Introduzione a Gadamer
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Introduzione a Gadamer

  1. 222 pagine
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Introduzione a Gadamer

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Un'introduzione a un protagonista della filosofia del Novecento che ha contaminato le più importanti correnti del pensiero contemporaneo e influenzato le più diverse discipline.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858114179

IV. La teoria dell’esperienza ermeneutica

1. Poesia e verità

Nel capitolo precedente abbiamo visto prendere consistenza la tesi secondo la quale anche l’arte ci consente di avere un’esperienza di verità. Avviandoci a illustrare i principi della teoria ermeneutica gadameriana facciamo riferimento al titolo con cui Goethe ha tramandato alla posterità la sua autobiografia intellettuale non a caso, ma per il fatto che nella riflessione del grande poeta tedesco Gadamer vede una significativa fase preparatoria della sua stessa problematica. Poesia e verità – egli osserva1 – pone i due termini in un’intima tensione e ci aiuta a comprendere il compito che abbiamo davanti, consistente nell’integrare l’esposizione condotta precedentemente in riferimento ai problemi della coscienza estetica. La critica alla teorizzazione kantiana di tale coscienza è stata sviluppata infatti solo per quel che concerne la nozione di ‘genio’, ma questo non significa che le riserve avanzate da Gadamer nei confronti del rifiuto kantiano di riconoscere all’arte un valore cognitivo abbiano un rilievo minore. Prima di delineare i tratti essenziali dell’ermeneutica gadameriana occorre dunque chiarire questo punto che ci consentirà di comprendere meglio quella sezione di Verità e metodo che può essere considerata come una sorta di pars destruens, destinata a preparare quella positiva, consistente nell’esposizione della teoria dell’esperienza ermeneutica. Ma che cosa significa rivendicare all’arte, e in particolare alla poesia, un’esperienza di verità? E come è possibile farlo, nonostante la critica kantiana e le considerazioni che, in fatto di teoria estetica, ne sono scaturite?
Dobbiamo muovere qui – suggerisce Gadamer – da una considerazione generale circa il linguaggio, distinguendo dal punto di vista ermeneutico il fenomeno linguistico che poniamo in essere nel dialogo interpersonale dal fenomeno linguistico della poesia. In precedenza abbiamo visto che ogni discorso è da intendere come risposta a una domanda che dobbiamo saper cogliere se vogliamo comprendere il senso di quello che ci viene detto. Nella poesia le cose stanno in maniera diversa. Non c’è, di fronte a essa, la possibilità d’interrogare qualcuno che ha parlato e ha posto a sua volta domande. Nella poesia non c’è altro che la parola, la quale, in questo caso, è del tutto sganciata dalla funzione comunicativa, al cui servizio abitualmente la poniamo. La poesia è linguaggio in un senso «eminente»2, e vedremo più avanti che cosa questo significhi.
Come può, allora, la parola poetica essere ‘vera’? Che cosa significa parlare qui di ‘verità’? Gadamer si richiama ancora una volta alle riflessioni di Heidegger sul significato assegnato dai Greci al termine alètheia, per sottolineare la duplicità che in esso è pensata con l’attribuirgli tanto il carattere di ‘disvelamento’, quanto quello di ‘autenticità’, di ‘genuinità’. Se ‘vero’ è, da un lato, il discorso nella misura in cui manifesta pienamente, cioè ‘disvela’, il nostro pensiero o lo stato di cose cui facciamo riferimento, ‘vero’ è anche, dall’altro, l’amico, il cui comportamento c’induca a dire che, pur nel mezzo delle menzogne della vita, abbiamo trovato in lui un ‘vero amico’3. È in questo secondo senso che Gadamer intende parlare della verità della poesia, che così viene posta in connessione con le altre due forme di discorso «eminente»: con la parola del messaggio religioso e con quella che regola i rapporti sociali attraverso la legge. Per tutt’e tre queste forme di discorso vale il richiamo al luterano «Es steht geschrieben» (sta scritto), che rimanda ovviamente a contesti diversi, ma presenta un comune carattere vincolante, su cui è necessario riflettere4.
