Storia delle migrazioni internazionali
eBook - ePub

Storia delle migrazioni internazionali

  1. 162 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Storia delle migrazioni internazionali

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Dalla mobilità territoriale dell'ancien régime e le migrazioni coatte del colonialismo fino alla 'grande emigrazione' e alle più recenti diaspore della società globale, i ruoli che in tempi diversi hanno svolto i protagonisti dell'esodo.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Storia delle migrazioni internazionali di Paola Corti in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a History e 21st Century History. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858100615
Argomento
History

Le caratteristiche dei movimenti migratori negli ultimi vent’anni del Novecento

Uno sguardo d’insieme

I profondi rivolgimenti che caratterizzano gli scenari economici e politici mondiali dell’ultimo scorcio del Novecento imprimono una svolta significativa ai movimenti migratori modificandone le traiettorie, ampliandone le dimensioni quantitative e mutandone profondamente la composizione professionale, etnica e religiosa. I fenomeni che maggiormente influiscono su questo mutamento sono le svolte restrittive nelle politiche migratorie dei principali paesi di immigrazione, il passaggio dalla società industriale a quella postindustriale, il crollo del sistema sovietico dopo la caduta del muro di Berlino. A tutto questo vanno aggiunti i persistenti incentivi agli esodi di massa che trovano in questi anni un’ulteriore accelerazione: l’endemica sovrappopolazione e la fuga dalla persistente povertà che caratterizzano tuttora molti paesi asiatici, africani, centro e sudamericani; i movimenti dei profughi e dei rifugiati che attraversano i vari teatri delle guerre o fuggono dalla repressione politica.
Sul piano economico l’affermazione del sistema globalizzato ha comportato la ricerca di nuove forme di investimento da parte dei principali soggetti economici, che hanno puntato a espandere l’attività manifatturiera proprio in quelle aree del globo meno investite dai processi di modernizzazione. A questi mutamenti si sono sommati quelli indotti dalla terza rivoluzione industriale, che con lo sviluppo della microelettronica ha modificato integralmente il sistema delle relazioni di lavoro, contraendo il numero della manodopera meno qualificata nel settore industriale e dilatando a dismisura gli addetti al terziario. Sul mercato del lavoro tutto questo ha avuto l’effetto di polarizzare la richiesta di addetti sia in direzione dei più elevati livelli di qualità professionale, sia, all’opposto, verso le attività più dequalificate, con il parallelo aumento dei settori economici informali e delle occupazioni più precarie e giuridicamente meno garantite. Insomma, il fatto più rilevante, in questa situazione di interdipendenza del mercato mondiale, è stato la fine di un ciclo economico caratterizzato dallo stretto rapporto tra crescita e occupazione e l’affermazione di un sistema all’interno del quale da un lato si sono indebolite le attrazioni esercitate dai mercati dei paesi di immigrazione e hanno assunto un’importanza determinante i fattori politici, sociali e culturali, e dall’altro si è andato costituendo un mercato del lavoro in cui l’apporto degli immigrati si distingue soprattutto per la sua differenza qualitativa rispetto all’offerta di lavoro degli autoctoni.
Nella nuova situazione economica mondiale si assiste così a una sempre più ampia estensione delle aree interessate dai processi di emigrazione. Non solo la dinamica delle partenze sembra risentire in misura minore di quei rapporti di dipendenza coloniale che avevano avuto un ruolo così determinante nei flussi migratori sviluppatisi tra la seconda metà dell’Ottocento e il secondo dopoguerra, ma nel corso di questi anni mutano soprattutto i soggetti, gli Stati coinvolti, gli itinerari. I protagonisti dei movimenti migratori diventano ora quei paesi – come l’Africa centrale e l’Europa orientale – che nel passato erano rimasti esclusi dai fenomeni di mobilità per motivi di carattere politico o economico, mentre le direttrici geografiche più seguite nelle migrazioni internazionali sono quelle che uniscono il Sud al Nord e l’Est all’Ovest.
