1. «Ero straniero e mi avete accolto»
Orazio La Rocca Monsignor Nogaro, cosa intende dire Gesù quando nel Vangelo afferma: «Ero straniero e mi avete accolto»?
Raffaele Nogaro «Con parole semplici, Gesù illustra l’essenza del cristianesimo. Il Vangelo traccia il solco che ognuno di noi è chiamato a seguire nel corso della sua vita terrena in previsione del Regno dei Cieli. Non a caso, Cristo, il Figlio dell’Uomo, ne parla preannunciando ai suoi discepoli che nel Giudizio Finale saremo ammessi o esclusi all’amore di Dio se avremo amato o ignorato i nostri fratelli, al di là della nazionalità e del ceto sociale. ‘Non saremo più né ebrei, né greci, né romani’. Ecco quindi che accogliere lo straniero – e ogni uomo è pellegrino e straniero su questa terra – nella propria casa, nel proprio paese, dargli ospitalità, assistenza, aiuto disinteressato, amore gratuito, diventa la verità della vita cristiana».
olr Parole di duemila anni fa valide ancora oggi?
rn «Parole sempre attuali, pur essendo state pronunziate da Cristo in un ambiente molto differente da quello in cui oggi viviamo. Lo dimostra il fatto che è proprio l’accoglienza dello straniero, oggi, una delle sfide più importanti a cui occorre rispondere sulla spinta dei flussi migratori dal Terzo Mondo verso l’Occidente. Ma il Figlio dell’Uomo nel Giudizio Finale non parla solo di accoglienza per gli stranieri. ‘Venite, benedetti del Padre mio – dice Gesù – perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato; nudo e mi avete vestito; malato e mi avete visitato; carcerato e siete venuti a trovarmi’. Come negare la strettissima attualità di simili esortazioni? Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, curare gli ammalati, visitare i carcerati sono bisogni primari che interpellano, prima di tutto, la coscienza dei cristiani e le loro scelte di vita».
olr Per questo lei si sente così vicino al mondo dei sofferenti, agli ammalati, ai carcerati, agli immigrati?
rn «Dico sempre alla mia gente che non penso di essere un credente vero secondo il criterio della Chiesa. Confesso che a me, in fondo, non interessano tanto la liturgia o le grandi celebrazioni. Certamente, quando celebro lo faccio con convinzione e viva partecipazione interiore. Anche la catechesi è per me qualche cosa di pleonastico se non riesco a comunicare la parola viva di Gesù. Penso che la Chiesa sia soprattutto l’espressione dell’amore infinito del Cristo. Non vorrei che la mia fosse una deformazione religiosa. Amo il Cristo nella sua autenticità di Figlio di Dio. Però, provo un trasporto sconfinato verso il Cristo prepasquale, cioè il Cristo che si presenta come il Figlio dell’Uomo, il Cristo che piange di fronte a tutti i dolori dell’uomo. Cristo è l’unico che si accorge del dolore umano. Amo il Cristo che ha misericordia, che va sempre al di là della colpa, che va sempre al di là della cattiva intenzione. Il Cristo che addirittura perdona. Perdona anche quelli che lo uccidono.
E questo Cristo penso che si è incarnato nella mia vita. Lo dico pur essendo consapevole di apparire presuntuoso. Per me donare, comprendere, piangere con gli altri è vivere. È la mia seconda natura. Non è nemmeno un atto di fede. È proprio questo bisogno che mi spinge e mi dà la forza di andare avanti. Perché al Cristo ho sempre creduto. Io ho studiato teologia, ma la ricerca teologica non mi ha mai interessato. Quello che mi prende, quello che mi convince, è proprio il Cristo immediato, il Cristo che parla a me, il Cristo del Vangelo».
olr Cosa significa essere stato vescovo di Sessa Aurunca e di Caserta, cioè di due comprensori considerati tra i più difficili della Campania e di tutto il Meridione?
rn «Non so cosa rispondere, perché non sono portato immediatamente al giudizio, ma all’accoglienza. Per grazia di Dio, non ho mai avuto prevenzioni per nessuno e, naturalmente, nemmeno per la gente del Meridione. È vero che vengo da una terra molto diversa come il Friuli. Si sa che al Nord sono più chiusi e al Sud più aperti. Ma qui, in Campania, è subito esploso in me il desiderio di conoscere questa gente, di avvicinarla, amarla, condividere le sue gioie e i suoi dolori. Mi sono reso conto che qui la realtà sociale è talora disastrata, e spesso ho espresso l’indignazione e anche la denuncia. La camorra è devastante, ma nel Sud c’è uno spirito di rinascita grandioso».
olr Eppure, quando seppe che papa Giovanni Paolo II aveva deciso di nominarla vescovo di Sessa Aurunca la sua prima risposta fu negativa. Come mai?
