arti liberali, fondata ad opera di personaggi citati dalla Genesi, cioè i figli di Lamec, fratello di Noè. Mentre Noè caricava sull’arca tutte le specie umane per la loro salvezza, Jabal figlio di Lamec aveva inciso su colonne di pietra le maggiori scoperte e invenzioni per salvarle dal fuoco e dal diluvio. Una di queste colonne era stata riscoperta molto più tardi da un pronipote di Noè, Ermete Trismegisto, e le informazioni tecniche così recuperate erano servite per la costruzione della torre di Babele. Tali conoscenze sarebbero state poi trasmesse agli egiziani da Abramo dopo la fuga in Egitto e ad esse Euclide avrebbe dato il nome di geometria. In Terrasanta, infine, i muratori avevano trovato protezione in David, e queste stesse maestranze avevano cominciato, sotto Salomone figlio di David, la costruzione del tempio di Gerusalemme.
Quando ci accingiamo a ricostruire le vere origini della muratoria per capire in che modo la corporazione dei muratori iniziò la trasformazione in loggia massonica, le informazioni a nostra disposizione cominciano a scarseggiare. Sappiamo che già dal tardo Cinquecento all’interno delle corporazioni di tagliapietre e di architetti scozzesi era vivo l’interesse per l’ermetismo rinascimentale, cioè per quella tradizione filosofica, logica e matematica che aspirava allo studio della natura e alla ricerca della perfezione umana attraverso lo studio dell’architettura e della filosofia. Questa attenzione per l’ermetismo si rifaceva alla cultura italiana e all’opera di Giordano Bruno, nonché alla tradizione classica che legava gli studi filosofici a quelli matematici. Si tratta di un complesso di conoscenze che venne diffuso nelle logge scozzesi intorno al 1590 da William Schaw (circa 1550-1602), maestro delle opere del re di Scozia (King’s Master of Works). Schaw, che conosceva sia il pensiero di Bruno sia il rosacrocianesimo, contribuì così a rafforzare nelle corporazioni artigiane scozzesi la consapevolezza che le loro tradizioni, la conoscenza dei princìpi di matematica e di architettura, la conservazione e la trasmissione del segreto della loro arte potevano essere utilizzati nella ricerca del modo di conoscere la natura in chiave mistica, di raggiungere la perfezione umana e quella universale, di comprendere i segreti dell’universo. Gli artigiani delle corporazioni sarebbero stati particolarmente sensibili e predisposti a queste suggestioni, poiché già nella loro stessa cultura – come si è visto – esistevano dei miti e tradizioni misteriche, che ricollegavano la loro arte al matematico Euclide e alla scienza degli egizi (Stevenson, 1988).
La figura di Schaw appare in qualche modo rappresentativa delle diverse tradizioni culturali che già dalla fine del Cinquecento confluivano nel patrimonio ideale delle gilde e poi delle logge massoniche. Da una parte l’ermetismo e il pensiero filosofico di Giordano Bruno e, più in generale, la cultura rinascimentale di origine italiana; dall’altra il rosacrocianesimo, una forma di misticismo diffusa nel mondo germanico, le cui origini leggendarie venivano fatte risalire all’opera di Christian Rosenkreutzer (un cavaliere che si asseriva fosse vissuto fra il 1378 e il 1485), ma che in realtà stava assumendo connotazioni più precise alla fine del XVI secolo. Proprio nel 1598 a Norimberga l’alchimista Studion fondò una Militia Crucifera Evangelica, cioè una società cavalleresca con scopi mistici, le cui teorie vennero poi esposte nell’opera Naometria (1604). In quegli stessi anni gli esponenti del rosacrocianesimo avviavano nell’Europa continentale un’intensa attività culturale basata sul recupero di dottrine teosofiche e occulte legate all’esoterismo musulmano e all’esperienza degli Alumbrados, gli Illuminati spagnoli che utilizzavano il misticismo ebraico della qabbalah. Tutte queste esperienze dovevano poi confluire, tra il 1614 e il 1619, nella codificazione delle regole, delle origini e degli scopi della confraternita dei Rosacroce attraverso gli scritti di Johan Valentin Andreae, la Fama Fraternitatis Rosae Crucis, la Confessio Fraternitatis e le cosiddette Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz (Chymische Hochzeit Christiani Rosencreutz).