Sulla scena mondiale si vanno affermando come protagonisti anche nuovi paesi di immigrazione sia nel Vecchio Continente sia in nuovi paesi emergenti. Mentre negli anni del miracolo economico europeo erano stati i paesi dell’Europa nord-occidentale ad assumere un forte ruolo attrattivo, nel nuovo sistema migratorio internazionale un peso crescente viene svolto dai paesi dell’Europa del Sud. Se, nell’area mediterranea, l’Italia, la Spagna e gli altri Stati europei meridionali diventano i poli di attrazione per le popolazioni della riva sud del Mediterraneo, e per gli altri flussi migratori provenienti dall’Africa e dall’Asia, nell’Estremo Oriente i protagonisti sono gli Stati asiatici interessati dalla terza rivoluzione industriale. Hong Kong, Taiwan, Corea del Sud, Singapore, Malesia, Indonesia, Thailandia risultano infatti le mete privilegiate dai flussi in arrivo dalle Filippine, dal Pakistan, dal Bangladesh e dalle stesse aree in trasformazione – come la Corea e la Thailandia – caratterizzate allo stesso tempo da fenomeni di emigrazione e di immigrazione.
Tab. 2 - Popolazione migrante per aree geografiche dal 1965 al 1990
Si è appena detto che durante questo ventennio assumono un peso crescente i movimenti dei rifugiati politici e dei profughi messi in fuga dalla guerra e dalla repressione poliziesca. Nel corso degli anni Ottanta i più intensi movimenti si concentravano nelle aree più colpite dalle guerre interetniche postcoloniali o dove erano presenti dittature e regimi militari: in America centrale, nell’Africa orientale e meridionale, nell’Asia occidentale e sud-occidentale, in Medio Oriente. Tra i paesi che in questi anni accoglievano il maggior numero di rifugiati primeggiavano gli Stati Uniti, la Svezia, la Svizzera, il Belgio, la Francia. Nel corso degli anni Novanta i teatri delle guerre si allargano anche a quelle aree europee e asiatiche sconvolte dalla fine del sistema bipolare, con il conseguente spostamento delle traiettorie e l’affermazione di nuovi paesi di accoglienza in aree precedentemente escluse. In Europa, dopo il 1991-92, i principali protagonisti di questi movimenti sono gli jugoslavi, seguiti dai rumeni, dai turchi, dagli originari dello Sri Lanka, dai somali, dagli iraniani, dagli abitanti dello Zaire, dagli iracheni, dai bulgari, dagli albanesi, dai nigeriani, dai libanesi e dai cinesi. Se, alla vigilia del 1994, ben 4.240.000 rifugiati originari dell’ex Jugoslavia avevano beneficiato di una certa assistenza dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, dopo il 1997 i principali paesi di partenza diventano la Turchia, la Jugoslavia, l’Iran, l’Iraq, la Somalia, lo Sri Lanka. Alla vigilia del nuovo millennio, infine, nell’intero quadro mondiale il più alto numero di profughi interni si trovano nei territori dell’ex Unione Sovietica, nell’ex Jugoslavia, nell’Iran, nello Sri Lanka, in Eritrea, in Liberia, in Sierra Leone, in Colombia. Sta di fatto che, secondo le stime del 1997, tra i 135 e i 140 milioni di persone coinvolte nelle migrazioni internazionali in vari paesi del mondo, almeno 13 milioni sono riconosciuti come rifugiati dall’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati.
Sul piano quantitativo la tendenza complessiva di quest’ultimo ventennio è la forte dilatazione del numero degli emigranti su scala mondiale. Secondo uno studio pubblicato nel 1999 dalla Divisione della popolazione delle Nazioni Unite già all’inizio degli anni Novanta si registra un forte aumento dei nati all’estero, che passano dai 75 milioni registrati nel 1965 ai 120 milioni conteggiati nel 1990, ossia circa il 2% della popolazione mondiale.
