Roma 1564
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Roma 1564

La congiura contro il papa

  1. 242 pagine
  2. Italian
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Roma 1564

La congiura contro il papa

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Nell'inverno del 1564 alcuni congiurati tentarono di assassinare papa Pio IV: fallirono, furono processati, torturati e infine condannati a una morte atroce. Questa è la storia di quegli uomini, passati attraverso le tumultuose trasformazioni della crisi politico-religiosa cinquecentesca italiana, che infine si incontrarono a Roma: delle relazioni che vi allacciarono, dei luoghi che frequentarono, dell'immagine che sulla base di queste esperienze si formarono del 'sovrano pontefice', sino al punto di convincersi che Pio IV non era il 'vero papa'.

La loro può apparire un'impresa sgangherata, nulla più che il progetto di un gruppo di folli esaltati: anche le versioni ufficiali divulgate allora dalla corte romana accreditarono tale interpretazione. In realtà, la loro storia permette di illuminare scenari più ampi e inquietanti, e di collocare la congiura sullo sfondo che le è proprio: l'aspro conflitto che contrapponeva allora Pio IV al re di Spagna e all'Inquisizione romana, sia l'uno che l'altra determinati a fermare quel papa che con la sua politica conciliatrice verso gli eretici rischiava di provocare la rovina della Chiesa.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858113790