William Schaw non è comunque l’unico personaggio al quale gli studiosi fanno risalire le basi intellettuali per la trasformazione della corporazione in loggia massonica. A lui sono state accostate altre figure, come quella di Alexander Dicson (1558-1604), un allievo di Giordano Bruno celebre per aver scritto un trattato dal titolo Thamus (Leida 1597) sull’arte magica della memoria, e quella del medico Robert Fludd (1574-1637), che a seguito di un viaggio di sei anni attraverso l’Europa (1598-1603) portò in Inghilterra i riti e le dottrine rosacrociane.
Vi sono poi altri elementi da tenere in considerazione. William Schaw era un architetto con importanti incarichi alla corte di Giacomo VI Stuart, per il quale sembra curasse le relazioni fra i cattolici scozzesi e quelli del continente, specie francesi. Da qui l’interrogativo se le gilde potessero essere, oltre che corporazioni di mestiere, anche una struttura di natura politica o «settaria». La corporazione, in questa fase, aveva già una sua organizzazione; era retta da statuti ed era guidata da un «guardiano dell’arte muratoria», carica che venne assegnata nel 1590 dal re di Scozia a Patrick Copland di Udoch (Stevenson, 1988). Otto anni più tardi Schaw si diceva «guardiano generale» (general Warden) delle gilde scozzesi ed emanava una serie di statuti e regole che riordinavano le gilde in logge e dettavano i princìpi cui tutti dovevano uniformarsi. Le regole per essere ammessi sembravano, in questo momento, ormai severe: vi si accedeva dopo quattordici anni di apprendistato, erano previste delle assemblee provinciali dei muratori e venivano istituiti un guardiano per ciascuna loggia e un guardiano generale eletto dai guardiani delle singole logge. Qualche altro indizio è suggerito dagli statuti del dicembre 1599 per la loggia di Kilwinning, riconosciuta dopo quella di Edimburgo come seconda loggia di Scozia competente per tutto il territorio occidentale, e seguita ben presto da una terza loggia, quella di Sterling. Questi statuti avevano la precisa funzione di introdurre una nuova regolamentazione comune a tutte le logge. Stabilivano una serie di prove per l’ammissione dei membri e li distinguevano in base al diverso grado di conoscenza dell’«arte della memoria»; imponevano il giuramento e introducevano la divisione tra apprendisti (prentice) e compagni (fellow-craft). Questa nuova organizzazione fa già supporre che sin dal tardo Cinquecento la loggia in Scozia non fosse più solo una corporazione di mestiere, ma anche un luogo di iniziazione all’arte della memoria e alla sua scienza (Giarrizzo, 1994). Che cosa poi fosse quest’arte della memoria o almeno come venisse intesa dai contemporanei, risulta più chiaro dalle discussioni di quegli anni fra Dicson e i teologi puritani. L’arte della memoria era vista come un processo di apprendimento che presupponeva un’anima insensibile e cieca rispetto al bene e al male, che doveva essere attivata o coltivata attraverso le immagini, grazie alla sollecitazione delle passioni per mezzo dell’astrologia e della cabala. Era considerata insomma un esercizio per rendere la mente attiva e non schiava del ricordo, un’arte che non poteva essere scritta ma doveva rimanere affidata alla tradizione, per essere custodita e tramandata come un segreto e comunicata, attraverso il rito di iniziazione, solo a coloro che sarebbero stati prescelti.
Fu questo probabilmente il percorso principale attraverso il quale furono trapiantate nella tradizione delle corporazioni di mestiere le prime dottrine mistiche e filosofiche. Un’impresa che consentiva alla muratoria di trasformarsi da «operativa» in «speculativa» e di apparire per ciò stesso oggetto di interesse non più soltanto agli occhi degli artigiani, ma anche dei gentiluomini con interessi filosofici.
Dagli anni Trenta del Seicento sono documentati infatti gli ingressi in loggia di persone estranee all’arte della muratoria e non è forse un caso che si trattasse di personalità con interessi ermetici e alchemici. Una di loro era Elias Ashmole, antichista e studioso di alchimia di Oxford ammesso ad una gilda nel 1640, grazie alla sua cultura matematica e ai suoi trascorsi di ufficiale di artiglieria, che gli avevano dato conoscenze di balistica e di arte militare. Casi analoghi furono quelli di Alexander Hamilton e di Robert Moray, entrambi artiglieri, ammessi nella loggia di Londra.