Queste cifre si ingigantiscono ulteriormente se oltre ai movimenti internazionali si prendono in considerazione quelli interni a singoli paesi: ancora nel 1981, per esempio, solo in uno Stato come l’India le migrazioni interne coinvolgevano 200 milioni di persone. Un’altra tendenza numerica d’insieme è l’estrema concentrazione di immigrati in certi paesi e in certe aree. Nel già citato studio dell’Onu si legge infatti che il 90% degli emigranti si trovano nei cinquantacinque paesi più sviluppati del mondo. La percentuale più elevata di immigrati si riscontra in Oceania, dove essi costituiscono il 17,8% della popolazione totale. All’Oceania fanno seguito l’America del Nord, con l’8,6% di immigrati, e l’Europa occidentale, con il 6,1%. La percentuale degli immigrati risulta invece più contenuta in Asia – dove essi rappresentano solo l’1,4% –, in America Latina e nei Caraibi – dove la percentuale è poco al di sotto del 2% – e in Africa, dove raggiungono il 2,5%. Un ultimo dato rilevante è infine l’importanza che nei flussi migratori internazionali vanno assumendo le donne. Stando alle rilevazioni del 1995, infatti, i movimenti femminili non solo costituivano il 48% dei flussi internazionali, ma almeno in un quarto dei paesi di accoglienza le cifre delle immigrate erano superiori a quelle degli immigrati. All’interno di questi movimenti, a differenza del passato, prevalevano le donne alla ricerca di un’autonoma posizione di lavoro che si muovevano indipendentemente dalla famiglia.
In definitiva, nonostante le forti restrizioni adottate dai paesi di accoglienza, durante gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, i flussi dai paesi «meno sviluppati» verso quelli sviluppati sono stati interessati da una rapida crescita. A questi movimenti vanno poi aggiunti quelli in partenza dai paesi del Sud del mondo verso i paesi asiatici di nuova industrializzazione. In tutti i movimenti si impongono infine le crescenti cifre dei rifugiati e delle donne.
Le politiche migratorie, che già a partire dalla seconda metà degli anni Settanta avevano assunto caratteristiche fortemente restrittive nei maggiori paesi di immigrazione, in questa situazione di accentuata mobilità territoriale subiscono ulteriori irrigidimenti. È vero che in varie parti del mondo si vanno configurando forme di integrazione o di cooperazione economica regionale che prevedono un’ampia libertà di circolazione interna per le merci e per le popolazioni degli Stati membri. Basti pensare, a questo proposito, agli organismi che si sono costituiti nell’area nordamericana (Alena), a quelli presenti nella realtà sudamericana (Mercosur) e a quelli sviluppatisi nel Sud-Est asiatico (Asean). Per quanto riguarda l’Europa, in particolare, ciò che è accaduto con gli accordi di Maastricht del 1992 è molto significativo, oltre che assai noto per i continui richiami sulla stampa e negli altri mezzi di comunicazione. È anche vero, però, che i vari organismi economici regionali non hanno raggiunto una politica comune capace di prendere sufficientemente in considerazione i diritti delle popolazioni appartenenti agli Stati esterni. Tutto questo accade in una realtà internazionale nella quale risultano assai diminuite le possibilità di concludere quegli accordi bilaterali tra paesi di partenza e Stati di immigrazione che avevano giocato un ruolo così essenziale nel corso delle migrazioni di massa degli anni Cinquanta e Sessanta.
Il vero obiettivo che in questi anni sembrano proporsi – seppure con scarso successo – i paesi di accoglienza, e i loro organismi sovranazionali, è infatti di ostacolare l’arrivo dei flussi ritenuti indesiderabili. A questo proposito si possono richiamare provvedimenti di differente natura, che coinvolgono Stati situati alle diverse latitudini del globo: dalle applicazioni dei due accordi europei di Schengen, del 1985 e del 1995, ai forti controlli sulle frontiere attuati progressivamente dagli Stati Uniti; dalle severe misure di espulsione di massa di lavoratori stranieri assunte in certi Stati asiatici e africani – come la Malesia, la Nigeria e la Libia –, alla costruzione di concrete cortine contro gli indesiderati, come è accaduto nella stessa Malesia, nell’Africa del Sud e in Israele; dai drastici provvedimenti di legge previsti a danno dei clandestini – non escluse le pene fisiche e la carcerazione – adottati in altri Stati africani e asiatici, alle non meno dure sanzioni dirette contro chi recluta gli emigranti, applicate, questa volta, in paesi come il Giappone o il Sudafrica. Tutte queste iniziative, volte appunto a contenere i flussi clandestini, non hanno tuttavia ottenuto dei risultati efficaci perché si sono rivelate in contraddizione con una delle caratteristiche portanti della globalizzazione nel mondo contemporaneo: l’enorme apertura delle frontiere alla circolazione di merci, capitali, informazioni e uomini.