Nel linguaggio religioso l’espressione «sta scritto» rinvia all’impegno personale che deve essere preso da colui al quale il messaggio è rivolto. È una sorta di «assenso» (Zusage) che viene richiesto, senza del quale la parola del messaggio non giunge a effetto. Perché messaggio religioso si dia è necessario cioè tanto che esso venga formulato, quanto che venga recepito da parte del credente. In maniera analoga stanno le cose per quanto concerne il discorso giuridico. Anch’esso trova espressione in un testo «eminente»; anch’esso, infatti, «sta scritto» nel senso che obbliga attraverso la sua «notificazione» (Ansage) coloro ai quali si rivolge. Non diversa infine è la natura del testo poetico – testo anch’esso «eminente» – poiché anch’esso «sta scritto», dice cioè qualcosa che non può essere detta in altro modo. Gadamer chiama questa forma espressiva della poesia «asserzione» (Aussage) e ricorda un parallelo significativo, che aiuta a comprendere in che senso l’«asserzione» della poesia sia manifestazione di verità. Nell’esperienza giuridica – dice Gadamer – il teste è chiamato a compiere delle «asserzioni», a dire cioè come, in verità, stanno le cose. È qui la corrispondenza con il testo poetico che dice anch’esso come, in verità, stanno le cose, ma in un dominio evidentemente del tutto diverso da quello del processo. In questo senso il testo poetico è autonomo e, nel suo dire, non rimanda ad altro fuori di sé, proprio come accade nella autenticità della testimonianza resa nel corso del processo. Non capisce nulla della poesia di Hölderlin – osserva Gadamer – chi pensi al ritorno degli Dei vagheggiato dal poeta svevo come a un evento futuro, del quale si possa restare in attesa. Esso è tutto realizzato nella poesia, è già compiuto nel testo che si presenta a noi completo nella costruzione di un mondo. In questo senso Gadamer parla della pretesa di «completezza» della poesia, cui nulla può essere tolto o aggiunto senza che essa vada inesorabilmente distrutta5.
Resta da chiarire in che senso la poesia come discorso rispetti il principio ermeneutico, secondo il quale ogni discorso è da intendere come risposta a una domanda. A quale domanda o a quali domande risponde la poesia? Gadamer non si accontenta di dire che essa risponde alle domande ultime della nostra esistenza, quelle circa la nascita e la morte, la colpa e la sofferenza. Queste «situazioni limite», per dirla con Jaspers, certamente hanno occupato e occupano l’attenzione della poesia tragica e hanno sempre un posto di rilievo nella riflessione dell’uomo. Ma Gadamer intende allargare la portata della sua domanda e cerca una risposta nella direzione del carattere più generale del discorso. Il discorso è quella forma di attività che, indipendentemente dall’oggetto su cui verte, ci consente di averlo presente, in qualche modo di «afferrarlo» nelle parole. In questo senso il discorso ha la capacità di renderci prossime le cose; ma il discorso della poesia ha, in aggiunta, «la capacità di mantenere tale vicinanza», ed è in ciò che dobbiamo scorgere la sua verità.
«Mantenere la vicinanza» (Halten der Nähe) è dunque l’ufficio della poesia. Ma la vicinanza di che cosa? E attraverso quali mezzi essa viene mantenuta? Non può bastare, evidentemente, dire che viene mantenuta l’esperienza nella sua totalità. È piuttosto un carattere, anzi il carattere fondamentale dell’esperienza che viene mantenuto: il suo scorrere, il trapassare che nulla risparmia. La parola poetica dona consistenza allo scorrere del tempo, «mantiene la vicinanza» di ciò che è per sua natura caduco. La sua parola non è promessa, annuncio religioso, ma «saga» (Sage), che si manifesta nel suo stesso presentarsi. Se il linguaggio ordinario rappresenta il primo articolarsi della nostra esperienza mondana e ci consente di orientarci nel mondo, il linguaggio poetico non rappresenta la prosecuzione di questa nostra esperienza, ma una sorta di rispecchiamento, che ci consente di vederne la parte nascosta. Ciò che nella poesia si manifesta non è perciò il mondo, ma la vicinanza, la dimestichezza che noi abbiamo con esso. La linguisticità da cui siamo caratterizzati è ciò che ci apre l’accesso al mondo, all’interno del quale si stagliano le tre forme più significative di esperienza: l’annuncio religioso come predicazione di salvezza; il pronunciamento giuridico, che ci indica il diritto e il torto nel cuore stesso della società; la parola poetica, che attesta la verità più profonda del nostro esserci6.