rn «Non volevo accettare. Inizialmente rimasi piuttosto sconcertato da quella decisione. Venivo fatto vescovo di una diocesi che non conoscevo. Soprattutto mi turbava essere vescovo. E infatti, appena arrivai a Sessa Aurunca, specialmente la prima settimana, mi pareva di morire dentro. Avevo la sensazione di essere solo. Mi sbagliavo. Ma lo capii solo in seguito. Ero perplesso e ripetevo continuamente: ‘non è il mio mondo, non è la mia sensibilità’. Fortunatamente questa forma di crisi durò poco grazie alla cordialità e all’accoglienza della gente comune, specialmente dei giovani».
olr Diciamo che fu preso in contropiede...
rn «Sì. Non me lo aspettavo. Fu una sensazione piacevolmente sconvolgente per uno come me che veniva dal Friuli, una terra piena di lavoro e di passione, ma anche di rabbia. Quella stessa rabbia costruttiva con cui i friulani affrontarono le conseguenze del terremoto che, malgrado la tragedia immane in termini di perdite di vite umane e di distruzioni, ha portato in seguito anche tanto benessere. So che, dopo il terremoto, con la fervorosa ricostruzione, il Friuli ha respirato un’aria nuova. Il lavoro è diventato progresso esemplare e anche gioia di vivere. Ma l’accoglienza così calorosa dei Sessani fu ed è per me sempre ristoratrice».
olr Come si organizzò?
rn «Non mi sono organizzato in maniera particolare. Ho semplicemente obbedito alla mia vocazione, lasciandomi ‘prendere’ dagli eventi, senza pregiudizi. Incontrandomi con i giovani di Sessa Aurunca, poi, mi sono subito trovato a mio agio. Mi sorprese molto il fatto che i tanti ragazzi che la sera si riunivano sulla piazza, praticamente quasi sempre sotto la mia casa, presso la cattedrale, non bestemmiavano mai. Ne fui molto colpito. Mi chiedevo: ‘possibile? non bestemmiano?’. Mi sembrava di essere in Paradiso. Sentivo al massimo qualche ‘mannaggia!’, ma non mi sono mai accorto di una bestemmia vera e propria. Forse a qualcuno potrà sembrare banale, ma questa cosa mi ha fatto sentire subito sollevato. Nel mio Friuli la bestemmia era qualcosa di esasperante. Dall’episcopio andavo ogni giorno a piedi in seminario, distante circa un chilometro dalla mia abitazione. Era un’occasione per incontrare la gente del posto, curiosa, cordiale, sempre pronta al saluto. Per cui in poco tempo, dopo circa un mese, mi sembrava di conoscere tutti i cittadini di Sessa Aurunca. L’accoglienza della Campania ha cominciato a farmi subito bene, e a trasformarmi dentro e fuori».
olr Una terra sicuramente accogliente e familiare, ma carica di problemi. Se ne accorse subito?
rn «Me ne accorsi appena arrivai, perché proprio in quei giorni furono assassinate due persone dai camorristi del posto. Ma io, malgrado questi problemi, incominciai subito a sentire intorno a me la fiducia delle persone, specialmente della gente comune, vale a dire delle prime vittime innocenti di certe situazioni di violenza e di oppressione legate alla camorra e a un potere politico corrotto. Non a caso, tra le prime persone con cui a Sessa Aurunca fraternizzai subito fu un senatore comunista, Carlo Rossi, che mi accolse con amicizia e sincerità, facendomi conoscere da vicino il mondo del lavoro e degli operai. Ho sentito che stare con loro era bello, soprattutto condividere le loro scelte, le loro problematiche, le loro aspirazioni».
olr Cosa le resta di quella esperienza episcopale?
rn «Resta tantissimo. Ma la cosa che più mi ha convinto è la certezza che questa gente è dotata dei necessari anticorpi per reagire alle ingiustizie e alle violenze, anche se a volte pensa diversamente. Dopo circa 18 anni trascorsi a Caserta, mi sono convinto che, non solo la Campania, ma tutto il Sud è capace di riscattarsi. Dal punto di vista religioso, poi, il Meridione ha una potenzialità spirituale altissima. Il Sud è pieno di vita perché è pieno di cordialità, di energia, di voglia di fare. Purtroppo – e ancora non si riesce a capire quali siano i veri motivi –, il Sud non è mai stato amministrato con una certa saggezza dai politici, e nemmeno dalla Chiesa. Che non si è mai sufficientemente interessata ad aiutare le persone del Sud a qualificarsi socialmente. Forse possono sembrare parole troppo dure, ma ho sempre avuto l’impressione che per le regioni meridionali non si è fatto mai molto e la Chiesa non è esente da responsabilità. È vero che negli anni passati ci sono stati documenti emanati dalle gerarchie ecclesiastiche sulla promozione umana e sulla condanna di mafia, camorra, ’ndrangheta e criminalità organizzata. Ma sono stati interventi occasionali che non hanno inciso. Io ho sempre detto che accanto al catechismo della fede bisognava metterci anche il catechismo della legalità. Anche la pastorale del lavoro andava promossa con più determinazione, perché se qui si fosse costituita una certa imprenditoria locale autonoma, la possibilità di sviluppo del Sud sarebbe stata grandissima. Invece ho l’impressione che il politico locale abbia interesse a rendere il bene pubblico bene privato. E fa tutto il possibile per eseguire splendidamente questo gioco perverso».