I paesi americani tra «quote», movimenti clandestini e ritorni

Nel corso degli anni Settanta, con l’arrivo e la stabilizzazione definitiva delle popolazioni asiatiche, latinoamericane e africane, muta radicalmente il profilo etnico dell’immigrazione negli Stati Uniti. Secondo i conteggi realizzati tra il 1975 e il 1979, infatti, il 37% dei movimenti era alimentato allora da popolazioni di provenienza asiatica, il 31% latinoamericana e il 2% africana. Si tratta di conteggi nei quali bisogna tener conto della ben più imponderabile cifra dell’immigrazione alimentata dagli endemici arrivi dei clandestini, soprattutto messicani e caraibici, che raggiungevano gli Stati meridionali della Confederazione: solo nel 1970, per esempio, i clandestini messicani si aggiravano attorno ai 2 milioni. Le cifre dell’immigrazione illegale dei messicani e di quella clandestina nel suo complesso hanno subìto notevoli variazioni negli anni successivi. Seppure con le cautele che vengono costantemente richiamate nei confronti di questi conteggi, bisogna rilevare che nel corso degli anni Ottanta sarebbero stati censiti – con una evidente sottostima rispetto all’appena richiamato numero dei soli messicani nel 1970 – 2 milioni di persone; all’inizio del decennio successivo gli immigrati illegali sarebbero stati valutati tra i 5 e i 6 milioni. Il fatto nuovo, anche nell’immigrazione clandestina, è comunque la crescita delle popolazioni asiatiche – cinesi, coreani, filippini, vietnamiti – e di quelle ispaniche. Il ritmo annuale di arrivo dei clandestini, che era valutato attorno alle 500.000 persone, era foraggiato per metà da quanti provenivano dal Messico. L’osmosi di popolazione tra le due frontiere è del resto un fatto noto e drammaticamente persistente anche nella vita attuale dei due paesi americani, a dispetto delle rigide normative di legge e dei severi controlli esercitati dalla polizia statunitense.
Fino ai tempi più recenti la storia delle immigrazioni straniere negli Stati Uniti continua infatti a essere contrassegnata dalle rigorose politiche del governo federale per setacciare gli immigrati attraverso «quote» che non si limitino solo a selezionare gli stranieri a seconda del paese di provenienza, ma sulla base della professione esercitata. Già nel corso degli anni Settanta l’orientamento delle autorità americane era stato diretto a richiamare sul proprio territorio i tecnici e i professionisti. Politiche volte a garantire l’ingresso di un’immigrazione «qualificata» erano state del resto adottate anche da molti altri paesi del mondo: dall’Argentina all’Australia, dal Brasile all’Africa del Sud.
Si tratta di iniziative che hanno favorito a lungo quella che è stata definita la «fuga dei cervelli» dai paesi del Terzo Mondo verso le aree più avanzate sul piano economico e tecnologico e hanno provocato spesso una perdita di risorse proprio nelle aree meno avvantaggiate di altre. Con questo tipo di emigrazione, infatti, non solo sono andate perse tutte le risorse finanziarie erogate dallo Stato per la formazione di tecnici e professionisti, ma è venuto meno anche quel patrimonio di competenze acquisite che avrebbero potuto giovare al miglioramento delle condizioni interne. Solo più di recente si vanno registrando fenomeni nuovi e, in virtù dei maggiori contatti mantenuti da questi emigranti con la madrepatria, si stanno talora riducendo gli svantaggi che questo tipo di emigrazione ha sempre provocato ai paesi di partenza. Sta di fatto che a causa di questo tipo di decisioni, già nel decennio 1969-79, negli Stati Uniti, dei circa 500.000 quadri registrati, un terzo proveniva dall’Asia. Nel corso degli stessi anni questo tipo di immigrazione qualificata incise di circa il 30% sull’aumento del numero complessivo dei medici registrati nel paese. Nell’ultimo decennio del Novecento, infine, in tutta l’America settentrionale si è assistito sia all’ulteriore inasprimento delle «quote» di immigrazione per i soli lavori qualificati, sia all’allentamento di questa normativa di fronte ai casi di ricongiungimento familiare o di rifugio politico sia, infine, alla continua evoluzione del quadro geografico di provenienza delle migrazioni.
