Semiotica del testo giornalistico
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Semiotica del testo giornalistico

  1. 166 pagine
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Semiotica del testo giornalistico

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Nel sistema complesso dei media di oggi, l'identità dei quotidiani italiani è gradualmente cambiata. I giornali non sono più la fonte delle notizie, ma l'occasione per il loro commento; hanno rinunciato al sogno di un'informazione neutra per presentare, invece, forme sempre più diversificate di sapere, racconti, passioni. Ma cosa rende un articolo credibile? E perché certi giornali sembrano più oggettivi di altri? Come succede di sentirsi partecipi delle emozioni degli eventi che leggiamo? Per la semiotica si tratta di effetti di senso, giochi di simulacri e costruzioni narrative, risultato di precise strategie discorsive che non restituiscono la realtà ma costruiscono impressioni di realtà. È di quelle strategie –delle loro differenze e delle loro modalità– che questo libro si occupa.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858121597

1. La struttura del giornale

Una delle distinzioni fondanti della semiotica è quella tra piano dell’espressione e piano del contenuto. Derivata dalla distinzione tra significante e significato, questa articolazione è diventata centrale nelle teorie strutturaliste, che hanno separato i due livelli per poi analizzarne le rispettive unità e i reciproci rapporti.
La distinzione tra piano dell’espressione e piano del contenuto può essere utile anche per i giornali. Si tratta in realtà di una distinzione teorica: separare espressione e contenuto è di fatto un’astrazione; nell’effettiva manifestazione dei testi, espressione e contenuto sono sempre irresolubilmente collegati. È utile però considerarli separatamente per individuare le diverse unità di ciascun piano, definirne le logiche e comprenderne l’articolazione.
Iniziamo dunque dal piano dell’espressione, ovvero dalla manifestazione lineare del testo che consideriamo; vedremo successivamente – nei capitoli che seguiranno – come, nei livelli più profondi, espressione e contenuto si determinino reciprocamente, a creare ogni volta precisi effetti di senso.
È tipico della semiotica (e della semiotica generativa in particola­re) tenere distinti, in sede di analisi, livello di superficie e livello pro­fondo dei testi. ‘Superficiale’ e ‘profondo’ non hanno qui a che fare col valore di un testo; non è che ciò che sta a livello superficiale sia meno importante di ciò che si dà a livello profondo. Semplicemente si distingue il livello della manifestazione discorsiva del testo (quello che effettivamente leggiamo) dal livello, più astratto, che esso presuppone (in cui si collocano i valori che il testo mette in gioco, i soggetti e i ruoli che esso organizza) per imparare a distinguere – ancora una volta – le diverse logiche della significazione.
Se partiamo dalla manifestazione lineare dei giornali, ci imbattiamo innanzi tutto in un certo formato, un certo tipo di impaginazione, modi diversi di raggruppare i testi in sezioni, prime pagine diverse, grafici e fotografie dal diverso impatto e dalla diversa funzione.
Inizieremo dai formati.