Capitolo decimo

Nel 1541 Benedetto aveva all’incirca vent’anni e si trovava a Bologna a spese del cugino cardinale di Ravenna per studiare diritto. Con altri scolari dello Studio divideva un alloggio non lontano dalla piazza Maggiore che avrebbe abbandonato dopo qualche mese per prenderne uno tutto per sé vicino al convento di S. Giovanni in Monte1. Nell’ultimo scorcio di quell’anno, rivolgendosi al cugino come «signor prudentissimo et humanissimo, massime verso me», si lamentava: «Sono già ben sette mesi ch’io mi sforzo con tutto l’animo e il corpo di far profitto di queste leggi, et ogni giorno fo peggio, perché la natura mia ripugna al tutto a questo studio, et a volere ch’io ci attendessi, bisognerebbe ch’io havessi una altra natura»2. A Bologna Benedetto aveva preso gli ordini minori, avvio di quella carriera ecclesiastica verso la quale lo indirizzava il cugino cardinale, ma che a lui ripugnava. Gli scriveva così di non voler «per nessun modo esser prete, al quale paiano convenirsi le leggi», ribadendogli che «il desiderio mio si è d’esser laico, perché s’io tacessi, lei gittarebbe via i danari, e io il tempo»3. Un po’ per queste ragioni, un po’ perché era sempre indebitato e in cerca di denari, Benedetto si sbarazzò allora, resignandoli a terzi, dei benefici semplici di cui era titolare nella diocesi di Cremona, assegnatigli in precedenza dal cardinale di Ravenna 4.
Anche nell’aspetto esteriore lo studente aveva ben poco dell’uomo di Chiesa. Quando il notaio bolognese Annibale Rusticelli si era recato nell’abitazione di Benedetto per rogare il primo di una nutrita serie di atti, aveva definito il giovane che gli stava davanti nobilis et honestus adultus, per poi correggere la sua annotazione con reverendus vir. L’appartenenza all’illustre famiglia degli Accolti, di cui lo studente faceva probabilmente sfoggio, e il suo accento toscano, avevano inizialmente indotto il pubblico funzionario a qualificarlo civis Aretinus, appellativo che si affrettò a sostituire con quello giuridicamente più appropriato di clericus romanus: il medesimo con cui tanti anni dopo, arrestato per la congiura, Benedetto si sarebbe presentato ai giudici del papa.
Qualche mese più tardi, lo studente non solo continuava a occuparsi poco delle leggi, ma da Bologna comunicava al cugino il suo progetto di studiare il greco «per intender benissimo certe oppinioni oscure nelle epistole di Paolo» chiedendogli denari per comprare i libri che gli servivano5. Una lettera furibonda del cardinale scritta da Roma circa un anno dopo all’avvocato e giurista Silvestro Aldobrandini rivela che cosa Benedetto avesse fatto nell’ultimo anno con quei libri. A Bologna si stavano scoprendo gruppi e conventicole di eretici: tra questi, Benedetto, «abbominevole luterano che sia ancora stato da poi che questa pestifera setta è in piede», aveva «semina[to] queste empietà a gente basse et plebeie, alle quali leggeva per vulgare in camera sua et andava visitandone sotto specie di charità quando amalati, et instruendoli in questi dogmi et opinioni diaboliche»6.
Tre giorni più tardi, il 6 febbraio 1543, un amico informava Ludovico Beccadelli su quanto stava succedendo in città: «Delli nostri lutherani la cosa sta così: un messer Benedetto, nepote [sic] del cardinale di Ravenna giovane, era il dottore di questa setta: haveva una casuzza in Fiaccailcollo, nella quale la sera, dopo l’Avemaria, convenivano da cinquanta auditori ad audire san Paulo, i quali quasi tutti erano mercanti et gente bassa. La cosa si è scoperta et il capo se ne è fugito. De’ discipuli ne sono stati presi molti, huomini et donne»7. Mentre il bargello del governatore di Bologna gli perquisiva la camera, Benedetto era scappato dalla città pontificia «vestito da villano». «Giuro a Dio che me lo mangerei crudissimo et lo berei in un bichier di tossico», scrisse allora il cardinale di Ravenna infuriato all’Aldobrandini, dichiarandosi certo «che tanto sia figliuolo di mio zio quanto vostro, et che sia nato di quella puttanissima di sua madre, che morì matta, et di qualche Antichristo»8.
I successivi processi e inchieste portarono alla luce l’intensa circolazione della propaganda e dei libri eterodossi a Bologna; la fitta rete di relazioni personali che legava esponenti di spicco del dissenso cittadino con altri gruppi in tutta Italia; le vaste diramazioni sociali di un proselitismo cui Benedetto aveva attivamente contribuito e che aveva raggiunto merciai, osti, notai, calzolai, maestri di scuola, popolani come quel droghiere che si era messo a studiare il latino per poter leggere il Nuovo Testamento nella versione di Erasmo9.
Dopo la fuga da Bologna, Benedetto passò da una città all’altra dell’Italia settentrionale entrando in contatto con i circoli riformati di Modena, dove riprese le discussioni e gli studi sul Nuovo Testamento tra i membri dell’Accademia cittadina, e di Venezia dove, come si è visto, frequentò Oddo Quarto da Monopoli e Baldassarre Altieri che gli procurarono libri di tutti i tipi10. Passò per Mantova, Ferrara, Padova, e di lì a Ginevra e in Francia usando falsi nomi nel timore di esser riconosciuto, tra tribolazioni, angustie, umori melancolici tanto grandi che temeva gli desse di volta il cervello11. Infine, si rassegnò al fatto che, dopo tutto, avevano smesso di cercarlo perché era giovane e non contava nulla, non era un pericoloso eresiarca né un potente nemico della Chiesa e, «morto io, morta una mosca in Puglia»12.
Si ricordò allora di esser cugino di cardinale, e decise di rivolgersi a quest’ultimo invocando la sua clemenza non come padre, né come padrone, ma «in luogo d’un mio unico Iddio in terra», dichiarandosi «obbligato ad adorar la terra dove Sua Reverendissima Signoria pone i piedi, alla quale io debbo l’esser vivo, perch’io so quel ch’egli harebbe potuto fare con un minimo cenno, se havessi voluto lasciar la briglia alla sua giustissima ira»13. Si recò quindi a Pisa sotto falso nome per riprendere lo studio delle leggi nell’università riaperta solo due anni prima da Cosimo de’ Medici.
Nella città toscana dove si stabilì nell’estate del ’45, Benedetto si faceva chiamare Marcantonio Florido e si fingeva nipote di Pompeo Florido, segretario e fedele servitore del cardinale di Ravenna. Al porporato non poteva scrivere direttamente, ma aveva l’obbligo di tenerlo informato con cadenza regolare sui suoi studi per mezzo di Pompeo. Il cardinale di Ravenna risiedeva all’epoca alla corte di Cosimo de’ Medici, sotto la protezione del duca di Firenze e dell’imperatore Carlo V, al riparo dalle aperte offensive e dalle trame sotterranee di papa Paolo III Farnese. Per il cardinale, al centro di eventi politici e di conflitti con Roma le cui implicazioni avevano portata europea, quello sciagurato cugino ricercato dai tribunali inquisitoriali rappresentava una spina nel fianco di cui potevano approfittare i suoi nemici e una minaccia in grado di deflagrare da un momento all’altro14.
Nella lettera del 22 settembre 1545, «passati questi caldi grandissimi», Benedetto prometteva a Pompeo di «dar dentro gagliardamente» agli studi di diritto rassicurandolo che nessuna «altra cosa m’occupa il cervello che lo studio»15, e di non frequentare nessuno al di fuori del professore presso cui alloggiava, di qualche studente e dei libri di legge: «In camera mia non si trova straccia di Scrittura cominciando dal libro del Genesis per insino a gratia Domini nostri amen del Apocalissi. Pertanto, da qui innanzi non mi rompete più el capo con Pavolo né con Pietro, ché non ho straccio di simil materia in camera mia», scriveva a Firenze16. Certo, aveva tenuto sul suo tavolo il libro dei Salmi perché re David gli piaceva, e non si esprimeva con «questi quinci et quindi che usano questi coglioni di preti vulgari»; si era divertito a leggere quei «sonetti contra e’ cortigiani del re Saul che dicevano mal di lui al padrone» – continuava tra il faceto e il minaccioso rivolgendosi all’affezionato Pompeo Florido –, ma alla fine aveva deciso di disfarsi anche di quel libro, nel timore che, «se costoro battezzano per heretico chi studia san Pavolo, [...] non mi battezino per giudeo daché lego i Salmi d’un giudeo». Pompeo, d’altra parte, non poteva che comprenderlo, essendo «persona christianissima et evangelica, che havevi pur l’altro dì in camera el Benefitio di Christo che dispiace così a’ frati»17.
Ad assicurazioni di questo tipo Benedetto accompagnava continue richieste di soldi per comprare panni di lana e di lino «perché li panni non son marmoro né bronzo»18, una pellic...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Ringraziamenti
  3. Parte prima. La congiura, l’arresto, il processo
  4. Capitolo primo
  5. Capitolo secondo
  6. Capitolo terzo
  7. Parte seconda. L’immagine del papa e la sua capitale
  8. Capitolo quarto
  9. Capitolo quinto
  10. Capitolo sesto
  11. Capitolo settimo
  12. Parte terza. Benedetto Accolti tra umanisti, stampatori ed eretici
  13. Capitolo ottavo
  14. Capitolo nono
  15. Capitolo decimo
  16. Parte quarta. Pio IV contro la Spagna e contro l’Inquisizione
  17. Capitolo undicesimo
  18. Capitolo dodicesimo
  19. Capitolo tredicesimo
  20. Conclusione