2. Il superamento della coscienza estetica

Esperienza estetica ed esperienza storica sono le due porte d’accesso all’opera più nota di Gadamer. Pubblicata nel 1960 e nel giro di qualche anno tradotta nelle principali lingue europee7, Verità e metodo ha segnato l’avvio della stagione ermeneutica nel pensiero contemporaneo, influenzando profondamente non solo la filosofia, ma anche la teologia, la filologia, il diritto, le scienze umane e sociali in genere. Al termine di un lungo processo di gestazione, essa traduceva in forma sistematica lo sforzo del filosofo tedesco teso a legittimare l’esperienza di verità compiuta al di fuori della conoscenza metodica. Per forza di cose essa veniva pertanto ad assumere una posizione polemica nei confronti della linea di pensiero sviluppata nell’età moderna da Bacone a Cartesio, da Hume a Kant, in virtù della quale il primato conoscitivo e la funzione di modello venivano assegnati alle scienze della natura. Era questa l’idea – occorre ancora una volta ricordarlo – che aveva guidato Johannes Gadamer nella sua tenace, ma vana, opposizione agli interessi artistici e letterari prima ancora che filosofici del figlio Hans-Georg, e che ora questi, giunto alla soglia dei sessant’anni, mirava non solo a criticare, ma a demolire. Perché questo fosse possibile era necessario tuttavia rompere il predominio metodico delle scienze naturali, mostrando che attraverso l’esperienza ermeneutica è possibile conoscere una verità che non ha bisogno del supporto a essa tradizionalmente offerto dal metodo.
Anche Dilthey aveva lavorato in questa direzione, ma era rimasto tributario dell’ideale metodico delle scienze della natura, disconoscendo i caratteri essenziali dell’essere umano, ignorando cioè che per esso è necessario elaborare una nuova ontologia. Heidegger aveva dato certamente l’impulso maggiore in questa direzione, ma si era volto poi all’esperienza criptica dell’ascolto dell’essere, che lo aveva sempre più allontanato dalla riflessione sui caratteri ontologici dell’interpretazione. Ora occorreva dunque liberarsi più esplicitamente dell’eredità storicistica, che restava legata al modello cartesiano e illuministico, di cui la ‘coscienza storica’ rappresentava l’ultimo frutto. Era un processo di confronto e di critica, sviluppatosi nel pensiero gadameriano nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta, che giungeva infine alla sua formulazione più compiuta, nella quale risultavano sintetizzati i risultati precedentemente conseguiti e veniva avviata l’elaborazione di una nuova teoria, destinata a dare conto dell’esperienza ermeneutica nel suo insieme.
Verità e metodo, in altri termini, voleva introdurre il lettore a un nuovo modo d’intendere il compito interpretativo, e recava perciò un sottotitolo (Lineamenti di un’ermeneutica filosofica) pensato dall’autore come titolo, ma giudicato dall’editore troppo accademico e poco adatto al ‘lancio’ dell’opera. Strutturata in tre parti, essa muoveva nella prima dalla rivendicazione del carattere veritativo che inerisce all’esperienza dell’arte, per passare poi a evidenziare il rapporto tra verità e comprensione all’interno delle scienze dello spirito e per mostrare infine la natura ontologica del process...

Indice dei contenuti

  1. Avvertenza
  2. I. Gli anni della formazione
  3. II. Nuove esperienze e nuovi orizzonti di ricerca
  4. III. Arte, storia e scienze umane
  5. IV. La teoria dell’esperienza ermeneutica
  6. V. Sviluppi, integrazioni e confronti nella prospettiva della ragione ermeneutica
  7. Cronologia della vita e delle opere
  8. Storia della critica
  9. Bibliografia
  10. L’autore