1.1. I formati

I giornali italiani presentano prevalentemente due tipi di formati: il formato standard (circa 40 x 55 cm) e il formato tabloid (circa 30 x 45 cm).
Il formato cosiddetto standard tradizionalmente è stato assunto dalle testate generaliste (cfr. «Corriere della Sera»); è un formato ampio, che consente di accogliere molta informazione, e ordinatamente. Consente di includere nella pagina elementi diversi (testo e immagini) e di disporli con agio. Appare più funzionale all’inserimento degli spazi pubblicitari, essendo più facilmente organizzabile in moduli fissi.
Il formato tabloid, viceversa, è stato associato nella tradizione giornalistica (specie internazionale; pensiamo ai tabloid scandalistici inglesi) a un’informazione meno seria e più d’effetto, più interessata a colpire il lettore che a informarlo con ordine e precisione.
L’effetto che il formato standard produce, di un giornale di ampio respiro e razionalmente organizzato, è riconducibile a precise caratteristiche del piano dell’espressione e in particolare alla sua organizzazione plastica. Per organizzazione plastica la semiotica intende l’organizzazione di linee, colori, spazi di un testo, ovvero la sua organizzazione topologica (relativa agli spazi), eidetica (relativa alle linee) e cromatica (cfr. Greimas 1984). È l’organizzazione plastica a determinare, insieme al livello figurativo1, le grammatiche del visivo – e dunque anche dei quotidiani nel loro aspetto grafico e di impaginazione.
L’effetto di senso di ordine e razionalità del formato standard, dunque, non è affatto accidentale, ma è dovuto alla strutturazione topologica, modulare, della pagina, che colloca le unità testuali (gli articoli) secondo assi cartesiani che tendono a non spezzare la continuità delle linee verticali e orizzontali. Viceversa, il formato tabloid è solitamente associato a un’organizzazione che spezza continuamente la linearità dei suoi moduli, incastrando, come in un puzzle, i suoi tasselli.
Il risultato è un piano dell’espressione non continuo, che indurrà anche un ritmo di lettura diverso, sincopato. La categoria di ‘ritmo’, infatti, non ha solo un’accezione musicale; per la semiotica c’è anche un ritmo dei testi, che è dato dalle procedure di continuizzazione o marcatura con cui si trattano le unità di un testo. Come in musica il ritmo è dato dalla successione e dalla scansione dei suoni, così negli altri linguaggi (verbale, visivo...) si tratta di analizzare come le diverse unità (parole, formanti plastici) si organizzano in movimenti e cadenze2.
Un giornale che, per una follia del suo direttore, alternasse pagine di politica a pagine di sport imporrebbe al suo lettore una schizofrenia non solo tematica ma innanzi tutto ritmica; viceversa, un giornale che nelle quattro pagine di politica interna stabilisse dei chiari nessi (tematici o figurativi) tra una pagina e l’altra, indurrebbe un ritmo di lettura disteso, un andante continuo senza interruzioni. Allo stesso modo, una pagina che spezzasse continuamente le sue linee verticali con l’inserimento di direzionalità diverse creerebbe un ritmo sincopato; la pagina invece che rispettasse la continuità delle proprie linee ortogonali, equilibrando pieni (di testo) e vuoti (di titoli), distribuendo testo e immagini secondo uno schema compositivo armonico, indurrebbe naturalmente una lettura distesa, in cui l’occhio scorrerebbe sulla pagina senza subire cambi di direzione.
Il formato tabloid, dunque, con il suo ritmo spezzato, è stato tradizionalmente associato a una fruizione più rapida, discontinua appunto, che non ha incluso nei suoi programmi l’approfondimento. In realtà con gli anni, nel mercato italiano, le connotazioni del formato tabloid sono andate via via cambiando. Esso è stato infatti ­assunto non tanto dai giornali scandalistici o comunque leggeri (come in Inghilterra o in Spagna), ma (similmente alla Francia) dai ­giornali più ‘militanti’, da quei giornali cioè che hanno fatto dei commenti, del dibattito delle opinioni politiche la propria specificità. Hanno dunque un formato tabloid non solo i giornali d’opinione («Il Foglio», «il Riformista») ma anche due quotidiani generalisti ma fortemente caratterizzati in senso politico-militante come «la Repubblica» e «il manifesto». Vedremo che l’organizzazione della pagina di un giornale come «la Repubblica» ripete e sfrutta proprio quelle caratteristiche di flessibilità, rapidità, agilità tipiche del formato tabloid, e tuttavia lo fa in funzione di una tematizzazione ‘seria’, non scandalistica. Il formato tabloid sembra non associarsi più, in Italia, a un’agenda particolare quanto, piuttosto, a una presenza enunciativa particolare: è il formato delle testate in cui il soggetto enunciatore (la testata) scende in campo e si assume la responsabilità delle proprie opinioni, scardinando lo spazio ordinato e tradizionale – cartesiano – legato all’ideologia di un’informazione oggettiva.
È evidente, dunque, come le diverse testate, indipendentemente dai contenuti che presentano, giornalmente offrano ai loro lettori un ‘quadro’ diverso – il quadro di uno spazio che può essere movimentato, articolato, variato, oppure strutturato, gerarchico, ovvero modulare e ripetitivo...
Guardiamo ai due esempi che seguono: «il Giornale» e «la Repubblica» del 10 luglio 2003.
Vediamo che nella «Repubblica» lo spazio delle notizie è continuamente movimentato da inserti di altro genere (grafici, zoom di fotografie, vignette) e non c’è una direzionalità chiara di lettura (gli schemi inducono una lettura orizzontale da sinistra a destra, gli articoli vanno ovviamente letti in verticale, una freccia legata alla fotografia centrale suggerisce un movimento da destra a sinistra, ecc.).
«Il Giornale», invece, oltre ad apporre un simbolo istituzionale per eccellenza in cima alla pagina, a suggello della propria autorevolezza e serietà, pone sul taglio alto, molto chiaramente, la notizia del giorno, non spezza gli articoli con inserti eterogenei e mette in pagina un numero molto più ridotto di pezzi.
«il Giornale», 10 luglio 2003, p. 4.
«il Giornale», 10 luglio 2003, p. 4.
«la Repubblica», 10 luglio 2003, pp. 2-3.
«la Repubblica», 10 luglio 2003,...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. La struttura del giornale
  3. 2. La voce del giornale
  4. 3. Il racconto del giornale
  5. 4. La gestione del sapere
  6. 5. L’informazione appassionata
  7. Riferimenti bibliografici