olr Può fare un esempio concreto?
rn «Sì. Qui, quando sono arrivato, la Regione Campania aveva istituito varie scuole professionali. Ma si assumevano gli insegnanti senza gli scolari. Solo nel Sessano, territorio piuttosto vasto, furono assunti più di tremila insegnanti, che al mattino andavano a mettere la firma senza insegnare. Le responsabilità erano tutte dei camorristi, perché in queste zone la camorra è veramente invasiva e per salvaguardare i propri interessi condiziona negativamente quasi tutti gli ambiti, a partire dalla scuola e dal lavoro».
olr Si può dire che il cancro della camorra in Campania, come pure della mafia in Sicilia o della ’ndrangheta nelle altre regioni meridionali, sia figlio anche di determinate «disattenzioni» socio-politiche ed ecclesiali?
rn «È sbagliato ed esagerato affermare che qui i politici sono tutti camorristi. O che altrove siano tutti mafiosi. Ma è innegabile che nessun politico può prescindere dalla camorra, direttamente o indirettamente. Qui, in Campania, il potere vero e proprio è in mano a loro, ai camorristi, i veri responsabili del mancato sviluppo locale. Lo si è visto, ad esempio, anche quando si è costituita la Regione, che avrebbe potuto svolgere un ruolo propulsivo per lo sviluppo di settori importanti come l’agricoltura, il turismo, le scuole, le tante meraviglie legate alla natura locale, con innegabili vantaggi per l’occupazione. Invece niente. Le scuole professionali che dovevano preparare i giovani sono state chiuse dopo poco tempo. E quasi tutte quelle concepite originariamente per favorire una particolare preparazione per i giovani sono svanite nel nulla. Era stata costruita anche una scuola professionale a Marcianise, che doveva preparare gli operai della Olivetti: occorrevano figure specializzate per un certo lavoro. Anche quella è stata chiusa. Anche per questa scuola c’è stato il condizionamento negativo della camorra che controlla tutto, senza lasciare spazi liberi all’imprenditoria locale. Si pensi ultimamente alla realtà dei ‘rifiuti’, capace di bloccare ogni autenticità di vita della gente».
olr Sta descrivendo una regione praticamente allo sbando...
rn «Sì, ho l’impressione che non ci sia l’impegno della ripresa né da parte del governo di Roma, né da parte degli enti locali. Quante volte mi sono battuto, accanto ai giovani e ai lavoratori, per l’occupazione, per la difesa dei posti di lavoro, per i problemi dei disoccupati, specialmente dei giovani che sono alla ricerca del primo lavoro. Qui hanno aperto industrie di ogni tipo, Oro Mare, Polo della Qualità... Ogni volta che ho visitato queste nuove realtà imprenditoriali mi hanno sempre assicurato che avrebbero assunto operai di Caserta, di Sessa Aurunca, di Marcianise. Solo vane promesse. Non hanno quasi mai assunto nessuno del posto, e i nostri giovani, come al solito, sono costretti ad andare al Nord in cerca di fortuna. Non c’è nessun amministratore locale che si interessa dei nostri ragazzi, della promozione della gente. Ho l’impressione che il politico, malgrado le promesse e le belle parole che dice specialmente in periodi elettorali, non ami la gente. Fino a quando la gente qui non fa la ‘rivoluzione’, nel senso che non si mette a lottare contro le istituzioni per costringerle a essere più attente ai bisogni delle famiglie, dei giovani, dei disoccupati, qui le riforme non arriveranno mai».
olr Le sue origini friulane l’hanno aiutata a inserirsi nel contesto della Campania o le hanno creato problemi?
rn «Non ho mai avuto problemi per le mie origini friulane, forse perché proprio grazie alla mia originaria formazione ho sempre cercato di inserirmi, di entrare in contatto con gli altri, senza isolarmi mai. Come ogni friulano che non ha grandi tesi filosofiche da svolgere, ma che coltiva piuttosto l’idea della produttività del lavoro, anche da sacerdote e da vescovo mi sono messo a lavorare con analoga determinazione sul versante dell’impegno spirituale e pastorale. Il Friuli mi ha dato la gioia di non essere mai inerte e, quindi, di essere sempre pronto a spendermi per il prossimo, specialmente per il più bisognoso».