Il risultato di tutto ciò è stato che la bilancia delle ammissioni, tanto negli Stati Uniti quanto in Canada, si è rivolta in modo ancora più accentuato verso l’Asia e, soprattutto per gli Stati Uniti, verso l’America Latina. In Canada, mettendo a confronto i dati del 1986 e del 1996, si nota infatti un ulteriore calo degli immigrati nati in Europa (da 62,3 a 46,9%), una crescita degli asiatici (da 17,7 a 31,4%), un modesto progresso degli africani (da 2,9 a 4,6%) e una stabilità di quelli nati in America (il 16%). Tendenze analoghe si registrano, del resto, negli Stati Uniti, salvo il fatto che in questo paese aumenta sensibilmente la percentuale degli stranieri provenienti dalla stessa America (da 37 a 46,3%). È una crescita, questa, sulla quale incide notevolmente la già richiamata immigrazione messicana.
Quanto all’America Latina, nel corso degli ultimi vent’anni del Novecento si è assistito all’aumento delle migrazioni interne al continente e alla parallela estensione di e-migrazioni – di breve e di lungo raggio – che arrivano a coinvolgere perfino i paesi di più consolidata tradizione immigratoria. L’insieme degli emigranti originari di quest’area, che all’inizio degli anni Novanta erano presenti in altri paesi, rappresentava infatti ben il 2,5% del totale della popolazione latinoamericana e circa il 9% del totale degli emigranti conteggiati dalle Nazioni Unite. Tali movimenti seguivano in gran parte i percorsi interni allo stesso continente americano. Basti infatti pensare che in un paese come il Paraguay la moltiplicazione degli arrivi di contadini e di lavoratori rurali alla frontiera dell’alto Paraná era frutto di ondate migratorie vicine. I movimenti dei cosiddetti Brasiguayos, sviluppatisi negli anni Settanta, sono stati tra i fenomeni migratori che hanno avuto le implicazioni sociali e geopolitiche più incisive sull’intera area, coinvolgendo in certi anni, come il 1990, oltre 100.000 brasiliani. A questi movimenti interni di particolare intensità si accompagnano le sempre più nutrite migrazioni da alcuni Stati sudamericani, come il Perù, in tutti i paesi di forte immigrazione, anche al di fuori dell’area americana. Solo in quest’ultima realtà, nel periodo compreso tra gli ultimi due censimenti del Novecento, essi costituivano il gruppo nazionale con la più forte crescita: sia in Venezuela, sia in Argentina e Brasile, sia in Cile, mentre la loro presenza era sempre più numerosa negli Stati Uniti.
Quanto all’inversione delle tendenze migratorie che caratterizza in questi anni la storia dei più antichi paesi di immigrazione dell’America Latina, il caso più esemplare è quello del Brasile. Nel corso degli anni Ottanta, infatti, non solo si sviluppa qui la già citata corrente frontaliera dei Brasiguayos, ma si registra anche l’intensificazione dei movimenti verso gli Stati Uniti e l’avvio di movimenti a più lungo raggio territoriale. Il Portogallo e il Giappone, antiche sedi di emigrazione verso il Brasile, iniziano infatti a ricevere consistenti nuclei di discendenti di emigranti che ritornano ai paesi degli antenati. Questo «ritorno al paese» assume del resto un’importanza sempre maggiore anche in altre realtà sudamericane. Dal Perù, per esempio, è sempre più frequente il ritorno verso il Giappone di molti rappresentanti delle nuove generazioni nipponiche. E lo stesso accade anche in altri Stati, come l’Argentina, l’Uruguay e il Cile.
Più in generale, si deve tuttavia concludere che anche in America...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Le migrazioni nell’età preindustriale
  3. Gli esodi di massa tra Ottocento e Novecento
  4. Profughi, fuorusciti e deportati tra le due guerre
  5. Le migrazioni nella seconda metà del Novecento
  6. Le caratteristiche dei movimenti migratori negli ultimi vent’anni del Novecento
  7. Bibliografia