Questi e altri esempi mostrano come gradualmente, dall’inizio del Seicento, la muratoria mutò aspetto e cominciò ad ammettere nelle logge anche coloro che non svolgevano l’attività artigiana. La vicenda di Ashmole, di Hamilton e di Moray non deve tuttavia far supporre che questo processo di apertura e di allargamento fosse legato soltanto alla diffusione degli interessi per l’ermetismo rinascimentale. Vi furono anche altre ragioni che portarono la corporazione ad accettare al suo interno persone estranee all’arte muratoria.
La straordinaria documentazione della loggia di Dundee in Scozia, accuratamente vagliata dagli storici, fornisce molti elementi per capire come, almeno in quella parte dell’isola, si realizzarono tali mutamenti. All’inizio del Seicento Dundee da fiorente porto commerciale stava decadendo a città di provincia, vittima nel 1651 del saccheggio ad opera delle truppe parlamentari inglesi e scavalcata in termini di prestigio commerciale dai porti sull’Atlantico, divenuti sempre più importanti. Una carestia e il progressivo declino economico avevano completato un quadro già nel suo complesso a tinte fosche. Dundee contava in quell’epoca una dozzina di corporazioni artigiane, di differente importanza ma tutte organizzate al loro interno secondo le regole proprie delle associazioni di mestiere. I documenti della locale loggia ci mostrano come l’ammissione di non muratori debba essere letta proprio alla luce della crisi economica e sociale e in relazione alla necessità di trovare i mezzi per rinnovare il vincolo di solidarietà, anche finanziaria, che consentissero di aiutare i «fratelli caduti in rovina» e le vedove di quelli deceduti. La loggia, in altri termini, versava in gravi problemi economici, ai quali cercava di dare risposta ammettendo persone estranee all’attività artigianale, ma disposte a versare una somma di denaro per conoscere i segreti dell’arte muratoria e per partecipare alle discussioni filosofiche. È significativo il fatto che all’inizio l’ammissione sembrava comunque limitata a quanti, pur non essendo muratori, erano legati a loro da un vincolo di parentela, ed erano in grado di mantenere un rango sociale sufficientemente elevato in modo da garantire l’apporto finanziario. Un verbale della loggia di Dundee del novembre 1700 è straordinariamente chiaro nel punto in cui, riconoscendo le difficoltà finanziarie, si deliberava di ammettere estranei (strangers) dietro il versamento di un compenso, che garantiva l’estensione al nuovo socio della licenza (freedom) – cioè la facoltà di esercitare liberamente il proprio mestiere all’interno della città – e dei privilegi di cui godeva la gilda.
Questo spiega perché, come risulta dagli studi sulla composizione sociale delle logge in questa prima fase, i nuovi affiliati fossero in prevalenza mercanti, seguiti da un buon numero di nobili di campagna esponenti della gentry.
In quest’epoca due erano le fonti delle regole per la vita delle logge: gli statuti e i catechismi. Gli statuti contenevano le regole e i riti per l’ammissione e ne enunciavano i miti, la leggenda che accompagnava la nascita della muratoria. Venivano letti ad ogni raduno della loggia e, ricordando ai fratelli la loro antica tradizione, servivano a rafforzare il vincolo di appartenenza. I catechismi erano invece testi in forma di dialogo che contenevano la parte esoterica, quella «parola massonica» (Mason Word) che rappresentava il patrimonio intellettuale da trasmettere agli adepti, e solo a quelli più direttamente investiti di responsabilità organizzative. La conoscenza o meno della Mason Word costituiva all’interno della loggia l’elemento che discriminava il rango e la posizione dei diversi membri. Fino all’inizio del Settecento la vita in loggia sarebbe rimasta regolata talvolta da statuti, talvolta da catechismi, qualche altra volta da entrambi, con cerimonie di iniziazione e rituali ancora fluidi e molte differenze fra loggia e loggia. Solo dagli ultimi anni del XVII secolo cominciarono i primi cambiamenti: l’espressione freedom venne sostituita con quella di liberty, un’estensione dell’antico privilegio della gilda, basata sulla possibilità di svolgere liberamente il commercio all’interno della città, al di là delle limitazioni originarie che lo...

Indice dei contenuti

  1. Che cos’è la massoneria?
  2. Origini e successo di una nuova formula culturale
  3. Dentro la loggia
  4. L’irrompere della politica
  5. Le massonerie in Europa
  6. Conclusione
  7. Bibliografia